Dai falsi miracoli alla Sindone: Santi Padri inventarono la "Tradizione" cristiana


Proemio

Questa indagine intende dimostrare che la “Sacra Sindone” è una immagine artefatta della salma di Cristo, la quale, stando alla convinzione dei credenti, rimase impressa nel lenzuolo quando, secondo la narrazione evangelica, Gesù venne collocato nel sepolcro. In realtà, come proveremo più avanti, fu eseguita artificialmente da un artista, oltre un millennio dopo l’invenzione del Suo mito, su commissione del potente Clero interessato a convincere il popolino della effettiva esistenza del Salvatore e, inevitabilmente, essere considerata dai fedeli la reliquia di Gesù più famosa del mondo. Una credibilità tutt’oggi frutto della costante e capillare propaganda, totalmente acritica, diffusa da tutti i mezzi di comunicazione di massa allo scopo di inculcare nei creduloni la certezza della sua autenticità.
Ciononostante, al fine di smontare tale incessante lavaggio del cervello, è sufficiente leggere i vangeli per capire, facilmente, l’impossibilità che siano rimaste impronte di una precisa immagine lasciate dal sangue e dal sudore copiosamente intrisi nel lenzuolo funebre in cui fu avvolto il corpo di Cristo quando venne deposto dalla croce da Giuseppe di Arimatea: un sinedrista convertito (mai esistito: vedi VIII studio) incaricato dagli evangelisti, assieme a Nicodemo, di trasportare le membra martoriate del cadavere, avvolto nella sindone, dal Golgota al sepolcro di sua proprietà. Un percorso che, pur ipotizzandolo breve, avrebbe talmente scosso la salma insanguinata, durante il trasloco, al punto di imbrattare alla rinfusa il telo di lino, col risultato di rendere impossibile riconoscere le fattezze dell’uomo in esso avviluppato.
 
Indifferenti a tali risultanze elementari, i sindonologi odierni proclamano che le tracce, impresse sulla Sindone, sin dall’inizio erano talmente esatte da rappresentare perfettamente l’intera immagine di Gesù.
Al contrario, dalla cronaca evangelica risulta che, prima di essere crocifisso, il Salvatore venne flagellato e lacerato a sangue durante una lunga “via crucis”, fu quindi sottoposto a torture continue sino a farlo morire sulla croce, interamente ricoperto di sangue, dopo una straziante agonia.
Una rappresentazione significativa di tale mitico evento ci viene fornita dal film di successo mondiale “La passione di Cristo”, diretto da Mel Gibson, un cineasta in piena crisi mistica (… non di incassi) che, pur di indottrinare le masse, ha deciso di realizzare il sequel della “Passione” incentrato sulla “Risurrezione” e conseguente ... "Riscossione".
Ma, anche in questo caso, i miscredenti si tranquillizzino perché, grazie alla semplice lettura dei vangeli e delle “testimonianze” contrastanti in essi contenute, alla fine di questa ricerca, oltre la falsificazione della Sindone, si accerta anche l’inganno della “Risurrezione di Cristo”.
Torniamo adesso sulla “Sacra Sindone”, fin dagli Atti preliminari, per seguirne le “impronte” e dimostrare ai credenti che, in ottemperanza alla semplice lettura dei vangeli e le dovute considerazioni appena descritte, nel corso dei secoli, nessuno storico cristiano, Vescovo, Padre, o Dottore Chiesa, tutti beatificati, così come in nessuno dei numerosi Concili iconofili o iconoclasti (pro o contro le immagini sacre), indetti dalla Chiesa nel primo millennio, ha mai osato azzardare lipotesi dell
esistenza di unaSindone”, sopravvissuta alla passione ed alla risurrezione del Salvatore.


Il Tempio di Gerusalemme e i falsi miracoli apostolici


Nel I studio abbiamo provato l’invenzione - fatta dagli scribi cristiani degli "Atti degli Apostoli" - di un fittizio “Atto del Sinedrio” che vide come protagonisti inesistenti Apostoli fatti arrestare dal Sommo Sacerdote per “essere messi a morte”. I Santi Successori, incaricati da Cristo per continuare a diffondere il messaggio della salvezza dopo la Sua Passione e ascensione in cielo, mentre risiedevano ancora nella città santa di Gerusalemme, furono accusati dal Sinedrio di “aver predicato in nome di costui (Gesù) ed aver fatto troppi miracoli davanti al portico di Salomone(At 5,13-16). Sono accuse ridicole: perché mai un Sommo Sacerdote del Tempio avrebbe dovuto uccidere chi aveva poteri divini simili? Siamo di fronte a un “Credo” basato sulla unica testimonianza trasmessa da “Sacre Scritture”. In esse si narra di uomini, come Gesù e Apostoli, vissuti circa duemila anni fa, dotati di poteri sovrumani e autori di prodigi straordinari; uomini che, secondo le narrazioni evangeliche, interagirono con altri uomini famosi, realmente esistiti, pertanto rintracciabili nella storiografia dell’epoca.

Scorrendo il I studio abbiamo accertato che l’indagine sulla falsa testimonianza di Theudas (san Taddeo), fatta rendere a Gamalièle da Luca, è basata su un profilo esclusivamente storico, semplice da verificare perché l'anno della morte di Erode Agrippa I si trova in una qualsiasi enciclopedia; lo stesso vale per i dati dei Procuratori romani Cuspio Fado e Tiberio Giulio Alessandro.
Eppure, la stessa informazione “teologica” di questo "Atto del Sinedrio" posticcio, così come è riportata nel testo, richiede un ulteriore approfondimento critico perché, secondo quanto descritto da san Luca, gli “Apostoli” furono fatti arrestare dal “Sommo Sacerdote e dai Sadducei pieni di livore” in quanto colpevoli di:

Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli Apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; degli altri, nessuno osava associarsi a loro (gli Apostoli), ma il popolo li esaltava. Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti (Atti 5,12/16).

