La storia identifica il Sommo Sacerdote Caifa e Giuseppe, fratello minore di Gesù


Parte I

Il Sommo Sacerdote Caifa

Nel VI argomento, concernente il Testimonium Flavianum, abbiamo evidenziato come, nella sua "Historia Ecclesiastica" del IV secolo, il Vescovo Eusebio di Cesarea abbia censurato il patronimico del Sommo Sacerdote "Giuseppe detto Caifa", unico nome paterno mancante nella lista dei cinque Sommi Sacerdoti citati. Esattamente come risulta anche in "Antichità Giudaiche", dello storico ebreo, nei codici da noi individuati e trascritti dagli amanuensi dopo l'XI secolo, per essere successivamente conferiti al professor Niese, a fine '800, col compito di curarne la traduzione. Ergo, giunti a questo punto degli studi, per procedere oltre dobbiamo ripartire dalla "Historia Ecclesiastica" di Eusebio:

"4. Giuseppe (Flavio), nel medesimo libro delle Antichità (XVIII 34-35), enumera in ordine successivo i quattro Sommi Sacerdoti da Anna fino a Caifa, dicendo: «Valerio Grato tolse la carica sacerdotale ad Anna, figlio di (bar) Seth, e proclamò Sommo Sacerdote Ismaele, figlio di (bar) Fabi, ma non molto tempo dopo destituì anche lui e nominò Sommo Sacerdote Eleazaro, figlio del (bar) Sommo Sacerdote Anna. 5. Trascorso un anno anche costui fu esautorato e la carica fu affidata a Simone, figlio di (bar) Kamith ed anche lui non la tenne per più d'un anno; fu suo successore Giuseppe, chiamato anche Caifa». 6. Dunque l'intera durata dell'insegnamento del nostro Salvatore, come appare evidente, non comprende quattro anni completi, e ci furono in questo periodo quattro Sommi Sacerdoti, da Anna fino a Caifa, uno per anno. E il Vangelo indicando Caifa come Sommo Sacerdote durante l'anno in cui si compì la passione di Cristo è nel vero. Da quanto ci dice e dall'osservazione precedente si può così stabilire la durata dell'insegnamento di Cristo" (HEc. I 10, 4/6).

La citazione di Caifa, fatta da Giuseppe Flavio (Ant. XVIII 34-35) e richiamata da Eusebio, come abbiamo dimostrato nel VI studio, colloca questo episodio nel 18 d.C., l'anno in cui il Prefetto Valerio Grato insignì Giuseppe detto Caifa a Sommo Sacerdote del Tempio di Gerusalemme. Va notata, soprattutto, la mancanza del patronimico "figlio di" (bar), parte integrante del nome dei Giudei: un particolare fondamentale che impedisce il riconoscimento della famiglia del Sommo Sacerdote "Giuseppe chiamato anche Caifa". Non è una dimenticanza dello storico ebreo ma una apposita censura, fatta dai copisti cristiani, che ci obbliga ad avviare un'analisi specifica per scoprirne le motivazioni, ben sapendo che, come abbiamo visto con l'episodio di "Giacomo il Minore", quando gli amanuensi eliminano il patronimico in una testimonianza giudaica lo fanno per salvaguardare le "verità" della propria fede … a discapito della Storia. E Caifa, lo sappiamo bene, secondo i vangeli fu l'accusatore di Gesù.

Trattando di Giacomo il Minore abbiamo riferito che quell’Atto del Sinedrio di Gerusalemme era l’unico pervenutoci da "Antichità" di Giuseppe ed il motivo per cui venne lasciato fu quello di fargli “testimoniare” su Gesù Cristo e suo fratello Giacomo: un intendimento mal riuscito, come abbiamo dimostrato nel III e IV studio.
Ma siamo veramente certi che Giuseppe Flavio non abbia riportato altri "Atti del Sinedrio" di Gerusalemme? … E perché numerosi "Atti del Sinedrio" vengono riferiti solo da Vangeli e "Atti degli Apostoli"? Eppure di motivi gravi che richiedevano l'intervento del massimo tribunale giudaico ne risultano molti, stando alle cronache dell'epoca ...

L'odiato Giuda il Galileo, ricordato spesso da Giuseppe come il principale nemico delle caste sacerdotali filo romane, ad iniziare dai Sommi Sacerdoti nominati dai funzionari imperiali, fondò la "quarta filosofia" il 6 d.C., la dottrina giudaica più estremista. Il ribelle nazionalista riuscì a trascinare il popolo nella incessante lotta contro Roma, al punto che il Movimento di Liberazione Nazionale, da lui fondato, provocò la distruzione della Città Santa e del Tempio. Giuda era un Dottore della Legge (Rabbino) a capo degli Zeloti, ma di lui lo storico ebreo non riporta la fine, viceversa riferisce la crocefissione dei suoi figli. Sappiamo che la sua morte viene descritta nel Sinedrio riportato in "Atti degli Apostoli" (At 5,34-40) mentre non risulta alcun intervento del vero Sinedrio giudaico.
Giuseppe Flavio si sarebbe certamente presa la soddisfazione di pronuciare un bel necrologio al cruento antagonista dei suoi familiari ed amici farisei conservatori; una cronaca che, inevitabilmente, avrebbe richiamato all'attenzione dei lettori l'operato sovversivo svolto anche dai discendenti di Giuda e contenente, al contempo, l'insieme dei nomi: un dato che avrebbe consentito agli storici di collegare e sovrapporre questi nomi ai fratelli di Cristo.


Come riportato nel I studio, il Profeta ebreo Theudas viene denunciato nel Sinedrio di "Atti degli Apostoli" e, anche lì, abbiamo verificato che, contrariamente alla regola giudaica di aggiungere al nome proprio quello del padre, ciò non risulta, come non risulta nel XX Libro di "Antichità" (par. 97/99). Pertanto è evidente che gli fu tolto, sebbene, con apposita analisi, abbiamo dimostrato che "Theudas" era un titolo mentre il vero nome era "Giuda". Per di più, la testa di un famoso Profeta ebreo viene portata ed esibita a Gerusalemme e il Sinedrio (quello vero) non  registra l'evento: non è credibile.

Infatti la notizia pervenutaci su Theudas è incompleta: è da ingenui accettare che i Romani abbiano inviato, da Cesarea Marittima sino al fiume Giordano, uno squadrone di cavalleria per andare a massacrare uomini che, seguendo un Profeta, venivano “sobillati” ad attraversare il fiume emulando la “tecnica spartiacque” di Giosuè e Mosè.
Per il diritto romano non era reato quanto descritto in "Antichità", ma dal momento che il Procuratore Cuspio Fado ordinò la strage fu perché quegli uomini erano ebrei rivoluzionari zeloti, sicari sediziosi, colpevoli di agire contro la sovranità imperiale di Roma. Una volta segnalati furono
colti in flagranza di reato, quindi ingaggiati e passati a fil di spada mentre tentavano di attraversare il Giordano per sfuggire all’attacco.
Su questa base, nel I studio, abbiamo scoperto che Theudas si chiamava Giuda, nonché il collegamento fra lui, Giuda il Galileo e la crocefissione dei due figli di quest'ultimo: Giacomo e Simone.

La incompletezza delle informazioni più importanti dipende dalla mancanza di motivazioni da parte dei Romani, stando alle descrizioni di questi episodi, e trova spiegazione nella censura del testo a noi pervenuto. I copisti cristiani non potevano far passare nello stesso Libro di "Antichità Giudaiche" (XX cap. 5), un paragrafo dopo l’altro, tre nomi di sobillatori, giustiziati, uguali a quelli di tre apostoli e, peggio ancora, uguali a quelli di tre fratelli di Gesù (su quattro): Giuda, Giacomo e Simone. Le accuse di sedizione contro i tre Profeti rivoluzionari non dovevano risultare identiche a quelle fatte ai fratelli di Cristo perché, inevitabilmente, lo avrebbero coinvolto come sovversivo; pertanto l'arringa difensiva in favore degli apostoli (fra i quali Giuda, Giacomo e Simone) fatta da Gamaliéle, in “Atti degli Apostoli” (At 5,34/40), è una verità camuffata maldestramente e manipolata al punto che ha finito col dimostrare il contrario, come abbiamo accertato nel I studio.

All'inizio di questa analisi dedicata ad Eusebio di Cesarea, nel brano citato di “Historia Ecclesiastica” (Libro I 10,4-6), il vescovo elenca i cinque sommi sacerdoti del Tempio di Gerusalemme che si susseguirono durante la predicazione di Cristo, durata quasi un quadriennio, ad iniziare da Anna sino a Caifa.
Nel par. 4 del brano, lo storico vescovo, richiamando espressamente le “Antichità Giudaiche” di Giuseppe Flavio (XVIII 34-35), elenca i nomi dei Sommi Pontefici che presiedettero il Sinedrio ed ivi afferma che furono insigniti nel loro ufficio dal Governatore della Giudea Valerio Grato (in carica dal 15 al 26 d.C.); ma, in base a questi dati, risulterebbe che Gesù svolse la sua missione salvifica dal 15 al 18 d.C.: di fatto un “avvento” datato come gli “Atti di Gesù” in vigore all'epoca di Eusebio (da lui riferito in HEc. I 9,3/4), così come è datato ancora oggi il TF di "Antichità" (la dimostrazione è nel VI studio).

