appena dopo la morte del vero cronista ebreo Giuseppe Flavio, avvenuta nel 105 d.C.
Da quella data e sino alla sua dipartita lo inviò nelle Chiese di Cristo "per riferire senza errori la tradizione della predicazione apostolica dedicandosi alla stesura della tradizione ivi conservata" (HEc. IV 8,2; IV 22,3).
Eusebio conferì ad "Egesippo" una specializzazione "ad honorem" per la capacità dimostrata nel ricercare màrtiri e cariche ecclesiastiche, Vescovi, Padri e Papi compresi, distinguendolo così dalla ignoranza specifica, in materia, palesata dagli altri cronisti dell'epoca. Il Vescovo cristiano notificò ai posteri che Egesippo, oltre le lingue semitiche, fu anche un profondo conoscitore di greco e latino nonché delle varie dottrine eretiche gnostico gesuite cui abbiamo accennato sopra. Il tutto riferito in cinque libri "Hypomnemata" (Memorie) che nessuno, tranne Eusebio, ha mai visto né letto.
La vita di Egesippo è priva di qualsivoglia riscontro storico, infatti, grazie ad Eusebio, dopo averci "tramandato le prove" dell'esistenza di Padri, Vescovi, Papi, màrtiri e scribi cristiani, a lui contemporanei, nessuno di questi, a loro volta, ha riferito alcunché riguardo Egesippo ... tranne Eusebio: il suo creatore.
Padri che, pur da lui conosciuti personalmente (come riferisce Eusebio), non sapevano dell'esistenza di un ebreo molto erudito, per di più convertito al cristianesimo e sempre in possesso di vangeli originali in aramaico e siriaco.
E' evidente che siamo di fronte ad un “montaggio” che non ha alcun senso né credibilità.
Infatti, dei numerosi Padri Apologisti, Vescovi, Papi e martiri, chiamati ad impersonare la lunga ed ininterrotta "Sequela Christi" - prelati famosi per le cariche rivestite in qualità di Capi di Chiese distribuite in molte città importanti delle province romane - nessuno di questi risulta realmente vissuto in mancanza di riscontri storici extracristiani e tantomeno reperti archeologici. Ed è quanto stiamo per dimostrare.
“Sotto Traiano si scatenò una persecuzione contro di noi. In essa trovò la morte Simone, figlio di Cleopa (Cleofa), che abbiamo indicato come secondo Vescovo di Gerusalemme (dopo Giacomo). Ne è testimone lo stesso Egesippo. Egli soggiunge che Simone, da loro accusato in quel tempo, fu sottoposto per più giorni, perché cristiano, ad ogni tipo di tortura con stupore di chi assisteva e infine subì una morte uguale a quella del Signore. Egli subì il martirio all'età di centoventi anni (sic!) sotto Traiano e il consolare Attico ... Simone, torturato per molti giorni, testimoniò la sua fede in modo tale che tutti, compreso il consolare, si stupirono come un uomo di centoventi anni potesse resistere tanto, poi fu condannato alla crocifissione” (HEc. III 32,1/6).
Lo sproposito di questa descrizione è talmente manifesto che non possiamo fare a meno di stupirci del conformismo acritico palesato da tutti i più importanti docenti spiritualisti di Storia del Cristianesimo, i quali, al contrario, si prodigano per renderla verosimile.
Lo scopo è evidente: fare una ricerca avanzata che riesca a smentire tale sciocchezza impone mettere in discussione non solo la vicenda in sé ma tutta la “tradizione storica” del cristianesimo gesuita riferita da Eusebio e fatta interpretare da Vescovi, Padri e màrtiri. Ogni notizia deve essere accertata tramite riscontri comparati storiografici, epigrafi, archeologia e filologia; pertanto procediamo in tal senso.
Da “Cronache” dello stesso Eusebio, pervenuteci in latino tramite san Girolamo, a sua volta attestato da manoscritti medievali, il martirio avvenne il 108 d.C., “durante l'undicesimo anno del regno di Traiano”.