L’assurda esagerazione di quanto descritto si commenta da sé (è solo un piccolo esempio), pertanto la prima domanda da porsi è: come si spiega che la storiografia particolareggiata degli eventi giudaici del I secolo, riferita dal sacerdote fariseo Giuseppe Flavio, di famiglia sacerdotale aristocratica residente in Gerusalemme proprio in quegli anni, e lui stesso membro del Sinedrio, non riporta simili eventi? La risposta, inequivocabilmente, è una sola: non sono mai accaduti.
Oltre all'evidente paradosso della vicenda narrata, questa affermazione è suffragata da un importante dettaglio: il portico di Salomone, dove si riunivano gli Apostoli fautori di miracoli, non esisteva al tempo in cui san Luca inserisce lepisodio, subito dopo la morte di Cristo. Vediamo perché.


Il Tempio

In “Antichità Giudaiche” (Ed. UTET 1998), Luigi Moraldi, il curatore della traduzione incaricato dal biblista esegeta Cardinale Martini, a piè di pag. 980 (Libro XV), nota n° 96, riporta vari autori di studi sul Tempio di Gerusalemme basati, tra l’altro, su scavi archeologici. Va aggiunto che, secondo i ricercatori odierni dello "Israel Antiquities Authority", di resti del Tempio erodiano non è rimasto quasi nulla tranne qualche pietra e due epigrafi di marmo che vietavano ai Gentili pagani di oltrepassare l'area ad essi riservata.

Alla pag. 984, nota n° 104, riferita alla “velocità del lavoro del Tempio”, iniziato nel 23/22 a.C. e inaugurato da Erode il Grande nel 18 a.C., lo stesso Moraldi afferma che “in realtà l’intera opera fu completata fra il 62 e il 64 d.C.”, quindi sotto il Procuratore Albino al tempo di Nerone, e certamente dopo le strabilianti esibizioni degli Apostoli sotto un portico allora inesistente.

Questa è la tesi accettata da quasi la totalità degli archeologi da oltre mezzo secolo e condivisa da molti esegeti credenti i quali, però, evitano di approfondire per non evidenziare le gravi contraddizioni con le “testimonianze evangeliche”. Come fa lo stesso Moraldi quando, nella nota n° 104, si limita a citare il vangelo di Giovanni ove si parla del Tempio (Gv 2,20) ma “dimentica” di riferire i miracoli fatti dagli Apostoli sotto il “Portico di Salomone” del medesimo Tempio in Gerusalemme. La sbrigativa concisione del Moraldi è comprensibile: nel brano citato del vangelo i Giudei dicono a Gesù che il Tempio venne costruito in 46 anni, senza che Cristo obiettasse simile affermazione totalmente sbagliata, non solo, meditando ... il Salvatore passeggiava sotto quell'inesistente portico (Gv 10,23). Ecco spiegato perché lo studioso ha evitato l'imbarazzante approfondimento.
Oltre a ciò dobbiamo evidenziare che, secondo la "Tradizione", il longevo apostolo "Giovanni" scrisse il suo vangelo alla fine del I secolo, cioè quasi trenta anni dopo che il Tempio venisse distrutto da Tito, pertanto l'evangelista, se fosse veramente esistito, nel riferire la sua "parabola" avrebbe innanzitutto descritto il grave evento e "suggerito" a Gesù, da vivo, come replicare ai Giudei, dissuadendo il Redentore, ad ogni costo, di passeggiare sotto l'inesistente portico di Salomone.

Dopo queste premesse, pur tuttavia, da parte nostra si rende necessario una ulteriore verifica critica per accertare gli errori commessi dagli scribi cristiani quando stilarono gli "Atti" e trascrissero il vangelo di Giovanni a suo nome ... molto tempo dopo i fatti narrati incappando nel grossolano errore.
Dalla documentazione storica non risulta che, dopo l’inaugurazione del Tempio, i lavori vennero sospesi e non furono realizzati i porticati dallo stesso Erode il Grande; al contrario, Giuseppe Flavio descrive l'intera opera finita e la sua inaugurazione nel XV libro pertanto non si può concordare con le conclusioni riferite dal Moraldi e da chi le condivide perché, come sempre affermato, le informazioni precise e particolareggiate pervenuteci dalla storia siamo tenuti a rispettarle.
Poco dopo la morte di Erode il Grande (Ant. XVII par. 254/264), per la Pentecoste ebraica del 4 a.C. scoppiò una violenta rivolta in Gerusalemme contro il Procuratore romano Tizio Sabino (divamperà poi in una guerra allargata anche alla Galilea) cui aderirono Giudei, Galilei e Idumei. Nel corso dei combattimenti:

... i ribelli montarono sui portici che circondano il cortile esterno del Tempio (par. 259) … allora i Romani, trovandosi in una situazione disperata, diedero fuoco ai portici, … e il tetto, saturo di pece e cera si arrese alle fiamme e quellopera grandiosa e magnifica fu completamente distrutta” (par. 262).

Secondo quanto descritto dallo storico ebreo, le colonne in monolito del porticato erano “legate” all'àpice da imponenti strutture in legno, a guisa di architravi, su cui poggiava il soffitto: I soffitti del portico furono fatti di legno massiccio …” (Ant. XV 416).
Il crollo delle altissime colonne fu conseguente al precipitare della pesante soffittatura incendiata in maniera irregolare, travolgendo quindi le stesse con un effetto a cascata, le une addosso alle altre. Da notare che il portico di Salomone era a picco su di una profonda valle (valle del Cedron) in cui finirono molte, disintegrandosi irrimediabilmente.
Lo storico ebreo illustra dettagliatamente il Tempio anche in “La Guerra Giudaica”, la sua prima opera completata negli anni settanta sotto Vespasiano, nel Libro V dal par. 184 al 226.
La disamina descrive le tre cinta murarie di Gerusalemme nei par. 136/183, poi, dal par. 142 al 145 leggiamo:

Il più antico dei tre muri, partendo dalla Torre Ippico raggiungeva il portico orientale del Tempio.