Peraltro, dalla lettura di “Antichità”, non risulta che sotto il governo di Ponzio Pilato (dal 26 agli inizi del 36 d.C.) siano stati conferiti uno o più incarichi di sommi sacerdoti del Tempio, tanto meno aventi i nomi uguali alla lista fatta da Eusebio (HEc. I 10,1-6); sappiamo solo che nel 36 d.C. il Legato imperiale di Tiberio, Lucio Vitellio, si recò a Gerusalemme e sostituì Caifa dopo aver estromesso Ponzio Pilato dal suo incarico. 
Per gli storici credenti è sufficiente che Caifa risultasse sommo pontefice del Tempio nel 36 d.C. per concludere che lo fu anche nel 33 d.C.: anno della passione del Salvatore … secondo loro. Danno per scontato, con troppa leggerezza, che Caifa rimase in carica come sommo sacerdote del Tempio dal 18 al 36 d.C., cioé per 18 anni consecutivi … ma, se fosse vera, questa eventualità - unica per l'estrema durata del rilevante ufficio dall'epoca del regno degli Asmonei, libero dalla dominazione romana - risulterebbe in netto contrasto anche con quanto premesso (al par. 3 del suddetto brano) dallo stesso Eusebio:

“... i Governatori romani assegnavano il servizio divino (sommo sacerdozio) ora all'uno ora all'altro e chi lo riceveva non poteva mantenerlo per più di un anno.

Quindi, oltre a Caifa, gli altri quattro sommi sacerdoti del Tempio, elencati da Eusebio e nominati da Valerio Grato 10 anni prima dell'arrivo di Pilato, che fine hanno fatto? Perché Giuseppe Flavio non ne riporta i nomi che avrebbero dovuto succedersi dal 29 al 33 d.C.? ... Pur tentando, forzosamente, di conciliare Eusebio con i vangeli attuali.
L'unica spiegazione alla mancata relazione dello storico ebreo, circa le investiture dei sommi sacerdoti del Tempio di Gerusalemme “per non più di un anno”, consiste nel fatto che i nomi dei successivi pontefici (dopo Caifa del 18 d.C.) non corrispondevano a quelli dei vangeliQuesto fu il movente che ha obbligato i copisti di “Antichità Giudaiche”, trascritte dall'XI secolo in poi, ad eliminare gli alti conferimenti dei sommi sacerdoti del Tempio avvenuti dal 19 al 36 d.C., in conformità alla prassi dettata da Roma, come invece risulta nel testo storico dal 36 in poi. 
Oltre a quanto già evidenziato, a causa dei contrasti con i vangeli attuali, gli amanuensi non si limitarono a censurare i Sommi Sacerdoti che officiarono durante la presunta epoca della “missione” di Cristo: altri importanti eventi costrinsero le sottili menti di Dio a “tagliare” cronache di “Antichità Giudaiche” … e non solo.


Nel XVIII Libro di "Antichità", che coincide con l'epoca di "Gesù", si palesa un "vuoto storico" che non trova giustificazione tenuto conto della solerzia con cui il cronista Giuseppe denuncia sempre le crudeli gesta degli Zeloti. L'accusa nei confronti dei ribelli, discepoli dei capi della nuova dottrina nazionalistica fondata il 6 d.C. da Giuda di Gàmala, viene così espressa dallo storico ebreo:

“Per colpa loro ribollirono sedizioni e si sparse molto sangue, sia per i massacri reciproci che facevano i nazionalisti fanatici (gli Zeloti) desiderosi di non cedere ai nemici, sia per la strage che facevano degli avversari” (Ant. XVIII 8).

“Giuda il Galileo si pose come guida di una quarta filosofia, la novità finora sconosciuta, che concorda con tutte le opinioni dei Farisei eccetto che costoro hanno un ardentissimo amore per la libertà, convinti come sono che solo Dio è loro guida e Padrone (Adonai) ... Ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni e permettere che la vendetta si scagli contro parenti e amici, pur di impedire di chiamare un uomo “padrone”. Individui falsi e bugiardi, fingendo di essere ispirati da Dio (Profeti), macchinando disordini e rivoluzioni, spingevano il popolo al fanatismo religioso…” (Ant. XVIII 23).

Il ritrovamento archeologico del "Rotolo della Guerra" a Qumran dimostra il linguaggio rassicurante, basato sulla certezza dell'intervento divino, adottato dai Profeti zeloti per istigare le masse a ribellarsi contro i "kittim" invasori:

“Ascolta, Israele! Voi state per combattere contro i vostri nemici… Non spaventatevi e non allarmatevi innanzi a loro. Poiché il vostro Dio cammina con voi per combattere i vostri nemici e per salvarvi… Allorché nel vostro paese verrà una guerra contro un oppressore che vi opprime, e suonerete le trombe e il vostro Dio si ricorderà di voi e sarete salvi dai vostri nemici ... ”

E, fra il popolo credente, molti seguaci andavano a farsi ammazzare …

“Giuda il Galileo aveva persuaso non pochi Giudei a sottrarsi al censimento fatto a suo tempo da Quirinio nella Giudea. A quell’epoca (dal 6 d.C. in poi) i Sicari (il braccio armato dello zelotismo) ordirono una congiura contro quelli che volevano accettare la sottomissione ai romani e li combatterono in ogni modo come nemici, depredandoli degli averi e del bestiame e appiccando il fuoco alle loro case (Bellum VII 254).
“Eppure il loro nome, Zeloti, l’avevano derivato dal loro preteso zelo nell’aspirare alla virtù, sia che volessero prendersi gioco, con la loro bestiale natura, delle vittime dei loro soprusi, sia perché stimavano beni i peggiori dei mali. Comunque, fecero tutti la fine che meritavano, perché Dio diede a ciascuno la giusta punizione; infatti tutti i castighi che mai possono colpire un uomo si abbatterono su di loro anche fino allultimo istante di vita, facendoli morire fra i più atroci tormenti dogni sorta (ibid VII 270/2).
"Sfasciarono tutto ciò che restava degli ordinamenti civili introducendo dappertutto la più completa anarchia. In tale clima prosperarono al massimo gli Zeloti, un'associazione che confermò con i fatti il loro nome; essi invero imitarono con i fatti ogni cattiva azione e non tralasciarono di emulare alcun misfatto registrato nella storia" (ibid VII 267/9).

Nel XVIII libro di "Antichità Giudaiche", a causa della censura, non troviamo "registrato alcun misfatto nella storia" che concerne un così grave avvenimento "sfasciarono tutti gli ordinamenti civili": la costituzione del governatorato romano e del Sinedrio aristocratico fu mutata in monarchia assoluta.
Un insieme di informazioni, citate nel pròlogo del XVIII libro di "Antichità" e in un lontano ricordo di Giuseppe Flavio evocato nel VII Libro di "La Guerra Giudaica"; fatti che, seppur appositamente richiamati, non trovano gli specifici riscontri nelle vicende risalenti all'epoca di "Gesù" e dei suoi fratelli "apostoli". Due di essi, Giovanni e Giacomo, nei vangeli sono chiamati "Boanerghés", vale a dire "figli dell'ira", erano infatti portati ideologicamente ad incendiare i villaggi dei nemici Samaritani (cfr Lc 9,53). I copisti di "Antichità Giudaiche" - l'opera dell'ebreo più ricca di particolari e riferimenti storici risalenti a quel periodo - hanno tagliato nel XVIII libro tutte le azioni sanguinose del movimento nazionalista di liberazione, in realtà denunciate da Giuseppe, per non evidenziare i nomi dei Capi guerriglieri sottoposti a supplizio quando venivano catturati dai Romani: nomi corrispondenti ai santi eroi evangelici.

Un mancato resoconto di vicende dell'epoca di Cristo fu evidenziato indirettamente dallo storico ebreo Filone Alessandrino. Questi, dopo aver riferito nel suo trattato "De Providentia" (II 107) che si recava frequentemente in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme per offrire sacrifici a Dio (senza accennare all'esistenza di Gesù Cristo e dei suoi apostoli, tanto meno ai loro "miracoli"), nella sua opera "De Legatione ad Caium" (XXXVIII 299-303), Filone ricordò il giudizio di Erode Agrippa I quando descrisse a Gaio Caligola il comportamento di Ponzio Pilato, accusando il Prefetto di non essere stato capace di reprimere la guerriglia zelota: 

"Un tiranno corrotto, avido e insensibile alle ragioni della giustizia. Orgoglio, prepotenza e insolenza erano la sua regola ... Il paese sotto di lui fu lasciato al saccheggio e la gente veniva uccisa senza rispetto di alcuna legge". (Guide to the Bible: An Introduction to the Study of Holy Scripture, Published Under the Direction of A. Robert and A. Tricot, Volume 2 – Paris 1955).