Solo uno scriba cristiano poteva concepire di far presenziare un ex Console romano "Consularis" (cfr Tacito Ann. XIV 43), con un titolo e rango tale - dopo aver seguito entro questa datazione un cursus attraverso varie Magistrature, nel nostro caso con imperium militare - da meritare essere insignito come “Legatus Augusti pro Praetore” Governatore di Siria col compito primario di intervenire (come avvenne) in una possibile guerra contro i Parti.
Egesippo, incredibilmente, inviò uno dei più potenti funzionari dell'Impero Romano, facendogli percorrere oltre 600 km da Antiochia a Gerusalemme, appositamente ad assistere, per molti giorni, un interminabile supplizio praticato ad un santo vegliardo, accusato assieme ad altri di essere “cristiano”, per poi farlo morire crocifiggendolo come Gesù: unico modo per convincerlo a cessare di vivere.
Dal modo come viene configurato, coinvolgendo più persone, l'argomento risulta talmente grave che, inevitabilmente, avrebbe interessato il diritto romano e per questo la vicenda narrata non avrebbe potuto rimanere sotto silenzio.
Ma questa “testimonianza” è sconosciuta da Plinio il Giovane, il quale, appena quattro anni dopo tale ipotetico evento, con l'approvazione di Traiano, nel 112 d.C. in Bitinia, affrontò il problema dei Cristiani, sotto il profilo giuridico, ufficializzandolo per la prima volta dopo aver svolto un'accurata indagine, verbalizzata e inviata all'Imperatore, senza che gli risultasse l'esistenza di Capi territoriali della Chiesa di Cristo, assisi sul trono episcopale.
L'analisi di questo secondo episodio è riportata nell'argomento sul falso martirio dei cristiani imputato a Nerone.
Lo scriba cristiano che ideò la scenografia del martirio del Vescovo Simone (accreditandola ad Egesippo) si limitò a dare una sbirciatina alla storia riferita nei rotoli dei cronisti imperiali del I secolo per individuare un personaggio reale da far diventare “testimone storico” allo scopo di rendere credibile la vicenda narrata: il "Consolare Attico", come risulta dal brano di Eusebio riportato sopra.
Ma l'artista amanuense medievale (l'epoca in cui furono redatti i primi manoscritti) avrebbe fatto meglio ad approfondire la conoscenza degli avvenimenti reali anziché preoccuparsi di decorare il suo codice con bellissime sacre immagini iconografiche.
Trattandosi di un Console, il cognomen “Attico”, a se stante, è troppo riduttivo e incompleto per essere riferito da un autentico storico: se Egesippo fosse realmente esistito dal 110 al 180 d.C. (secondo le testimonianze ecclesiastiche), sarebbe stato contemporaneo di due Consoli con questo appellativo, padre e figlio, nominati, il primo il 133 d.C. sotto Adriano, di cui era amico personale, ed il secondo, ancor più famoso, nel 143 d.C. sotto Antonino Pio.
Un autentico cronista - essendo coetaneo (come appare Egesippo) del secondo “Attico”, il figlio, ben più famoso del padre - si sarebbe sentito in obbligo di distinguerli e citarli col nome completo dimostrando una conoscenza credibile dei personaggi come fecero i veri storici che li descrissero. Esattamente come risulta dalle epigrafi rinvenute che hanno consentito agli archeologi di fissare con precisione la datazione del consolato del primo “Attico” padre ... fatto passare come “martirizzatore” del Vescovo Simone. Mentre riguardo il figlio del Console, essendo rinomato per la sua cultura e ricco patrocinatore di monumenti importanti, storiografia e vestigia archeologiche ne hanno tramandato le gesta nei minimi particolari sin da quando era ancora in vita.
Il nome completo del padre era “Tiberio Claudio Attico Erode”, quello del figlio “Lucio Vibullio Ipparco (figlio di) Tiberio Claudio Attico Erode”, tipico dell'onomastica romana del II secolo che indusse la nobiltà dell'impero ad aggiungere al proprio anche i nomi degli avi originando lunghi poliònimi.
Dovute queste precisazioni - tenuto conto della puerile scena sopra descritta già di per sé impossibile, a dimostrazione della narrazione inventata - non resta che stabilire l'anno in cui il primo “Attico” fu nominato Console.