Il "portico orientale" era quello di Salomone, così chiamato in onore del famoso Re biblico che fu il primo a realizzare il tempio israelita. In “Bellum”, le esposizioni del “muro antico” e del Tempio sono “statiche” - non essendo collegate ad azione di guerra contingente che coinvolge tutti i porticati - diversamente da quanto riferito sopra nell’episodio della rivolta in Gerusalemme, dopo la morte di Erode il Grande; quando, allora, vennero distrutti completamente. Giuseppe Flavio, nel 75 d.C., ancora non sapeva che avrebbe scritto "Antichità Giudaiche", pertanto rappresentò quelle opere imponenti nel Libro V di “Bellum” (Tempio e cinta murarie) prima che venissero demolite definitivamente da Tito. Il condottiero romano lasciò in piedi solo alcune torri fortificate per scopi militari.
Le descrizioni del Tempio e delle mura con le imponenti torri, riferite dettagliatamente nelle dimensioni, Giuseppe ha potuto farle solo guardando i progetti esecutivi che si premurò di salvare con il consenso dello stesso Tito. E’ impossibile, per chiunque, citare misurazioni talmente precise da permettere la ricostruzione esatta di modelli in scala ridotta. Poco prima del saccheggio di Gerusalemme, in "Autobiografia" lo storico ebreo riferisce:

"... non essendovi nulla da conservare di così prezioso che il suo possesso potesse dar conforto alle mie sventure, feci richiesta e ottenni, per graziosa concessione di Tito, dei libri sacri" (Bios cap. 75 par. 418).

Sempre Giuseppe, nell'ultima sua opera, "Contro Apione" Libro I dal par. 28 al 46, evidenzia la cura costante da parte dei Sacerdoti e Sommi Sacerdoti del Tempio nel redigere:

"Annali degni di fede per trasmettere il ricordo degli eventi pubblici di cui le mie Antichità", dichiara egli stesso,"ne sono un estratto fedele ... e fino ai nostri giorni questo costume è stato osservato".

Lo storico ebreo scrisse negli anni novanta, sotto Domiziano, “Antichità Giudaiche”, la sua opera maggiormente particolareggiata, nella quale dedicò un intero capitolo al “Portico di Salomone”. Di quest'opera riferì che Re Erode Agrippa II, alla fine del 63, inizi 64 d.C. (poco prima dell’arrivo del nuovo Procuratore Gessio Floro inviato da Nerone in sostituzione di Albino), decretò che non venisse eretto per il costo eccessivo (Ant. XX 222).
Questa datazione ci obbliga ad evidenziare un fatto importante: Giuseppe Flavio non era in Gerusalemme quando il Re decise di non ricostruire il portico. Come riferisce nella sua “Autobiografia” (3,13/16), alla fine del 63 fu inviato a Roma, dal Sinedrio, per chiedere a Nerone la scarcerazione di alcuni Sacerdoti ebrei arrestati dal precedente Procuratore Antonio Felice … e vi rimase sino a circa metà 65 d.C. (ibid 4,17).
Quando rientrò in patria, nel 66 d.C., la tensione rivoluzionaria era già in atto, gli eventi stavano precipitando, e Giuseppe, come tutti, era preoccupato più del futuro che del passato e non seppe, allora, il particolare riguardante il Tempio. Questo spiega perché non riportò in Bellum l'episodio di Re Agrippa II; ma lo saprà grazie ai Sacerdoti ebrei che continuavano a registrare "annali degni di fede per trasmettere il ricordo degli eventi pubblici".
Pertanto "Antichità" diventa la prova che il Portico di Salomone non venne più riedificato, altrimenti lo storico fariseo sarebbe stato obbligato a riferire una notizia così importante, almeno quanto gli stupefacenti miracoli esibiti dagli Apostoli ... sconosciuti nei loro annali anche dai Sacerdoti e Sommi Sacerdoti del Tempio.

Verso la fine della procuratela di Albino (Ant. XX 219/223), in merito alla richiesta del popolo ebraico che voleva innalzare il portico di Salomone, Re Agrippa II dichiarò: “E’ sempre facile demolire una struttura” … Questa frase non si riferiva ad una demolizione da effettuarsi, ma già avvenuta nel passato: la distruzione dei portici causata dal fuoco dei Romani per difendersi dagli insorti. E aggiunse il Re: “… è difficile erigerne unaltra (struttura) e ancor più questo portico. Il portico di Salomone non avrebbe avuto alcun motivo per essere più difficile degli altri due già nuovamente eretti se non per il maggior numero di colonne che andarono distrutte, precipitate nella valle del Cedron, direttamente sottostante il Portico di Salomone. Semmai il portico più impegnativo fu senz'altro il Portico Reale, a sud, ma già ricostruito.
Oltre ogni ragionevole dubbio, ciò che rende inconfutabile la prova dell’inesistenza del portico di Salomone durante il periodoapostolico” è l’affermazione lapidaria dello storico concernente l'evento datato fine 63 inizi 64 d.C.:

“… i Gerosolimitani spinsero il Re ad innalzare il portico orientale. Questa era un'opera del Re Salomone che per primo eresse tutto il Tempio” (Ant. XX 220/1), che si conclude con il decreto reale altrettanto lapidario di Agrippa II: “… respinse il Re perciò la loro richiesta (ib. 222).