Risulta evidente il richiamo agli Zeloti rivoluzionari e l'accusa al Prefetto per la sua incapacità, dipesa da una limitata forza militare, nel contrastare le numerose scorribande eversive che depredavano i poderi dei ricchi conservatori in una Palestina dove il partito dei "fanatici nazionalisti" era maggioritario.
Filone era un ricco ebreo privilegiato e riportò questa informazione sul recente passato dopo la sfortunata Legazione al cospetto di Gaio Caligola avvenuta nel 40 d.C. Ma il filosofo ebreo, profondo sapiente dell'Antico Testamento, in nessuna delle sue opere riferisce l'Avvento di un "Messia" divino giudaico (Christòs) di nome "Gesù" che, secondo i vangeli, visse nella stessa terra, stesso periodo, autore di prodigi straordinari e osannato dagli abitanti di Gerusalemme come "Re dei Giudei" e "figlio di Davide" ... né sa della sua crocefissione decretata dal Sinedrio ed eseguita dal Prefetto Ponzio Pilato.

Le crocefissioni erano supplizi pubblici aventi lo scopo di dissuadere chiunque intendesse emulare le gesta dei condannati, disposti dalle autorità che rappresentavano l’Imperatore, pertanto le incriminazioni, come informative scritte, dovevano essere registrate negli Atti del Sinedrio essendo avvenimenti che riguardavano direttamente gli Ebrei, la loro religione ed i loro sacerdoti, ma, nelle opere di Giuseppe Flavio, non viene citato il Sinedrio nel I secolo, sino al “martirio” di Giacomo il Minore nel 62 d.C.
Sembra che il Supremo Tribunale Giudaico, organo costituzionale della Sacra Legge, in quel periodo non sia esistito, al contrario della sua operosità in “Atti degli Apostoli” e Vangeli.
Di tutt'altro avviso, Giuseppe, nell'ultima sua opera, "Contro Apione" (Libro I par. 28/46), evidenzia la cura costante da parte dei Sacerdoti e Sommi Sacerdoti del Tempio nel redigere:

"Annali degni di fede per trasmettere il ricordo degli eventi pubblici di cui le mie "Antichità", ne sono un estratto fedele ... e fino ai nostri giorni (inizio II secolo) questo costume è stato osservato".

Infatti, dagli “Atti” di un vero Sinedrio ebraico, mentre era in corso il “Processo a Gesù”, non sarebbe mai risultato che i Giudei osarono scagliare contro se stessi e i propri figli la maledizione riportata nei Vangeli (Mt 27,25):

“E tutto il popolo rispose: il suo sangue (di Gesù) ricada sopra di noi e i nostri figli”.

Un eminente sacerdote e nobile ebreo, come Giuseppe Flavio - discendente dagli Asmonei per parte di madre e da Sommi Sacerdoti aristocratici per linea paterna - così come tutti i Giudei di allora e di oggi, non avrebbe mai potuto riconoscere verosimile questo paradosso: gli Ebrei, dopo averlo osannato, fanno crocefiggere il proprio “Messia” e nel contempo si maledicono per l’eternità. L'evento, se per assurdo fosse accaduto, sarebbe stato di una tale gravità che lo storico sacerdote, ligio al proprio credo, l'avrebbe riferito nelle sue cronache.


Con l'esclusione del periodo compreso fra il 19 ed il 36 d.C., in “Antichità Giudaiche” vengono, puntualmente, riportate tutte le nomine e sostituzioni dei Sommi Sacerdoti del Tempio che presiedevano tale Consiglio, la cui unica delibera, sino al 62, risulta essere appunto quella riguardante Giacomo, fratello di Gesù. In effetti lo storico scadenzava gli annali giudaici con i nominativi dei Sommi Sacerdoti del Tempio, al pari di Cornelio Tacito che scadenzava gli annali di Roma con i nominativi dei Consoli.

Dopo la morte di Erode e suo figlio Archelao, la costituzione divenne aristocratica e i Sommi Sacerdoti furono designati (da Roma) alla guida della nazione” (Ant. XX 251).

Allora, come non chiedersi: perché lo storico ci ha trasmesso una sequela di nomi, tutti con patronico, di Sommi Sacerdoti del Tempio di Gerusalemme che presiedevano il Sinedrio, senza riferire gli “atti” svolti da tale organo attinenti cronache significative? Questa constatazione ci porta ad una conclusione: gli ideologi del cristianesimo gesuita furono costretti ad eliminare da "Antichità Giudaiche" tutti i richiami e le citazioni dei veri Atti del Sinedrio, dalla morte di Erode il Grande sino al “martirio di Giacomo il Minore”, per poterli riprodurre, ideologicamente contraffatti, in "Atti degli Apostoli" e nei Vangeli evitando contraddizioni palesi fra i personaggi santificati e l’indagine critica della storia che si sarebbe conclusa con la scoperta della loro identità e le vere gesta.
 
Ma l'aspetto più grave era rappresentato dal "processo a Gesù", in particolare per il modo come è stato ideato dagli evangelisti: un processo al Messia ebraico accusato dal Sinedrio di Gerusalemme di essere stato proclamato "Re dei Giudei" dalla folla di Gerusalemme.
Un fatto talmente eclatante al punto che, se fosse stato vero, inevitabilmente sarebbe stato riferito da Giuseppe in conseguenza del fatto che i suoi genitori, dopo la sua condanna, avrebbero sicuramente presenziato all'evento pubblico della cruenta "via crucis" e crocefissione di un Messia ebreo.
Ne consegue che tutti gli interventi del Sinedro avrebbero dovuto essere riportati dallo storico in "Antichità Giudaiche" ma, in mancanza del richiamo al più importante di tutti, cioé il "processo al Re Messia" ... simile "vuoto" ne avrebbe dimostrato la falsità sino a sconfessare, inevitabilmente, la credibilità dei vangeli. Da qui l'obbligo di eliminare tutti gli Atti del vero Sinedrio citati da Giuseppe Flavio, quasi fossero ininfluenti per la storia ebraica del I secolo.
Infatti, a riprova di quanto appena affermato e come sopra riportato, gli scribi cristiani che inventarono il "Testimonium Flavianum" non poterono far dichiarare a Giuseppe Flavio che fu il Sinedrio ad incolpare Gesù ma si limitarono ad un generico
" ...
dai principali nostri uomini fu accusato ...".

Nel corso della ricerca, tesa a identificare i figli di Giuda il Galileo, a guerra giudaica finita, la storia registra il nome di un altro importante personaggio che, stando ai vangeli, morì ma fu risuscitato da Gesù: Lazzaro (in aramaico traslitterato in greco Eleazar). In realtà un potente capo zelota arroccato nella fortezza di Masada, sotto assedio romano, famoso perché riuscì a convincere, con la promessa della "resurrezione dell'anima", circa mille ribelli, famiglie comprese, a suicidarsi per evitare l'umiliazione di stupri e schiavitù da parte dei legionari. La "resurrezione di Lazzaro", narrata solo nel vangelo di Giovanni, intende dimostrare che per i Cristiani è possibile la "rinascita del corpo", non solo dell'anima.
Lo storico (Bellum II 447 e VII 253) afferma che (Lazzaro) "Eleazar... era figlio di Giairo, parente di Menahem e discendente di Giuda di Gàmala". Controlliamo se abbiamo inteso bene: discendente di Giuda di Gàmala, figlio di Giairo (Jair) e parente di Menahem "ultimo figlio di Giuda il Galileo". Come possono “vincolarsi direttamente” questi consanguinei? Le abbiamo provate tutte ma ci è rimasta una sola risposta: una delle figlie di Giuda di Gàmala
si sposò con Giairo (Jair) e dette alla luce “Eleazar”, nipote di Giuda di Gàmala. Ma, essendo figlia di Giuda il Galileo, fu quindi sorella di Giovanni il quale, come ricostruito nel VII e VIII studio, per meno di un anno fu il "Yeshùa, Re dei Giudei".

Adesso, però, viene spontanea un’altra domanda di fondamentale importanza: come faceva Giuseppe Flavio a sapere che Eleazar era figlio di (bar) Jair, discendeva da Giuda il Galileo ed era parente di Menahem, e questi, a sua volta, figlio dello stesso Giuda? Perché evoca continui ricordi carichi di odio contro Giuda il Galileo e i suoi discendenti, nelle sue opere? Le accuse al potente capo sovversivo sono troppo ricorrenti … come per i suoi figli, che conosce tutti, rimarcandone la discendenza.
Le risposte potrebbero essere molte, ipotetiche, ma una sola è la più realistica: Giuseppe figlio di (bar) Mattia, appartenente alla più elevata famiglia sacerdotale di Gerusalemme, era parente di quella dinastia di Farisei zeloti, Dottori della Legge (Rabbini), di “grande potere”, tramite sua madre discendente dagli Asmonei.
Procediamo con la ricerca in tal senso. Dice lo storico:


“Da noi l’eccellenza della stirpe trova conferma nell’appartenenza allordine sacerdotale. La mia famiglia non solo discende da sacerdoti, ma addirittura dalla prima delle ventiquattro classi che già di per sé è un segno di distinzione, e, all’interno di questa, dalla più illustre delle tribù. Inoltre, da parte di madre, sono imparentato con la famiglia reale, giacché i discendenti di Asmoneo (i Maccabei), dei quali lei è nipote, detennero per lungo tempo il sommo sacerdozio e il regno del nostro popolo. Questa è la mia genealogia, e la esporrò. Nostro bisavolo fu Simone il Balbuziente, visse al tempo di colui che per primo tra i sommi sacerdoti ebbe nome Ircano (134 a.C.). Simone il Balbuziente ebbe nove figli, dei quali uno, Mattia, chiamato figlio d'Efeo, prese in moglie una figlia del Sommo Sacerdote Gionata, il primo fra gli Asmonei a rivestire il sommo acerdozio e fratello del Sommo Sacerdote Simone. Durante il primo anno del regno di Ircano, a Mattia, figlio d'Efeo, nacque un figlio: Mattia detto il Gobbo. Da costui, nel nono anno del regno di Alessandra, nacque Giuseppe, e da Giuseppe nacque Mattia, nel decimo anno del regno di Archelao (6 d.C., anno del censimento di Quirinio), infine, da Mattia nacqui io, il primo anno del regno di Gaio Cesare (37 d.C.)(Bios 1,1-5).