Nel 1986, a Bad Wuimpfen nel Baden-Württemberg, in un antico quartiere militare sotto dominio romano, divenuto in seguito civitas capoluogo di nome "Alisinensium" nella Provincia imperiale della Germania Superiore, sono state rinvenute due piccole lamine di bronzo che, ricongiunte, si sono rivelate un "Diploma Militare Romano" appartenuto ad un veterano della II Cohors Hispanorum:
AE 1990, 0763 = (Diplomi Militari Romani) RMD-03,159.
[Imp(erator) Caesar divi Traiani Parthic(i) f(ilius) Traianus Hadrianus Aug(ustus) ... equitibus et peditibus duxiss(ent) dumtaxat] sing(uli) singul(as)/ P(ublius) Sufenas [Verus]/Ti(berius) Claudius Atticus [Herodes Co(n)s(ulibus)] /Coh(ortis) II Hi[s]p[anor(um) P(iae) F(idelis) cui prae(e)st] / L(ucius?) [ // ] Ti(beri) Iul[i [Urbani?] / Q(uinti) Lolli [Festi] / L(uci) Pulli [Anthi(?)
Il ritrovamento di questo Diploma rilasciato da Adriano (i cui attributi imperiali risultano deteriorati) è datato fra il 129 e il 133 d.C. da Margaret Roxan, specialista di fama mondiale. Tale reperto - che cita Tiberio Claudio Attico Erode insieme a Publio Sufenate Vero, entrambi Consoli - si aggiunge a un altro Diploma, che li vede sempre protagonisti come capi militari di quel limes dell'Impero, rinvenuto nel 1991 a Mautern in Austria, nell'antica Provincia romana del Noricum, rilasciato in età adrianea e datato successivamente al 129 d.C., anno in cui l'Imperatore acconsentì ad essere chiamato col titolo di eccellenza “Pater Patriae” proposto dal Senato l'anno prima e attestato dalle numerose monete ritrovate. Il Diploma:
CIL 16, 00174 = AE 1991, 1286.
[IMP(erator) Caesar divi Traiani Pa]rthici f(ilius) divi N[ervae n(epos)] / [Traianus Hadrian]us Aug(ustus) Pont(ifex) [Max(imus)] / [trib(unicia) pot(estate) Co(n)s(ul)] P(ater) P(atriae) [equitib(us) et peditib(us) qui milit(averunt) in] alis III et Coh(ortibus) V / [I Augusta Thracu]m et I Pann(oniorum) Tam[piana Victrix et I Commagenorum] / [et] I Tungr(orum) |(milliaria) vex(illatio)/[et N]oricor(um) [ ] cum est civitas iis [dat(a) aut siqui caelibes] / essent cum iis qu[as post(ea) dux(issent) dum]/taxat singul(i) singul[as P(ublius) Sufenas] Verus / Ti(berius) Claud[ius Herodes Atticus Co(n)s(ulibus)] / Coh(ortis) II Batavor(um) [(milliaria) cui prae(e)st] / L(ucius) Vitellius /ex/ Octavius Octa[vi f(ili)
Considerato che Publio Sufenate Vero fu uno dei Legati dell'antica Provincia romana di Licia e Pamfilia (nell'attuale Turchia) con un mandato iniziato il 129 fino a quasi tutto il 132 d.C., incarico confermato dal "dossier Opramoas"*; tenuto conto che solo al termine di questo ruolo fu designato Console ordinarius (fra i due), i fatti portano gli studiosi a concludere che l'anziano Atticus fu nominato Console suffectus dopo l'investitura a Console prior del legato P. Sufenate Vero, quindi meno di undici anni prima che il figlio diventasse Console ordinarius nel 143 sotto Antonino Pio. Mentre la nomina a Senatore di Erode Attico padre, concessa dal senato con gli "ornamenta praetoria", viene fatta risalire dalle evidenze storiche ai primi anni del regno di Adriano. A tal fine concorre anche la testimonianza di Filostrato in “Vitae Sophisti” (2,1,1) ove il retore attesta che Erode Attico figlio "apparteneva per parte di padre ad una famiglia che aveva esercitato il consolato due volte".