Buona parte degli storici credenti riconosce “l’errore” dell’evangelista Luca (che riferisce i miracoli degli Apostoli al Portico di Salomone), altri, viceversa, cercano di porvi rimedio con tergiversazioni ingenue e superflue … Beh, vanno compresi! Non è così facile ammettere di essere stati “dolciotti” e aver subito un lavaggio del cervello basato sull’illusione della vita eterna. Soprattutto da parte di coloro che, già indottrinati, a loro volta si sono dedicati ad una propaganda capillare intesa a fare nuovi proseliti facendo il lavaggio del cervello ad altri: lo chiamano “apostolato”…

Il popolo fuor di sé per lo stupore (di un miracolo) accorse presso gli Apostoli al portico detto di Salomone. Vedendo ciò Pietro disse al popolo: Uomini d’Israele, il Dio di Abramo e Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete rinnegato e consegnato a Pilato, mentre egli (Pilato) aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete ucciso lautore della vita. Ma Dio lo ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni (At 3,11/15).

Inesistenti Apostoli, autori di miracoli e sermoni, inventati sotto un inesistente portico: con una testimonianza simile anche noi atei non potremo esimerci dal credere nella “Risurrezione di Cristo”, soprattutto perché lo stesso Salvatore riuscì a compiere il Miracolo dei Miracoli facendo "risorgere" il portico di Salomone distrutto dai Romani:

"Ricorreva a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno. Gesù passeggiava nel Tempio sotto il portico di Salomone" (Gv 10,23).

Secondo i Vangeli, i Gerosolimitani, quando spinsero Agrippa II ad innalzare il portico, erano tutti rimbambiti ... ed il Re ancor più di loro, dal momento che, essendo stato il portico già ricostruito, avrebbe potuto accontentarli "gratis" ... grazie alla benevolenza di Gesù.



La 'tradizione cristiana' spaccia per cristiani gli imperatori Filippo l'Arabo e Costantino il Grande


Come abbiamo già riferito nei precedenti studi, Eusebio di Cesarea fu il primo cristiano della Corte dell'Imperatore Costantino in grado di accedere agli Archivi di Stato e manomettere le cronache passate. Il venerabile Vescovo ebbe in tal modo l'opportunità di “costruire” una “Tradizione”, consistente in personaggi cristiani inventati, da trasmettere ai posteri sotto forma di “Historia Ecclesiastica”.
Simile “Tradizione”, impersonata e rappresentata da “testimoni diretti”, era indispensabile per dimostrare l'Avvento di Cristo, nuovo Dio, ed i successivi seguaci del Suo insegnamento, sin dal I secolo. Una "Tradizione" riconosciuta come storicamente comprovata, pertanto ufficializzata da tutte le Chiese Cristiane del mondo e tutt'oggi propagandata, addirittura, nelle scuole di formazione giovanile, come deliberato in Paesi retti da Governi legati a doppio filo col potere confessionale. "Tradizione" che si avvalse della effettiva presenza, nell'Impero, dei Cristiani (Messianisti) Giudei in attesa dell'avvento del loro Messia davidico prescelto da Dio per liberarli dall'asservimento pagano. Questi Messianisti, perseguitati dai Romani, furono fatti passare per "Cristiani gesuiti".

Malauguratamente - per coloro dèditi a fare “apostolato” indottrinando e sottoponendo i giovani a narrazioni banali e puerili - tramite l'ausilio di archeologia e filologia abbiamo evidenziato le “cantonate” prese dagli amanuensi quando inserirono dati storici reali e significativi sia nei vangeli che negli scritti patristici, per renderli veritieri, senza approfondire cautelativamente gli studi attraverso la comparazione degli eventi letti, prima di attestarli.
Dati storici fallaci - ancora latenti negli "scritti sacri", sopravvissuti all'evoluzione di un mito giudaico originale prima di essere riformato dal cristianesimo paolino - sfuggiti ai copisti dei vangeli primitivi, quando li trascrissero in quelli attuali, perché non analizzati compiutamente prima di essere manipolati da persone, oltre tutto, estranee ai costumi israeliti del I secolo.

Una sequela di errori derivati dalla superficialità nel maneggiare dati storici, come avvenuto per la incredibile coincidenza della fantasiosa comunità di cristiani gesuiti, convertiti in massa dai miracoli di san Paolo ad Efeso e Provincia d'Asia. La totale cristianizzazione di quella grande regione - in virtù di Paolo e, dopo di lui, san Giovanni apostolo - viene smentita dalla storia perché in contrasto alla presenza, reale, del Governatore di quella Provincia: Cornelio Tacito, il più famoso cronista pagano dell'epoca ... il quale li avrebbe quantomeno denunciati a Traiano come fece Plinio il Giovane nella vicina Bitinia (vedi studi V e X). La presenza, data per assoluta in "Atti degli Apostoli", di Cristiani residenti nel territorio governato dal sacerdote pagano Tacito è assurda, e lo abbiamo verificato negli studi precedenti, ma sfuggita all'impostore Vescovo, storico cristiano del IV secolo, Eusebio di Cesarea, quando volle far apparire nel mondo conosciuto di allora numerose “Ecclesiae” di seguaci di Gesù, già convertiti in massa grazie al Suo “Avvento” e “Resurrezione”.

Filippo l'Arabo, imperatore pagano

Ad ulteriore esempio evidenziamo l'espediente truffaldino con cui lo stesso Eusebio intese “testimoniare” ai posteri - nella sua “Historia Ecclesiastica” redatta a tale scopo - anche l'adesione al “cristianesimo gesuita della salvezza” niente meno che l'Imperatore romano Filippo, soprannominato l'Arabo, che detenne il sommo principato dal 244 al 249 d.C.:

Dopo che Gordiano resse l'Impero dei Romani per sei anni interi, gli succedette nell'autorità imperiale Filippo insieme con il figlio Filippo. Si racconta che egli, che era cristiano, il giorno dell'ultima veglia pasquale volle prendere parte con la folla alle preghiere che si tenevano nella Chiesa (dove e quando?); ma da colui che ne era allora a Capo (chi?) non gli fu permesso di entrare (all'Imperatore, sic!) prima di essersi confessato ed unito alla schiera di quanti avevano peccato ed occupavano il posto dei penitenti: perché altrimenti, se non l'avesse fatto, non sarebbe mai stato accolto da lui (il Capo) a causa delle molte accuse che gli si rivolgevano contro. E si dice che egli (l'Imperatore) obbedì (si confessò) di buon grado, dimostrando con le azioni l'autenticità e la devozione del suo sentimento riguardo al timor di Dio(HEc. VI 34).