Prima il nonno “Giuseppe”, poi suo padre Mattia e infine lui, Giuseppe Flavio ... ma, suo nonno, "Giuseppe" non sarà stato per caso il "Giuseppe detto Caifa" che, come Sommo Sacerdote del Sinedrio, secondo i vangeli, si dette tanto da fare per accusare “Gesù”? Esattamente come il suo storico nipote (Giuseppe Flavio) ha reiterato le accuse contro Giuda il Galileo ed i suoi figli. Lo scrittore definisce la sua “una stirpe sacerdotale di eccellenza … la prima delle ventiquattro classi sacerdotali” … si, “Giuseppe detto Caifa” sembrerebbe avere tutti i requisiti per essere il nonno di Giuseppe Flavio e quindi genero di Anano, i cui figli maschi diverranno tutti Sommi Sacerdoti; infatti, quando l’ultimo di essi, anch’egli di nome Anano, verrà ucciso dai rivoluzionari, Giuseppe se ne dispererà come per la perdita di un caro amico o parente. Anano è "Anna" (italianizzato) e, stando ai vangeli, era suocero del Sommo Sacerdote del Tempio, Caifa: entrambi furono i grandi accusatori del Salvatore.

Era consuetudine da parte dei sacerdoti del Tempio sposare le figlie di altri sacerdoti della stessa casta per rafforzare il proprio potere dinastico e politico. Hanno conosciuto e frequentato Giuda di Gàmala, prima, e i suoi figli, dopo; “Dottori potenti” (Rabbini), discendenti dagli Asmonei, pretendenti al “trono di Davide”, ma di una corrente politico religiosa estremista e indipendentista cui aderirono altri Farisei zeloti, e anticonservatori. Dal tempo del censimento in poi, si sono ritrovati su posizioni politico religiose contrapposte, veri e propri nemici, e certamente vittime gli uni degli altri: nazionalisti rivoluzionari avversari dei conservatori filoromani.

Il nonno e il padre di Giuseppe Flavio erano sicuramente presenti nel Sinedrio quando fu crocefisso “Gesù” ... ma qualcun altro prima di noi, preso atto della appartenenza dello storico alla classe sacerdotale più aristocratica di Gerusalemme, deve essere giunto alla stessa conclusione. Le eminenze grigie del Clero erano consapevoli che, se Caifa fosse stato il nonno di Giuseppe, simile risultanza avrebbe obbligato lo storico a riferire dettagliatamente l'Atto del Sinedrio relativo al "processo contro il Messia Gesù"; fatto che sappiamo non essere avvenuto ma, tale "vuoto" avrebbe smentito
i vangeli, i quali difatti ne parlano approfonditamente ed a chiare lettere.
L'inesistente "processo a Gesù", per il modo superficiale con cui fu ideato dagli evangelisti, rischiava di essere smascherato: gli oscuri prelati sapevano che quel giudizio non poté mai avvenire. Erano certi che un suddito dell'Impero, a capo di ribelli sediziosi contro la sovranità di Roma, pur essendo riuscito a sopraffare la guarnigione militare di stanza a Gerusalemme e farsi proclamare Re della Provincia di Giudea, un territorio dell'Imperatore, avrebbe scatenato la reazione delle legioni romane. Di conseguenza, una volta sconfitto e catturato, non sarebbe mai stato rinviato ad alcun tribunale: il Legatus Augusti, dall'alto della magistratura nella quale fu insignito, lo avrebbe crocefisso direttamente facendo morire il capo degli Zeloti "fra i più atroci tormenti fino all'ultimo istante di vita".

Le sottili menti degli scrivani di Dio decisero allora di prevenire la possibilità che si scoprisse la dirompente verità tramite l'individuazione della famiglia del Sommo Sacerdote "Giuseppe chiamato Caifa", l'accusatore evangelico del Messia ebreo. Pertanto vi posero rimedio, o meglio ... ci provarono, nel modo come stiamo per accertare.


La discendenza da una famiglia di Sacerdoti, così antica e potente, ci ha indotti a indagare e scoprire, con tanto di prove, che lo storico Giuseppe Flavio è stato uno dei nipoti di Giuseppe, che fu chiamato Caifa, proclamato Sommo Sacerdote dal Prefetto Valerio Grato il 18 d.C. (Ant. XVIII 35).
Egli fu l’accusatore di Gesù Cristo nei Vangeli e, come appena detto, qualcun altro, molti secoli prima di noi, giunse a questo esito e provvide nel merito … ma lo fece male.

Nella genealogia della grande stirpe sacerdotale dello storico, risalente oltre un secolo e mezzo prima di lui, è contenuto un errore gravissimo che riguarda proprio suo nonno “Giuseppe”. Questi, da quanto risulta in (Bios 1,1-5), sarebbe nato…


nel nono anno del regno di Alessandra nacque Giuseppe…”, cioè il 68 a.C., “… e da lui nacque, nel decimo anno del regno di Archelao, Mattia, il padre di Giuseppe Flavio, cioè il 6 d.C., “infine da Mattia nacqui io, il primo anno dell’impero di Gaio Cesare”, il 37 d.C.

Se questa successione generazionale fosse corretta, il nonno di Giuseppe Flavio avrebbe avuto un figlio all’età di 74 anni … ma, questa assurdità viene smentita da un evento che, correlato ad altri, ci aiuta a fare chiarezza:

Quando Erode il Grande assunse il potere régio (37 a.C) uccise Ircano e tutti gli altri membri del Sinedrio eccetto Samaia” (Ant. XIV 175).

Fra tutti i membri del Sinedrio uccisi da Re Erode il 37 aC. - per aver osato accusarlo in quanto responsabile dell’uccisione di Ezechia, padre di Giuda il Galileo (Erode rischiò di essere lapidato e non lo dimenticò: Ant. XIV 167-168) - vi era certamente anche un antenato della "stirpe sacerdotale di eccellenza" cui apparteneva Giuseppe Flavio (iniziatasi nel II secolo a.C.). Ma quell'antenato, ovviamente con prole, non poteva essere il suo ultimo nonno "Giuseppe" nato nel 68 a.C. poiché si sarebbe interrotta la ascendenza e il futuro storico di "Antichità Giudaiche" non sarebbe mai nato: ecco perché i conti non tornano. E’ evidente che fra lantenatoGiuseppenato il 68 a.C. e il Giuseppe, suo vero nonno diretto, cè unamancanza”; ma l’errore non lo commise lo storico: è impossibile che Giuseppe Flavio non conoscesse letà di suo nonno e non abbia ricordato e connesso l'eccidio dell'intero Sinedrio che, inevitabilmente, coinvolse la famiglia sacerdotale più famosa di Gerusalemme. L’errore è intenzionale e si spiega con una “eliminazione mistica” nella sua genealogia, descritta in “Autobiografia”: una manipolazione effettuata da coloro che avevano l’interesse ideologico di non fare risultare “Giuseppe che fu chiamato Caifa”, il Sommo Sacerdote, come nonno di Giuseppe Flavio.

Il movente che indusse gli amanuensi cristiani ad eliminare il patronimico del Sommo Sacerdote "Giuseppe detto Caifa" fu quello di impedire ai ricercatori di individuare la famiglia di appartenza di Caifa: il Sommo Sacerdote del Tempio che accusò il Messia Gesù facendolo condannare a morte.
Rimarchiamo la prima coincidenza del nome di "Giuseppe detto Caifa" con il nome del nonno Giuseppe; poi quella che il nonno dello storico ebreo risulta avere avuto un figlio all'età di 74 anni; inoltre, il patronimico di Giuseppe detto Caifa" è stato eliminato nella documentazione patristica come in quella storica. Sono un insieme di dati assurdi che - una volta evidenziati e spiegati con la imprescindibile necessità degli storici cristiani di nascondere la parentela tra Caifa e Giuseppe Flavio - diventano la prova evidente della manomissione dei testi storici
da parte degli amanuensi per salvaguardare la propria dottrina.

Il nostro scriba Giuseppe F., ligio ai suoi doveri di storico, trasmise ai posteri tutti i nominativi dei Sommi Sacerdoti del Tempio che presiedettero il Sinedrio, i quali, per l’ecumene degli Ebrei di allora, erano equivalenti al Papa di oggi dei cattolici. Lo fece riportando, come d’obbligo, il nome del padre di ognuno di lorotranne uno: quello di “Giuseppe che fu chiamato Caifa” (Ant. XVIII 35).
Questamodalità” del cronista ebreo di identificare il Sommo Sacerdote, in un richiamo storico ufficiale, è unica e non rientra, sia nella prassi ebraica, dovuta allora per il riconoscimento di ogni singola persona al cui nome proprio era aggiunto quello del padre, sia nel rispetto delle ancestrali usanze adottato puntualmente dallo scrittore per tutti gli altri Sommi Pontefici, il cui nominativo richiedeva essere tramandato a futura memoria completo di patronimico, a maggior ragione per l’importanza dell’ufficio ricoperto.