* Licio Opramoas fu un Sommo Sacerdote pagano del II secolo, ricco notabile e benefattore in favore dei deboli, che fece riprodurre sulle pareti del proprio monumento sepolcrale a Rhodiapolis (sud dell'Anatolia nell'attuale Turchia) 69 documenti, oggi fondamentali per ricostruire la serie dei Governatori e Sommi Sacerdoti "ἀρχιερεῖς" (Archiereis) della Provincia imperiale romana di "Lycia et Pamphylia" durante il periodo compreso fra il 103 ed il 152 d.C.
Tali risultanze, dopo aver dato seguito a numerose pubblicazioni, sono state trattate al Wolfson College di Oxford il 7 Novembre 1996. Mano a mano, nel mondo accademico, si consolidava la consapevolezza che Claudio Erode Attico padre, fu nominato Console suffectus successivamente al 132 d.C., sotto Adriano e non sotto Traiano.
Studiosi specializzati in epigrafi, archeologia, storia e filologia, come Margaret Roxan, Géza Alföldy, Werner Eck, Anthony R. Birley, E. Groag, Anthony Spawforth, Malcom Errington e via via, hanno pubblicato analisi pervenendo a questo risultato pur evitando di polemizzare apertamente con la testimonianza di Eusebio-Egesippo.
Una scelta, dettata più da una esigenza politica che scientifica, intesa a non urtare la suscettibiltà di eclesiastici e fedeli “lesi” nel proprio credo che mal avrebbero digerito un riscontro storico tale da far "saltare" la veridicità della sequenza dei "successori degli apostoli" del Salvatore ... fino a coinvolgere l'intera "struttura ecclesiastica" - documentata da Eusebio di Cesarea e ufficializzata da tutte le odierne Chiese.
Un impianto storiografico - ideato dal Vescovo prima del 325 d.C. a fondamento della "tradizione cristiana" - il quale, stando alla artificiosa documentazione manoscritta in epoca medievale, resse le sorti dell'intera ecuméne dalla morte del Redentore sino alla fine del II secolo d.C. Ma, purtroppo per i credenti chiesastici, gli accertamenti successivi (cfr ZPE 174 anno 2010: Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik - Reinhold Merkelbach und Ludwig Koenen) dimostrano che ai Consoli Publio Sufenate Vero (Consul prior) e Tiberio Claudio Erode Attico (Consul suffectus) fu conferito da Adriano l'onore di reggere il consolato, uno dopo l'altro, nel 133 d.C.
Prima dei ritrovamenti archeologici dei RDM (Diplomi Militari Romani), la ipotesi più caldeggiata - ostentata con magniloquenza da molti storici spiritualisti di fama - dava, assurdamente, la Giudea elevata da Traiano al rango di Provincia imperiale autonoma, non più annessa alla Siria, per giustificare la presenza di un Console incaricato dal Cesare al governo diretto di quel territorio, sino al punto di manipolare le precise risultanze storiche (oltre che logiche) laddove si attestano (cfr Cassio Dione "Storia Romana" LXVIII 14; confermata dall'iscrizione "AE 206, 1834") la presenza del Console "Aulo Cornelio Palma Frontoniano" incaricato da Traiano come Governatore di Siria dal 105 al 109 d.C.
Una manipolazione della storia "necessaria" al Console Attico affinché potesse “martirizzare” il coriaceo, duro a morire, centoventenne Simone, il “secondo Vescovo di Gerusalemme” che, secondo quanto hanno voluto farci credere gli eminenti esegeti cristiani, sostituì “Giacomo il Minore”, Vescovo martire, quarantasei anni prima di lui.
Dopo aver accertato che non è mai esistito un “secondo Vescovo”, a maggior ragione non è mai potuto esistitere un “primo Vescovo” di Gerusalemme … pertanto il Giacomo, fratello di Gesù, riferito da Giuseppe Flavio, non poteva essere il fratello di Gesù Cristo eletto dagli apostoli "Vescovo di Gerusalemme" dopo la morte e resurrezione del Redentore, bensì un altro: Giacomo figlio di Damneo che, a sua volta era fratello di un Sommo Sacerdote anche lui di nome "Gesù". Come abbiamo già dimostrato nell'apposita analisi pubblicata nel precedente argomento.