Non fu casuale la decisione di Eusebio di far apparire cristiano l'Imperatore Filippo I perché la carica più importante del mondo fu rivestita da un cittadino romano di rango equestre, nativo di Shahba della Traconitide (a sud della Siria, già regno di Erode Filippo poi di Re Erode Agrippa I ma, dopo la morte di quest'ultimo, fu riannessa alla Siria da Claudio) e figlio di un capo arabo: da qui l'appellativo di "Filippo l'Arabo".
La Traconitide durante il "ministero pubblico di Gesù" era compresa nella Palestina e la sua capitale, C
esarea di Filippo, fu visitata da Cristo Salvatore insieme agli apostoli (Mc 8,27-33; Mt 16,13-23). Peraltro, la Traconitide era limitrofa alla Galilea, il territorio frequentato dal "Figlio di Dio" ove Egli esibì alle folle molti, stupefacenti, miracoli:

"Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità del popolo. La sua fama si sparse per tutta la Siria e così condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva. E grandi folle lo seguirono dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano" (Mt 4,23).

I prodigi di Gesù, inevitabilmente, furono tramandati oralmente dagli antenati di tutti gli abitanti della zona, pertanto i loro figli ne avrebbero dovuto conservare un ricordo indelebile.
Queste furono le prime considerazioni fatte dal venerabile Vescovo falsario, cortigiano di Costantino, ottant'anni dopo il ridicolo episodio architettato riguardante Filippo l'Arabo. In quanto principale fautore della dottrina salvifica dell'umanità, Eusebio fu costretto a dichiarare cristiano l'Imperatore Filippo I.
Dopo avere magnificato Cristo Salvatore, con poteri al pari di Dio ostentati alle folle palestinesi che lo osannarono, la stessa propaganda ideologica del Vescovo non poteva ammettere il contrasto insanabile di un popolo dimentico di simili mirabilia; a maggior ragione se il caso volle che da quella gente sia disceso un Imperatore di Roma.

Eusebio sapeva che nessun cittadino pagano dell'Impero avrebbe creduto nel mito del prodigioso “Figlio di Dio”, capace di risorgere i defunti e risorto Lui stesso tre giorni dopo morto, se il Princeps dello Stato Romano, nato e cresciuto vicino alla terra dove si era esibito Gesù, non fosse risultato cristiano.
Al Vescovo non restava che una soluzione per superare la palese contraddizione: Filippo doveva entrare nella storia come primo Imperatore gesuita dall'Avvento di Cristo. Ma, come gli esegeti spiritualisti dovrebbero sapere, "il diavolo fa le pentole senza i coperchi": i rinvenimenti archeologici e le autentiche cronache dell'epoca descrivono una realtà imperiale diametralmente opposta facendo eclissare le mire raggiranti degli storici baciapile odierni, basate unicamente sulla “Historia” eusebiana.

Cinque reperti costituiti da Diplomi Militari Romani in lamine di bronzo incise - rilasciati ad personam dall'Imperatore Filippo ai veterani dell'esercito al termine di una onorata carriera militare - provano, tutti inconfutabilmente, a quale culto si dedicava il Cesare:
H. Nesselhauf. Diplomata Militaria, Berlin, anni 1936/1955: CIL (Corpus Inscriptionum Latinarum) XVI 00149; CIL XVI 00151; CIL XVI 00152; CIL XVI 00153 e (riportiamo solo il più breve) CIL XVI 00150:

[IMP(erator) Caes(ar) M(arcus) Iulius Philippus Pius/[Felix Aug(ustus) Pont(ifex) Max(imus) trib(unicia) pot(estate)] III Co(n)s(ul) P(ater) P(atriae)/ [M(arcus) Iulius Philippus nob(ilissimus)] Caes(ar)/[nomina militum qui militaverunt in [a(nte)d(iem)VII Id(us) Ian(uarias)/Coh(ors) [Philippiana P(ia)V(index)/ M(arcus) Aure[lius]/descri[pt(um) et recognit(um) ex tabula aenea/qu(a)e fixa [est in muro post] templ(um) d[ivi Aug(usti) ad Minervam].

Dunque, non fu "Papa universale cattolico", Marco Giulio Filippo, ma "semplice" Pio Pontefice Massimo dell'Impero; perciò, paludato in solenne vesti, professava la liturgia dei sacrifici animali, uccisi con le sue mani, come atto propiziatorio in adorazione delle divinità pagane.
Anziché accostarsi devotamente, "dopo essersi confessato" (dice Eusebio), al sacramento dell'Eucaristia cristiana, alimentandosi con l'Ostia “transustanziata” contenente il “sangue e il corpo di nostro Signore Gesù Cristo” (Corpus Domini nostrum) ... nei sacri rituali Filippo inghiottiva la “Hostia” pagana, tradotto: “la vittima sacrificata agli Dèi”.