Se non si considera questa “mancanza”, si giungerebbe alla inevitabile conclusione che escluderebbe matematicamente” il nonno Caifa di Giuseppe Flavio come accusatore diGesù” perché, se nel 6 d.C. aveva 74 anni, all’epoca in cui lo incolpò ne avrebbe avuti 103 … secondo i Vangeli; mentre la verifica storica accerta 106 anni (e qui inciampa lo scriba di Dio) perché Caifa fu dismesso da Lucio Vitellio per la Pasqua del 36 d.C.
Secondo quanto vollero far apparire i manipolatori mistici, simile “vetustà” di un Sommo Sacerdote del Tempio sarebbe servita a dirottare la curiosità degli storici troppo indiscreti e pignoli dalla vera identità di
“Giuseppe che fu chiamato Caifa”: l'accusatore di Cristo …

E, guarda caso, il Nuovo Dizionario Biblico, a cura di René Pache, Edit. Centro Biblico (della Santa Sede), anno 1993, sotto la voce “Sinedrio” fa una lunga relazione delle funzioni e i poteri di tale organo riportando tutte le citazioni di Giuseppe Flavio tranne una: il brano suddetto che riporta l'uccisione di tutti i Sommi Sacerdoti del Sinedrio attuata da Erode il Grande dopo il 37 a.C. (Ant. XIV 175), una volta insediato come Re dai Romani. Anche il precedente Dizionario Biblico, Ed. "Studium" del 2.4.1963, curato dal famoso esegeta cattolico, Mons. Francesco Spadafora, alla voce "Sinedrio" non cita questo passo, il più importante di tutti (data la unicità dell'evento sanguinoso contrastante la tradizione e la Legge ebraica) a causa dell'eliminazione di “tutti i membri del Sinedrio".

Riflettiamo un attimo: se Caifa, l’accusatore più accanito di Gesù Cristo, secondo i Vangeli, risultasse essere stato realmente il nonno dello storico, immaginiamo quale dettagliata descrizione della vita del “Figlio di Dio” avrebbe dovuto tramandarci lo scrittore: un "Super Testimonium Flavianum" lungo quanto un vangelo. Giuseppe non sarebbe stato “storico ebreo”, bensì “storico cristiano gesuita”, avendo suo nonno e suo padre toccato con mano, a Gerusalemme, il tanto atteso “Messia Gesù”… e lo avrebbero sicuramente raccontato anche a lui da bambino, soprattutto quando, dopo averlo accusato e fatto crocifiggere, da testimoni esterrefatti, videro che:

“Si fece buio su tutta la terra, il velo del tempio si squarciò, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti morti risuscitarono e uscendo dai sepolcri entrarono nella Città Santa e apparvero a molti
(Mt 27,51/53).

Secondo i mistici falsari lo shock, subito alla vista degli zombi che camminavano al buio per le vie di Gerusalemme, avrebbe dovuto obbligare gli ebrei, “Caifa”, suo figlio e successivamente suo nipote Giuseppe F., a pentirsi e convertirsi al Cristianesimo.
A conferma che le "eminenze grigie" sono tutt'oggi sempre impegnate nell'oscuro millenario lavoro di censura, facciamo notare che mai nessun film, celebrativo della vita e passione di Cristo, ha riportato la scena "horror" dei cadaveri putrefatti che passeggiavano fra la gente nell'oscurità lungo i vicoli e le piazze della Città Santa quando morì il "Salvatore Universale".

I copisti non poterono rassegnarsi al fatto che lo storico non avesse riportato la cronaca di quegli avvenimenti e non fosse diventato cristiano; ma, più di ogni altra cosa … la mancata cronaca di quei fatti così clamorosi dimostra che non avvennero.
Sì, non possono esservi dubbi, fu questo il movente della manipolazione genealogica dello storico sacerdote: "Giuseppe detto Caifa" era il nonno di Giuseppe Flavio, ma, con tale soprannome, non doveva risultare nella genealogia da lui riportata in “Autobiografia” per le deduzioni che ne avrebbero tratto gli storici. Al contrario, nei Vangeli, è solo con questo soprannome che conosciamo il Sommo Sacerdote: “Caifa”. Ma, altro particolare significativo, “Caifa” (in greco Καϊάφας), come nome proprio non esisteva nella Giudea di allora: era solo un soprannome che, attenendosi alla etimologia aramaica, significava “roccia” e, preso a se stante, non aveva alcun senso. “Giuseppe detto Roccia”, era un nome incompleto con un significato impreciso, esattamente come lo riporta la storiaperò, come abbiamo visto sopra, senza patronimico. Al nonno dello storico ebreo, il nome gli venne censurato nei Vangeli, il soprannome in Autobiografia” e il patronimico inAntichità”.

L'accorgimento di tagliare l'ascendenza di Giuseppe detto Caifa fu adottato per primo da Eusebio nella sua "Historia Ecclesiastica" (HEc I 10,5) al fine di impedire l’identificazione del Sommo Sacerdote che, secondo i vangeli, accusò il Messia ebraico: una vicenda talmente grave che, qualora fosse realmente avvenuta, avrebbe obbligato Giuseppe Flavio a riportarne la intera cronaca compreso il processo indetto dal Sinedrio.
Dalla esposizione di questo Atto da parte di Giuseppe, inevitabilmente, sarebbe risultato il nome intero del Sommo Sacerdote "Giuseppe detto Caifa" completo di patronimico, esattamente come fece in Antichità (XX 200) nel processo intentato dal Sommo Sacerdote Anano, figlio di (bar) Anano, contro Giacomo fratello di "Gesù figlio di Damneo" (vedi III studio). Inoltre, come nel caso di Anano contro Giacomo, lo storico avrebbe evidenziato anche l'accusa di Caifa contro Gesù con la condanna, supplizio e morte del Messia: una vicenda ebraica clamorosa che avrebbe confermato le scritture evangeliche. Viceversa sappiamo tutti che nelle cronache di Giuseppe Flavio non esiste niente di tutto ciò ... e di questo "vuoto storico" era perfettamente consapevole Eusebio. Ma il Vescovo, pur di comprovare l'esistenza di Gesù Cristo, osò compilare ed inserire nella sua "Historia Ecclesiastica", a nome dello storico fariseo, un misero Testimonium Flavianum, inetto ed elusivo, evitando accuratamente di riferire dati precisi e significativi se non quello, anacronistico e non credibile, di Pilato: nient'altro che una manifestazione di fede cristiana in contrasto con quella ebraica.


A questo punto degli studi manca ancora un ultimo dato: conoscere la fine del quarto fratello di Gesù.  

 


Parte II

Giuseppe, il fratello minore di Gesù


“Non è costui (Gesù) il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, Ioses (Giuseppe), di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui con noi?” (Mc 6,3);
“Non è forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi?” (Mt 13,55-56).

I nomi appena letti nei vangeli di Marco e Matteo corrispondono ai quattro fratelli di "Gesù", il quale, nelle analisi riportate, abbiamo già dimostrato si chiamava "Giovanni", mentre "Gesù" (Yeshùa in aramaico) era un appellativo dettato da Dio come attributo divino dal significato di "Salvatore" (vedi XI studio). Uno dopo l'altro, siamo stati in grado di rintracciarli tutti attraverso la comparazione diretta fra le notizie riferite nei documenti neotestamentari e la storiografia. E' rimasto soltanto Giuseppe.
Giuseppe: è
l’unico dei “fratelli” che non entra mai in scena. I vangeli lo nominano tra figli di Maria senza aggiungere altro. Nulla risulta dalle opere di Giuseppe Flavio … almeno sembra.

Menahem, la storia ne scrive, per mano dell’ebreo, che lo cita più volte come ultimo dei figli di Giuda il Galileo
(Bellum II 433, 437; Bios 21), il Capo zelota fariseo che, ricordiamo, rivendicò il diritto al trono dei Giudei e fu promotore della rivolta del censimento il 6 d.C.
Menahem era un nome che ritroviamo in "Antichità Giudaiche" e, appena ritoccato, in “Atti degli Apostoli”:

“C’erano nella comunità di Antiochia Profeti e dottori: Barnaba, Simeone detto Niger, Lucio di Cirene, Manaen, compagno d’infanzia di Erode tetrarca, e Saulo. Dopo aver digiunato e pregato imposero loro le mani e li accomiatarono” (At 13,1).