Indifferente alle risultanze filologiche, storiche ed archeologiche, che obbligano modificare ipotesi insostenibili, la docente di storia dell'università Cattolica, Marta Sordi, in “Fazioni e congiure nel mondo antico”, pubblicato nel 1999, in una nota a piè di pagina 95, evitando con opportuno calcolo che avrebbe dovuto riferire di un "Console", afferma con proterva autorevolezza:
“Tiberiano, governatore della Palestina, da identificarsi (sic!) probabilmente (marcia indietro) con Tiberio Claudio Attico Erode ...”
Nessun insegnante di storia può permettersi di asservire la storia al catechismo perchè, una volta scoperto il malriuscito espediente, inevitabilmente, il nome dell'autore rimarrà nella ... storia.
Nel 2003, in “Cassio Dione e l'impero romano da Nerva ad Antonino Pio. Alla luce dei nuovi documenti”, l'autore Guido Migliorati, docente dell'Università Cattolica, preso atto delle prove che hanno indotto accademici di molti paesi a rivedere una convinzione iniziale - generalizzata ma superficiale, in linea con credenze puerili indotte - non intenzionato ad abdicare alla propria dignità deontologica professionale, a pagina 262 così riferisce:
“Tiberio Claudio Erode Attico al quale furono concessi gli ornamenta praetoria grazie ad un decreto del senato divenne console nel 132, dunque sotto Adriano e non sotto Traiano”.
Lo studioso non va oltre, evitando, come i colleghi di altri Stati, di approfondire l'analisi comparandola alla veridicità della pseudostoriografia eusebiana e trarne conseguenze oltremodo scomode in quanto dirompenti per la fede cristiana. Infatti il primo Vescovo gesuita a scomparire sarà proprio il successore di Simone: Giuda Giusto, figlio di Giacomo il Giusto fratello di Gesù. La fraudolenta "tradizione" cristiana oserà insediare nell'inesistente "soglio episcopale" di Gerusalemme addirittura un nipote di Cristo. Così san Girolamo in "Cronache":
"Simone, figlio di Cleofa, che era Vescovo di Gerusalemme, fu crocifisso durante la persecuzione di Traiano contro i Cristiani. Gli successe Giusto".
Secondo le "Costituzioni Apostoliche" (7,46): "... gli successe Giuda, figlio di Giacomo il Giusto".
Confermato da Epifanio di Salamina in "Panarion" (66,20,1) e, primo fra tutti, attestato da Eusebio di Cesarea nella famosa "Historia Ecclesiastica" (III 35). A Giuda Giusto, figlio del fratello di Gesù, Giacomo il Giusto, l'impenitente falsario Eusebio (HEc. IV 5,3-34) fa succedere una sfilza di ulteriori dodici immaginari Vescovi di Gerusalemme con l'accortezza, facile a capirsi come già sopra riferito, di concluderla prima dell'avvento di Simone bar Kochba, Principe dei Giudei, l'ultimo Messia ebraico che osò sfidare la potenza di Roma.
Evidenziamo ancora una volta che, Giacomo, Simone e Giuda Giusto, i primi tre Vescovi di Gerusalemme, inventati dalla posticcia "tradizione" cristiana, erano "legati al Signore da vincoli di carne".
“Eusebio di Cesarea”, un Vescovo cristiano potente e privilegiato - ma fanatico altrettanto quanto la fede che gli accecava la ragione - dal trono episcopale su cui era assiso, si permise di inventare, scrivere e ufficializzare una falsa "Storia Ecclesiastica", ancora oggi riconosciuta come fondamento del Cristianesimo primitivo, destinata ai credenti “beati poveri di spirito”, che definiamo “ingenua” solo per usare un garbato eufemismo … molto, molto riduttivo.
E siamo solo all'inizio.
Emilio Salsi