Il fatto che l'Imperatore Filippo I, detto l'Arabo, risultasse un devoto cristiano gesuita, timorato del Dio Gesù, é condiviso per esclusivo tornaconto da tutti gli esegeti, con o senza abito talare, credenti nel Suo Avvento e conseguente “salvezza per la vita eterna”. Gli "scienziati spiritualisti" sono consapevoli della necessità di coerenza con "la tradizione cristiana" pertanto si guardano bene dal far conoscere ai fedeli le motivazioni del Vescovo falsario (a questo abbiamo provveduto noi) per non evidenziare contraddizioni che possano vanificare il loro “apostolato”.
Lo stesso Santo (Pietro Giovanni) Mazzarino, illustre storico della Roma antica, non ha saputo fare a meno di “macchiare”, con questo "neo" acritico, la sua pregevole opera “L'Impero Romano” facendo propria la “testimonianza” di Eusebio: avito retaggio di fede cristiana acquisito al Collegio dei Padri Salesiani frequentato da giovane.


Leggiamo come ha argomentato il fideismo incondizionato dell'imperatore la professoressa Marta Sordi, docente di Storia Antica presso l'Università Cattolica di Milano, nel suo libro celebrativo dai toni encomiastici, ottimo panegirico per un proficuo apostolato, “I Cristiani e l'Impero Romano”, Ediz. 2004:

La pacifica espansione del Cristianesimo va di pari passo con la ascesa dei Cristiani nelle classi dirigenti dell'impero e addirittura, con Filippo l'Arabo, al trono imperiale (op. cit. pag. 203).

La insegnante dell'Università Cattolica - alla quale si è unita l'altra geniale filologa Ilaria Ramelli e il solito codazzo ben orchestrato di sostenitori genuflessi - prima di gabellare Catechismo per Storia, tutti insieme, Santo Mazzarino compreso, avrebbero dovuto scrutinare correttamente la storia e criticare, semmai, la “Historia Ecclesiastica” di Eusebio, l'unica fonte dalla quale gli "storici spiritualisti" hanno attinto la informazione ricca di fantasiosi e banali particolari inventati, spacciata come verità. 

Numerosi storici dell'epoca, ancorché gesuiti convinti, riferirono le cronache degli Imperatori romani del III secolo, ma nessuno di loro riportò che Filippo era un cristiano, tranne Eusebio, il primo, ed il succedaneo Giovanni Crisostomo, Patriarca di Costantinopoli. Questi ne riprese l'annunzio intorno al 400 d.C. completandolo col nome dello sconosciuto, sino a quella data, Capo cristiano che diffidò l'Imperatore Filippo dall'entrare in Chiesa se prima non si fosse confessato: san Babila, un altro Vescovo inventato, senza dati anagrafici e con un semplice nome in contrasto alla carica rivestita ed alla prassi imperiale romana che imponeva tre nomi propri (tria nomina) necessari per identificare le persone; mentre la "tradizione" lo dichiara come Capo spirituale della Diocesi di Antiochia e beatificato … al quale, nei secoli a venire, verranno dedicate Chiese, Piazze e Teatri.
Il Venerabilissimo Arcivescovo Crisostomo, essendo lui sì nativo di Antiochia, intese rendere più credibile la “testimonianza” di Eusebio, perfezionandola, spiegando che il martirio di Babila fu voluto (udite, udite) dal buon cristiano Filippo l'Arabo, perché osò impedirgli di entrare in Chiesa. Ma, stando al disegno di Crisostomo (che significa "bocca d'oro"), se il nome del Capo cristiano Vescovo della Chiesa di Antiochia era noto come santo beato, lo avrebbe riferito San Girolamo nella cronaca de "Gli uomini illustri" ancor prima di lui. Invece "bocca d'oro" volle creare un nuovo martire da beatificare finendo con lo smentire la "tradizione cristiana" ... per questo anch'egli fu dichiarato "Santo" dalla Chiesa Universale.

Dal martirologio della (cliccare per credere) "Basilica Collegiata Prepositurale San Babila" in Milano:
"E' ben documentata la sorte delle reliquie di san Babila: il testimone principale al riguardo è ancora san Giovanni Crisostomo"... il quale, secondo la sua "tradizione", testimoniò ai posteri che "Babila martire venne tratto in prigione in catene dall'Imperatore Decio ed ivi morì per i patimenti subiti". Piccolo dettaglio sfuggito ad Eusebio di Cesarea, vissuto più vicino all'epoca dei fatti narrati e campione in assoluto nell'inventare màrtiri suppliziati, il quale scelse di farlo morire di vecchiaia: "come il Vescovo Alessandro, Babila subì il carcere coronato da una vigorosa vecchiaia e da una venerabile calvizie" (HEc. VI 39,1-4).

Ma, a complicare vieppiù l'invenzione di san Babila (questa è bella) concorre la versione di un altro successivo “pio” storico cristiano, Giovanni Malalas, il quale pure lui scrisse di san Babila nel VI secolo arricchendo, a sua volta, la "leggenda del Santo inventato" con un altro particolare che ne evidenziava l'attitudine a strigliare gli Imperatori: Marco Aurelio Numeriano, Princeps dell'Impero dopo oltre un trentennio dalla morte di Filippo l'Arabo.
Numeriano è stato un effimero Caesar sul trono di Roma per poco più di un anno (283/284 d.C.), giusto il tempo di essere scacciato dalla Chiesa in Antiochia dall'arcigno Vescovo Babila ... parola di Malalas: “per aver le mani ancora lorde del sangue dei sacrifici pagani”.
Cronaca altrettanto ridicola e sconfessabile, come le precedenti, innanzitutto perché in Antiochia, all'epoca di san Babila, quindi sotto Filippo l'Arabo e Numeriano, non esistevano Chiese cristiane nel III secolo d.C.; poi, se fosse veramente accaduto l'evento, il primo a dover riferire di un Filippo Imperatore cristiano sarebbe stato
lo storico Ammiano Marcellino (del IV secolo), nativo proprio di Antiochia ed interessato ai Cristiani sui quali, come già riferito, argomentò nelle sue cronache. Inoltre, dulcis in fundo, il venerando storico Eusebio di Cesarea, essendo molto più vicino all'epoca di Numeriano e Filippo, si sarebbe sentito felicemente obbligato a riportare l'intera vicenda particolareggiata due secoli prima di Malalas, dal momento che l'Imperatore Numeriano, diversamente dell'antecessore Filippo, anziché confessarsi, stando allo storico cristiano Malalasmartirizzò Babila per l'affronto subito: da qui l'ennesimo martirio con miracoli, "beatificazione finale" e tanto di statue e reliquie da far venerare ai credenti dolciotti.