Constatato che quel viaggio di san Paolo ad Antiochia era senza scopo, rileviamo che fra tali nomi solo uno è autore di gesta: “Manaen, compagno d’infanzia di Erode tetrarca”. Questo “richiamo” obbliga lo storico a ricordarsi di un altro “Manaem”, personaggio, descritto come un Profeta dall’ebreo in “Antichità”, che predisse il Regno ad Erode il Grande quando questi era ancora un ragazzo (Ant. XV 373).
Noi “dobbiamo” notare che Erode padre ed Erode Tetrarca figlio, nella loro giovinezza, ebbero entrambi causa con “Profeti” di nome “Menahem” distanziati fra loro di una generazione; una “sovrapposizione casuale” troppo forzata per non destare sospetti su entrambi i veggenti di “Atti” e “Antichità” … come se dietro a tali nomi ci sia stata una “pia” regia per farli apparire usuali fra i Giudei dell’epoca, fatto che non risulta dalle opere dell’ebreo, ad eccezione di quello appena citato, d’obbligo … come il Profeta degli “Atti”.

Quel che è certo, “Menahem”, ultimo figlio di Giuda di Gàmala, era un appellativo che, nel primo secolo, nessun giudeo, con la cultura dello Scriba fariseo conservatore Giuseppe bar Mattia (G. Flavio) e condivisa dal Dottore fariseo Giuda il Galileo, lo avrebbe mai dato ai propri figli, poiché era il nome di uno dei personaggi più odiosi dell’Antico Testamento. Menahem, dice lo storico, fu un Generale ebreo che, auto proclamatosi Re, ma non riconosciuto come tale dal suo popolo ...

Menahem fece un genocidio contro quelli della sua stessa stirpe, non risparmiando neppure i fanciulli e non arrestandosi davanti ad alcun eccesso di crudeltà e di barbarie” (Ant. IX 229/231).

No! Giuda di Gàmala era un Dottore della Legge e, se pur rivoluzionario, proveniva dalla stessa scuola farisaica dello scrittore ebreo, era istruito e non può aver dato questo nome a suo figlio; lo chiamò così Giuseppe Flavio che, ravvisando in lui comportamenti analoghi, identificò nell'ancestrale feroce Re biblico Menahem l’ultimo dei figli di Giuda: Giuseppe, anche lui auto proclamatosi Re nel 66 d.C.
Lo storico non aveva ancora il cognome onorifico “Flavio”, lo adotterà dopo la guerra, concessogli dalla “Gens Flavii” insieme a molti altri favori (la vita in primis) che ricevette dagli Imperatori Vespasiano e suo figlio Tito.
“Giuseppe” aveva il nome uguale al suo, quasi certamente parente, ma sicuramente nemico; era uno dei banditi, nazional religiosi e palesemente odiati, che aveva descritto prima e durante la guerra giudaica alla quale partecipò.

L’ebreo Giuseppe racconta del conflitto e i suoi interventi parlando di se stesso in terza persona, come un cronista che riferisce gli eventi vissuti da protagonista osservandosi dal di fuori del contesto descritto e, come tale, deve citarsi frequentemente, pertanto non può, né vuole, confondersi con l’altro “Giuseppe” detestato.
Come avrebbe potuto scrivere, di fatto accusandosi ingiustamente se avesse usato il proprio nome: “la morte del Sommo Sacerdote Ananìa (che conosceva bene) aveva esaltato Giuseppe (anziché Menahem) fino alla ferocia (Bellum II 442); come avrebbe potuto auto definirsi boia e vigliacco, epìteti con cui qualifica “l’altro”, suo omonimo, responsabile delle gesta criminali descritte.
"Menahem" é il nome da affibbiare a quel malfattore: un marchio che dovrà rimanere nella storia. Non solo, se lo avesse chiamato col vero nome “Giuseppe”, avrebbe dovuto scriverlo col suo patronimico: Giuseppe, figlio di (bar) Giuda il Galileo. No! Impossibile! ... Il proprio nomediventavafiglio del personaggio più avversato nelle sue opere.
Allora, per non essere scambiato con “l’altro”, ogni volta che ne ha riferito le imprese efferate, avrebbe potuto citare il nome del proprio padre alla maniera giudaica: “Giuseppe figlio di Mattia. Peggio! Suo padre, Mattia, sarebbe stato scambiato per il padre di un famoso assassino boia e vigliacco di nome Giuseppe”, tiranno usurpatore del trono, ingenerando una confusione inestricabile fra nomi identici, inaccettabile per la precisa identificazione storica dei protagonisti di questa vicenda, odiosa per lo scrittore.

No! Meglio ribattezzare, con il nome biblico del Generale “Menahem” - che si comportò da "boia e vigliacco" col suo popolo pur di essere riconosciuto Re - quell’altro Giuseppe “Dottore potente” che lo storico conosceva bene, come conosceva Eleazar (Lazzaro) figlio di Giairo ... entrambi discendenti del Dottore della Legge, Giuda il Galileo, tutti appartenenti ad una dinastia di “grande potere”.
La narrazione dello storico ebreo è una autentica manifestazione di odio, uno sfogo personale, ma anche espressione della sua convinzione politico-costituzionale che si scontrava con quella dell'esecrato nemico discendente da una casta sacerdotale potente che mirava alla restaurazione di una monarchia di tipo asmoneo, in opposizione alla aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme che non intendeva farsi spodestare per conservare i privilegi acquisiti.

“Fu allora che un certo Menahem, figlio di Giuda detto il Galileo, un Dottore (della Legge) assai pericoloso che già ai tempi di Quirinio aveva rimproverato ai Giudei di riconoscere la signoria dei Romani quando già avevano Dio come Signore (Adonai in aramaico), messosi alla testa di alcuni fidi raggiunse Masàda (roccaforte poi occupata dal suo parente Eleazar bar Jair), dove aprì, a forza, l’arsenale del Re Erode e, avendo armato oltre ai paesani (di Gàmala) altri briganti, fece di questi la guardia del corpo; quindi ritornò a Gerusalemme e assunse il comando della ribellione” (Bellum II 433-434).
"Contro Menahem si levarono i partigiani di Eleazar (un altro Eleazar, Capitano delle Guardie del Tempio, figlio del Sommo Sacerdote Ananìa ucciso da Menahem) affermando che non era il caso di ribellarsi ai Romani spinti dal desiderio di libertà per poi sacrificarla a un boia paesano (non di Gerusalemme) e sopportare un padrone che, se anche non avesse fatto nulla di male, era pur sempre inferiore a loro" (ibid II 443).


Giuseppe “Menahem” di Gàmala (in quanto figlio di Giuda il Galileo), ormai capo del movimento nazional-religioso degli Zeloti, é un Dottore della Legge integralista, carismatico e, tramite madre, appartenente alla dinastia degli Asmonei” che - fin da suo nonno “Ezechia, uomo di grande potere” ucciso da Erode il Grande - si era immolata per la liberazione di Israele dal dominio della Roma pagana e delle caste dominanti corrotte.
Diventato promotore e guida della rivolta, dopo aver attaccato e sconfitto i Romani, Giuseppe Menahem uccide il Sommo Sacerdote Ananìa, a lui contrario, dopodiché il nuovo Sinedrio rivoluzionario lo riconoscerà Re dei Giudei.
Della sua investitura Giuseppe Flavio non parla direttamente: Giuseppe Menahem non ha avuto il “crisma” della Legge come la interpretava lo storico ebreo … ma il “crisma” della Legge dei Farisei zeloti, in grado di condizionare con la forza anche i sacerdoti più moderati, lo ebbe certamente, almeno in quel momento.
Prima della sua fine, lo storico racconta, sprezzante, che, nel Settembre del 66 d.C., a capo della sua fazione di rivoluzionari, l’eminente zelota riuscì
“ad indossare, ornato in gran pompa, la veste règia” (Bellum II 444).

“I partigiani di Eleazar (il Capitano delle Guardie del Tempio) lo assalirono nel Tempio; vi si era infatti recato a pregare in gran pompa, ornato della veste régia avendo i suoi più fanatici seguaci come guardia del corpo … Menahem era scappato nel quartiere detto Ofel e vi si era vigliaccamente nascosto, fu preso, tirato fuori e dopo molti supplizi ucciso, e così pure i suoi luogotenenti e Absalom, il Primo Ministro della sua tirannide” (ibid II 440-446).

Il nostro erudito scrittore, nelle vicende narrate, considerava “Tiranni” i sovrani assoluti che si impadronirono, con la violenza, di ogni potere e in questo caso del potere spirituale (Sommo Sacerdozio) e di quello regale.
Potere, come visto, risultato effimero poiché l’aristocrazia sacerdotale riuscì a spodestarlo con un colpo militare.
Nato dopo il censimento del 6 d.C., Giuseppe “Menahem” figlio di Giuda, negli anni 30 del I secolo non fu riconosciuto come capo carismatico, capace, con le sue profezie, di trascinare uomini a rischiare la vita per un ideale nazional religioso; quindi non si rese protagonista di gesta tali da essere ricordato dalla storia o dai testi sacri” alla pari di un “Profeta”. Stando alle verifiche effettuate nel I studio, è questo il motivo per cui il suo nome compare solo nella lista dei “fratelli di Gesù”, ma non fra gli “Apostoli”.

Attraverso le apposite analisi pubblicate abbiamo accertato che i fratelli di Giovanni (Yeshùa) erano: Giuda detto Theudas, Simone detto Kefaz, e Giacomo ... tutti corrispondenti ai figli di Giuda il Galileo, già morti per mano dei Romani, rimaneva solo Giuseppe, ultimo di loro ancora in vitaMa, essendo “Menahem”, a sua volta, lultimo dei figli di Giuda il Galileo, ciò significa che “Menaheme Giuseppe erano la stessa persona.

Giuseppe, da giovane, si formò alla scuola farisaica per diventare anch’egli un Dottore della Legge mentre i suoi fratelli, più anziani - come fecero il nonno Ezechia e il padre Giuda - stavano conducendo una lotta mortale.
Ad iniziare da Giovanni “Gesù”, nei dieci anni successivi, vedrà anche gli altri fratelli morire per la guerriglia da loro ripresa, nel 44 d.C., dopo che Roma ricostituirà come Provincia, annessa alla Siria, il Grande Regno riunificato da Re Agrippa I, assoggettando l'intero territorio palestinese al governo dei Procuratori romani.
Successivamente, più maturo, Giuseppe aspetterà, in disparte, il momento favorevole per raggiungere il fine perseguito dalla sua dinastia: divenire Re dei Giudei. Possibilità che si concretizzerà nel 66 d.C. con l'inizio della guerra dei Giudei avverso la dominazione di Roma.
L’uccisione del Sommo Sacerdote Ananìa e la sua presenza all’interno del Tempio a pregare, con indosso una
veste règia, portano a concludere che Menahem, oltre ad essere Re, fu anche Sommo Sacerdote al posto dell’altro spodestato e ucciso. Giuseppe Flavio questo non lo dice, ma ne comprendiamo la ragione, poiché, appartenendo ad una casta sacerdotale conservatrice, avversaria degli Zeloti antischiavisti, è ovvio che non riconobbe mai, come legittima, l’investitura a “Messia” di un nemico ideologico, figlio di Giuda il Galileo.

Giuseppe “Menahem” vi riuscirà, ma il suo regno avrà vita breve; infatti, come appena letto, l’impresa lo vedrà soccombere per mano di Eleazar, il sacerdote comandante delle Guardie del Tempio e figlio del Sommo Sacerdote Ananìa, che lo stesso Menahem aveva fatto uccidere.

La morte di Giuseppe, "detto Menahem" dallo storico cronista, segna la fine dei cinque fratelli, uomini appartenenti a una dinastia definita più volte da Giuseppe Flavio
"di grande potere" ... Una stirpe di sangue reale che - rivendicando il diritto a sedersi sul trono dei Giudei, appartenuto agli Asmonei ma spodestati dai Romani in favore di Erode e i suoi discendenti - si impegnò, fino al martirio, in una guerra contro il dominio di Roma attraverso un contesto storico pericoloso ed estremamente difficile per gli Ebrei.

"Dopo la morte di Aristobulo (7 a.C.), Erode non affidò più il pontificato a discendenti dei figli di Asmonei. Anche Archelao, figlio di Erode, nella designazione dei Sommi Sacerdoti seguì la stessa politica e, dopo di lui, fecero così anche i Romani quando presero il governo dei Giudei (6 d.C.)" (Ant. XX 249).

Dal 6 d.C. in poi, furono due i periodi durante i quali, nel I secolo, si verificò un vuoto di potere imperiale romano: il primo dalla fine estate del 35 alla Pasqua del 36 d.C., mentre Roma era impegnata nella guerra contro i Parti; e il secondo durante la guerra contro i Giudei dal 66 al 70 d.C. Fu solo in quei due lassi di tempo che i Romani non poterono impedire l'investitura al Sommo Sacerdozio ai discendenti dei figli degli Asmonei. Il casato asmoneo si estinguerà definitivamente nel 73 d.C. per mano dei Romani con la caduta di Masàda, ultima roccaforte degli Zeloti, condotti dal nipote di Giuda il Galileo: Eleazar bar Jair (Lazzaro figlio di Giairo).

Dall’analisi delle vicende narrate nei vangeli, comparate con quelle reali, sin dall'inizio abbiamo scoperto che i più importanti interpreti della “Storia Sacra” furono i capi Zeloti di un partito integralista ebraico, figli di Giuda il Galileo.
Il suo primogenito, Giovanni,
in occasione della festa delle Capanne del 35 d.C., riuscì ad insediarsi nel trono dei Giudei e da essi riconosciuto come Re e loro Salvatore “Yeshùa per meno di un anno. Dopo la sua fine, seguita all'intervento romano, diressero la guerriglia patriottica i suoi fratelli: Simone, Giacomo e Giuda, capi del Movimento di Liberazione Nazionale dal giogo imperialista di Roma, spinti da un ideale religioso che lo storico definisce:

“… quarta filosofia, la novità finora sconosciuta, che concorda con tutte le opinioni dei Farisei eccetto che costoro hanno un ardentissimo amore per la libertà, convinti come sono che solo Dio è loro guida e padrone. Ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni e permettere che la vendetta si scagli contro parenti e amici, pur di impedire di chiamare un uomo “padrone”. Individui falsi e bugiardi, fingendo di essere ispirati da Dio (Profeti), macchinando disordini e rivoluzioni, spingevano il popolo al fanatismo religioso…” (Ant. XVIII 10,23).

Il vero “cristianesimo primitivo”, ancor più correttamente chiamato “messianismo primitivo”, fu rappresentato dal movimento messianista zelota, ovvero la “quarta filosofia, la novità finora sconosciuta”, come la chiamò lo storico. La “quarta filosofia”, la dottrina, ideata dai Farisei zeloti Giuda il Galileo e Saddoc, postulava un capovolgimento sociale ed economico che prevedeva l’abolizione della schiavitù e l’eliminazione delle caste sacerdotali ebraiche, aristocratiche e corrotte, conservatrici dei loro privilegi e filo romane. 

Una dottrina, a fondamento del partito giudaico più popolare, che si prefisse lo scopo di liberare i territori palestinesi per riedificare su di essi l’antico Regno di Israele: una fede accettata dalla maggioranza della nazione ebraica sino a comprendere la diaspora. Secondo gli Zeloti, nel rispetto della “Legge degli antichi padri”, un condottiero, consacrato (Unto) come Re, per volere e con l’aiuto di Dio, come fece Re David, avrebbe guidato il popolo ebreo diviso e disperso - dopo averlo riunificato in una nuova alleanza cui aderirono gli Esseni - per annientare i pagani invasori.
Sarebbe stato un “Messia” divino a salvare il popolo eletto di Yahweh dalla potenza di Roma: un "Dominatore del mondo" il cui regno sarebbe durato in eterno.
Il movimento fu osteggiato da Sadducei e Farisei conservatori, contrari ad un radicale cambiamento politico, sociale ed economico, che avrebbe fatto perdere i loro privilegi. Per impedire ciò, le caste aristocratiche sacerdotali, insieme ai reggenti erodiani, favorirono la feroce repressione dei Romani nei confronti del Movimento di Liberazione Nazionale del quale gli Zeloti rappresentarono l’avanguardia ideologica più estremista e popolare sino alla catastrofe militare finale.

I Farisei zeloti e gli Esseni zeloti, per tre generazioni, hanno condotto una guerriglia pericolosa abituati al rischio della morte ... accettandola con un coraggio ed un disprezzo del dolore forgiato nella lotta contro i dominatori pagani. Morte accettata stoicamente e basata sulla convinzione della rinascita dell’anima; un indottrinamento religioso integralista ed estremista che aveva le sue radici nell’epopea eroica dei fratelli Maccabei i quali, con il loro sacrificio, avevano liberato la terra, a loro promessa da Yahweh, dalla dominazione macedone ellenistica.

In Antichità Giudaiche nel Lib. XVIII al par. 24, Giuseppe, parlando della “quarta filosofia”, così dice degli Zeloti:

La maggioranza del popolo ha visto la tenacia della loro determinazione, in tali circostanze che posso procedere oltre la narrazione. Perché non ho timore che qualsiasi cosa riferisca a loro riguardo sia considerata incredibile. Il pericolo, anzi, sta piuttosto nel fatto che la mia esposizione possa minimizzare lindifferenza con la quale accettano la lacerante sofferenza delle pene.

Giovanni di Gàmala, detto il Nazireo, era il primogenito di Giuda il Galileo e, sia lui che i suoi fratelli hanno dimostrato con i fatti di accettare i rischi cui andavano incontro, ne erano preparati psicologicamente, sapevano che la morte, se affrontata a viso aperto, non facendo una piega pur nel momento in cui si è sottoposti ai peggiori supplizi, diventa essa stessa un’arma ideologica esemplare che avrebbe portato altri giovani ad emularli perseguendo un fine che poi si rivelerà utopico. Ci tramanda Giuseppe:

“…non vi fu alcuno che non restasse ammirato per la loro fermezza e per la loro forza d’animo, o cieco fanatismo che dir si voglia…accogliendo i tormenti e il fuoco, con il corpo che pareva insensibile e lanima quasi esultante.

Ezechia, Giuda il Galileo, Giovanni il Nazireo, Simone detto Kefaz, Giacomo, Giuda detto Theudas, Giuseppe detto Menahem ed Eleazar bar Jair: ogni membro di quella dinastia di Signori, discendenti dagli Asmonei, ha lottato e rischiato per un fine patriottico religioso nobile. Erano nella loro terra, i Romani erano gli invasori … quindi i pagani dovevano essere cacciati. Ma la loro caparbia coerenza si è scontrata con un Impero al culmine di un potere tale da incutere timore a tutti i regni confinanti che, in quel periodo, si guardavano bene dal provocarlo. Gli Zeloti hanno lottato contro quel potere e hanno perso … e con loro tutti i Giudei.