Come già detto, una "sacra leggenda", quella del santo Babila, ignorata da un suo successore: san Girolamo. Questi, ad iniziare dagli apostoli, in "De viris illustribus" racconta la vita di tutti i Vescovi cristiani beatificati ma ... si dimentica di citare il famoso Vescovo come "santificato", il quale, pur senza essere "beato", diversamente dalle altre "testimonianze", secondo Girolamo, venne martirizzato dall'incomodo Imperatore Gaio M. Quinto Traiano Decio, anziché, dal cristiano Imperatore "Filippo l'Arabo"; quindi neanche dall'Imperatore Numeriano, come appena verificato con le segnalazioni di entrambi gli storici animisti. Eppure, questa deposizione attestata da san Girolamo, in "De viris illustribus" (LIV), concernente il Vescovo Babila, cita come fonte la "Historia Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea ... ma è in contrasto assurdo a quanto si rivela oggi in questo documento. E' sufficiente rileggere il richiamo, appena sopra riferito da Eusebio (HEc. VI 39,1-4), in cui risulta che Babila morì di vecchiaia.

La cantonata storica consegue dal contrasto fra i codici stilati da calligrafi non coordinati fra loro quando inventarono le leggende di santi cristiani inesistenti, fatti martirizzare da personalità famose, realmente vissute, ma totalmente estranee ai fatti loro addebitati. In questo caso, non essendo il Vescovo Babila compreso nell'elenco premesso da Girolamo a "Gli uomini illustri", ma inserito forzosamente nella biografia riguardante Origene (LIV), ne consegue che questo Vescovo fu ideato da in pio scriba alla fine del IX secolo ed inserito al termine di questo capitolo quando furono trascritti i primi codici del "De viris illustribus" (fra poco, nello studio dedicato a Costantino il Grande, accerteremo la datazione dei manoscritti).
Babila, tutt'oggi risulta un Vescovo martire, beatificato con tanto di reliquie, il quale, se fosse veramente esistito, d'obbligo sarebbe stato inserito nell'elenco originale e anteposto alle biografie de "Gli uomini illustri"; ne consegue che le gesta di Babila erano ancora ignote (fine IV secolo) all'autore, Girolamo Sofronio, mezzo secolo dopo Eusebio di Cesarea.       
Da quanto sin qui rinvenuto è evidente che la rabberciata vicenda del "martirio babiliano" dimostra come gli amanuensi cristiani hanno architettato la "tradizione" dei Santi e delle loro false reliquie, nel corso di secoli, spacciandola per storia, al punto di far risultare che falsi Santi inventarono innumerevoli altri falsi Santi con tanto di falsi màrtiri e relative finte reliquie.

Come abbiamo accertato sopra, tutto ebbe inizio dalla necessità che costrinse Eusebio a far risultare "storicamente" cristiano Filippo l'Arabo, essendo l'Imperatore nativo della Traconitide, una regione che, al tempo di Gesù e dei Suoi miracoli, era compresa nella Palestina sotto il Tetrarca Erode Filippo, fratellastro di Erode Antipa, ma gli storici ...
Giulio Capitolino, Aurelio Vittore, Eutropio, Giorgio Codino, Landolfo Sagace, Sulpicio Severo, Dionigi il Piccolo, Paolo Orosio, Epitome dei Cesari, Ammiano Marcellino, Gregorio Nazianzeno, Isidoro di Siviglia, Paolo Diacono, e molti altri, Padri e Dottori della Chiesa compresi; nessuno di loro ha riferito la notizia, tanto straordinaria quanto inverosimile, di un Imperatore "Filippo l'Arabo" cristiano.
Qualsiasi insegnante di storia e letteratura classica, filologo od esegeta, non può fingere di ignorare dati significativi di questa portata, ad iniziare dai reperti archeologici, numismatici e CIL. Quindi, il goffo tentativo di far passare l'Imperatore Filippo l'Arabo come cristiano, oltre le risultanze archeologiche numismatiche e storiche accertate, dal punto di vista dei credenti si scontra pure con l'immagine dei cristiani gesuiti, propinataci sin da fanciulli, “patrimonio spirituale” dello stesso Eusebio.

Da Eutropio e dalla “Historia Augusta” di Giulio Capitolino apprendiamo che Filippo I fece divinizzare il suo predecessore, l'Imperatore Gordiano III, dopo averlo ucciso. Per stornare i sospetti, gli eresse un importante monumento sepolcrale a Circesium, una fortezza militare romana presso l'Eufrate, perché quest'ultimo venisse adorato con statue e monumenti a lui dedicati.
Nel corso del suo imperium, Filippo coniò numerose monete e sul retro della sua effige, tutt'oggi, possiamo ammirare le numerose divinità pagane capitoline ... nulla di cristiano.
Il caso volle che sotto la reggenza imperiale di Marco Giulio Filippo l'Arabo si compisse il primo millennio dalla fondazione di Roma (a.U.c. “ab Urbe condita”, 753 anni prima di Cristo) e il Cesare lo celebrò con un anno di ritardo perché impegnato in guerra sul limes danubiano.
Nel 248 d.C., il “Pio” imperatore commemorò l'evento con l'emissione di monete che lo raffiguravano come Pontefice Massimo nell'atto di sacrificare agli Dèi e, per l'eccezionale occasione, allestì nelle città dell'Impero spettacoli sfarzosi e giochi circensi grandiosi ... non immaginando di avere i giorni contati. Dopo aver sconfitto alcune rivolte interne, l'anno successivo, nel 249 d.C., fu ucciso da un suo generale, Quinto Decio, che gli usurpò il trono … senza dargli il tempo di convertirsi al Cristianesimo.