Le due “filosofie religiose” ebraiche, la essena e la zelota, entrambe antischiaviste e aperte a tutte le classi sociali, si allearono ideologicamente per mobilitare i Giudei alla lotta e ricostituire il Regno d’Israele. Dalla guerra del censimento del 6.d.C. rimasero solidali fino alla sconfitta del 70 d.C. culminata nella distruzione della Città Santa e del Tempio.
Fu un periodo di massacri caratterizzato da centinaia di migliaia di morti, dei quali nei Vangeli non vi è traccia.

Ma
la vera storia, concernente la costante ribellione di un popolo che non voleva sottomettersi al dominio pagano, non doveva risultare nei “Sacri Testi” pena il crollo della dottrina cristiana della "salvezza per la vita eterna".
In quel contesto storico, teatro di una Guerra Santa nazionalista che vide rivolte sanguinosamente represse, carestie e crocefissioni, secondo i vangeli, intorno agli anni '30 del I secolo, un gruppo di dodici Ebrei "apostoli" e il loro "Maestro", Gesù Cristo, indifferenti al sangue che sorreva sulla loro patria, vagavano per la Palestina stupendo folle con discorsi e gesta mirabolanti. Un impossibile Messia ebraico, Figlio di Dio, inconsapevole del massacro perpetrato verso i suoi connazionali dai pagani: gli invasori (kittim) della "Terra Promessa" dal Padre suo "Abba" al popolo eletto.

"Spinti dall'odio e dal furore, i soldati romani si divertivano a crocifiggere i prigionieri in varie posizioni, e tale era il loro numero che mancava lo spazio per le croci e le croci per le vittime" (Bellum V 451).

Appena dopo la morte di Erode il Grande, avvenuta il 4 a.C., gli Ebrei si ribellarono alla volontà di Cesare Augusto che impose la divisione del Regno di Palestina in Tetrarchie assegnate in eredità ai figli di un monarca semiebreo; eredi che non furono riconosciuti dagli Israeliti come loro Capi, alla stregua di Erode. La violenta ribellione dilagò in una guerra che costrinse Roma ad inviare in quei territori le legioni imperiali condotte dal Legatus Augusti pro Praetore, Publio Quintilio Varo, per sconfiggere gli insorti massacrandone oltre diecimila, dopodiché altri duemila di loro furono crocifissi pubblicamente come esemplare mònito rivolto a chiunque intendesse emularne le gesta. Ciononostante, da allora in poi, la componente zelota, maggioritaria fra la popolazione, non volle mai sottomettersi al giogo romano.

Gli scribi cristiani, che in epoche successive compilarono i vangeli e gli "Atti degli Apostoli", fecero attenzione che gli eroici discepoli del Messia ebreo non testimoniassero sulle gesta del Movimento di Liberazione Nazionale, sempre attivo in quel tempo, pur essendo i "Santi" di sangue giudeo.
Stando alle rispettive datazioni "storiche" - macchinate dalla Chiesa Cattolica dopo aver conquistato il potere assoluto nel IV secolo d.C. - quasi tutti gli apostoli e gli evangelisti avrebbero presenziato alla distruzione di Gerusalemme da parte di Tito, ma nessuno di loro riporta il martirio subìto per crocifissione da moltitudini di Giudei. Un vuoto storico troppo stridente con la realtà delle vicende del primo secolo: un silenzio reso volutamente coerente con la mancanza di richiami concernenti l'esistenza di Cristiani gesuiti nelle cronache riferite dagli scrittori imperiali, testimoni diretti degli avvenimenti di allora. Fu questo il motivo che, dopo oltre un millennio, spinse gli amanuensi dell'Abbazia di Montecassino a falsificare gli "Annales" di Cornelio Tacito inventando l'assurdo eccidio di un abnorme numero (ingens multitudo) di Cristiani che, nel 64 d.C., a Roma vennero crocefissi, spalmati di grasso, ed accesi come torce ardenti per illuminare un insensato, quanto incredibile, "baccanale" neroniano.
I calligrafi di Dio, quando stilarono queste sciocchezze in grafia beneventana latina, non si resero conto che avrebbero dovuto riscrivere ex novo tutta la enorme "tradizione", sparsa nelle biblioteche dell'intera cristianità, al fine di correggere le contraddizioni insorte per la mancata testimonianza sui màrtiri gesuiti da parte di storici romani, evangelisti, apostoli e i loro successori. Come abbiamo provato con gli studi precedenti.    

Dopo l'olocausto giudaico perpetrato dalle legioni romane, una corrente religiosa giudaica ritenne necessario creare una nuova raffigurazione del Messia ebreo, diverso dallo zelota nazionalista voluto da Yahweh, originando il
Cristianesimo gesuita ... ovviamente dopo la morte di Giuseppe Flavio. La immagine ideologica si evolse, nei secoli seguenti, dal messianismo primitivo, descritto dallo storico ebreo come la "quarta filosofia, una novità sinora sconosciuta", in conseguenza del genocidio degli Ebrei perpetrato in tre guerre (dal 70 al 135 d.C.) dai vincitori che repressero tutte le rivolte giudaiche. Nell'arco di tempo di due generazioni, fra il 70 ed il 135 d.C., i Romani causarono più di tre milioni di morti, la distruzione di tutte le città e dei villaggi più importanti della Giudea, sin quasi a svuotarla dei suoi abitanti; senza contare l'enorme numero di schiavi che fece crollare il mercato, anch'essi morti di stenti o dati in pasto alle fiere negli spettacoli circensi.
Il potere imperiale di Roma annientava chiunque non voleva sottostare al suo dominio, pertanto, buona parte degli ebrei sopravvissuti, ad iniziare dalla diaspora delle Province, scelsero di modificare il concetto di Messia: da "Dominatore del Mondo" in quello di "Messia Salvatore del Mondo".
La nuova dottrina fu ideata dagli Esseni dopo il genocidio effettuato dai legionari romani nel 135 d.C. sotto Adriano. Ebrei Esseni d'Egitto che adottarono il "Logos divino" (Verbo di Dio) concepito, oltre un secolo prima, dal filosofo Filone d'Alessandria, il più influente rappresentante della numerosa comunità ebraica della seconda città dell'Impero Romano, ma la più avanzata nella cultura scientifica e filosofica.

L'elaborazione del "Logos" - incarnato nel Messia "Figlio di Dio", già profetato dagli Esseni nei Rotoli del Mar Morto, rappresentava una divinità che, in quanto tale, avrebbe "garantito" la salvezza della vita eterna ai Suoi credenti. Un "Figlio di Dio" ideato in epoca successiva alla distruzione di Gerusalemme da parte di Tito e la disastrosa rivolta ebraica, del 132/135 d.C., guidata dal "Principe d'Israele" Simon Bar Kokheba.
Dopo questo ulteriore olocausto, g
li Esseni idearono il mito del "Messia Salvatore" ebreo la cui dottrina si sviluppò, attraverso un processo storico, tramite "testimonianze" evangeliche diverse e contrastanti fra loro, al punto di obbligare la convocazione di numerosi Concili nel IV secolo, ad iniziare da quello di Nicea nel 325 d.C., finalizzati a risolvere le controversie cristologiche sulla "sostanza" della divinità del "Salvatore". Il Concilio conclusivo del lungo processo di trasformazione teologica del Cristianesimo - ormai evolutosi in quello Cattolico con l'Editto di Tessalonica del 380 d.C. - fu indetto ad Efeso nel 431. In tale Concilio venne decretato dai Vescovi che la Beata Vergine Maria, Madre di Dio "Theotòkos", aveva generato il Logos che risiedeva nell'uomo Cristo, "Figlio di Dio", seppur già Dio e "consustanziale al Padre dall'inizio dei secoli". In ultima analisi, la "sostanza" definitiva, sancita come dogma e sempre attuale, è questa: "Colui che aveva creato l'umanità" divenne "Figlio della Madre di Dio", pur se la "Madre di Dio Padre consustanziale al Figlio" era anche "Madre del Figlio di Dio Padre". Tale "incesto cosmico primordiale", conseguente alla Santissima Trinità, indusse il Clero a dichiararlo "Dogma coperto da Mistero", dunque impossibile da spiegare. Resta il fatto che chi capisce qualcosa di tale assurdità è bravo. 


L'olocausto ebraico perpetrato dai Romani fu la drammatica conclusione della lotta di un popolo, zelota verso la propria Legge ancestrale e convinto dell'avvento di un Messia, prescelto da Yahweh, capace di fare strage dell'esercito più potente del mondo. Un continuo conflitto del "popolo eletto da Dio" contro l'Impero dominante: lotta che vide i discendenti degli Asmonei affrontare, alla testa degli Zeloti, i legionari e gli ausiliari delle coorti di Roma.
Una triste epopea perfettamente compatibile con le vicende reali di quegli anni, riferite, come abbiamo visto negli studi precedenti, soprattutto da Giuseppe Flavio e Cornelio Tacito, quindi confermate, pur con descrizioni ridotte, anche da Filone Alessandrino, Svetonio e Cassio Dione.



Emilio Salsi

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