Costantino il Grande, imperatore pagano

Oltre a Filippo l'Arabo, anche Costantino il Grande è oggi ricordato come imperatore cristiano ... stando ad un preconcetto generalizzato basato su fonti apologetiche esclusivamente fideiste, delle quali Eusebio di Cesarea risulta il teste principale, ma riferite in codici scritti successivamente al X secolo. Tale Vescovo, come attestato in trattati tardo medievali dedicati alla sua opera "Vita di Costantino", avrebbe affermato che il grande imperatore era sempre stato cristiano, ma, stranamente ... chiese di essere battezzato solo in punto di morte "per il divino trapasso verso la vita ultraterrena" (op. cit. IV 60,5). Nella stessa biografia, infatti, Eusebio aveva prima attestato che la conversione dell'imperatore avvenne il 312 d.C., alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio, dopo un sogno in cui Cristo apparve personalmente a Costantino ordinandogli di adottare come proprio vessillo il segno prodigioso scritto in latino accanto a una croce: "In hoc signo vinces" (op. cit. I 27,31).

Sempre Eusebio conferma la devozione di Costantino I al cristianesimo anche nella sua "Historia Ecclesiastica":

"Costantino ...  avendo invocato con preghiere quale alleato il Dio celeste e il suo Verbo, il Salvatore stesso di tutti, Gesù Cristo, avanzò con tutto l'esercito, aspirando a conquistare per i Romani la libertà dei loro antenati (op. cit. IX 9,2).
"Questo canto Costantino levò a Dio, Signore dell'universo ed autore della vittoria, ed entrò in Roma con canti trionfali ... Ma egli, che aveva una devozione quasi innata verso la divinità, per niente scosso dalle grida né esaltato dalle lodi, ben consapevole dell'aiuto di Dio, comandò subito di mettere nella mano della sua statua il trofeo della passione del Salvatore (la croce), e ordinò inoltre che, coloro che l'avevano onorato con l'erezione di questa statua nel luogo più frequentato di Roma (?) nell'atto di reggere nella mano destra il segno di salvezza (la croce), vi iscrivessero questa stessa proclamazione con queste precise parole in lingua latina:«Con questo segno di salvezza (in hoc signo vinces), prova veritiera del valore, ho liberato e salvato la vostra città dal giogo del tiranno (Massenzio)» (op. cit. IX 9,9/11).
"Costantino, ornato da tutte le virtù della devozione ..."
e "... coloro che prima erano mesti, con danze e canti, in città come nelle campagne, onoravano innanzi tutto Dio, poi il devoto imperatore" (op. cit. X 9,6-7).

Dunque, in base alle più tardive note biografiche inerenti Costantino I, secondo giudizi agiografici superficiali, costui è tutt'oggi considerato cristiano anche da molti storici laici opportunisti. Studiosi che, oltre a non informarsi sulla datazione dei codici, testimoni della vita di Costantino, fingono di ignorare i precisi riscontri, numismatici ed archeologi, che rendono impossibile dichiarare di fede cristiana il Grande Imperatore. Prova ne è il fatto che, fintanto rimase in vita, oltre alle numerose monete dedicate a divinità pagane, ad iniziare dal Dio Marte (Dio della Gerra), Costantino coniò anche stupendi "solidi aurei" che lo raffiguravano a fianco del Sol Invictus, con la scritta "comes",
quindi "compagno" di tale divinità; infatti molte altre lo effigiano come la personificazione in terra del Dio Sole.
Mentre, per quanto concerne l'archeologia, a Roma, vicino al Colosseo, tutt'oggi possiamo ammirare lo stupendo arco trionfale di Costantino, eretto per celebrare la vittoria dell'Augusto imperatore contro Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio avvenuta nel 312 d.C. Orbene, tutti i richiami religiosi scolpiti nella pietra si riferiscono a divinità pagane, niente di cristiano, nemmeno un accenno al Cristo Salvatore ed alla sua prodigiosa visione celeste con l'ordine di adottare come vessillo il monogramma di Cristo "XP" grazie al quale Costantino sconfisse Massenzio. Ma l'aspetto più significativo è costituito dal fatto che in molte delle scene scolpite risulta che Costantino sacrifica algi Dei, non a "Cristo-Dio".
Tuttavia, fra le molteplici monete coniate da Costantino il Grande ne risulta solo qualcuna dedicata al cristianesimo, rappresentato simbolicamente da un cristogramma su un labaro: un semplice richiamo da intendersi come minimo atto dovuto da parte di un Pontefice Massimo in quanto, sin dall'epoca di Giulio Cesare, investito della suprema carica religiosa dell'Impero, gerarchicamente prevalente a quella di qualsiasi Pontefice, Gran Sacerdote o Sommo Sacerdote
, (gr.
ἀρχιερεύς) "Archiereus", di tutti i Credi professati nei terrritori sottomessi a Roma e da lui rappresentati anche senza esserne affiliato.

Un Costantino Pontefice Massimo, il quale, in tale veste - dopo aver equiparato il Cristianesimo alle altre religioni* (pur essendo allora un Credo con pochi seguaci) - si obbligò ad indire il Concilio di Nicea nel 325 d.C. (il primo fra i numerosi convocati nel IV secolo) per sanare i conflitti dottrinali, riguardanti la "sostanza" della nuova divinità, sorti fra Vescovi che proclamavano diversi Salvatori "Gesù" teologicamente contrastanti: una incoerenza tale che, in quanto Pontefice Massimo, Costantino non avrebbe potuto giustificare.
* Per inciso l'Impero Romano non decretò mai illegale alcuna religione, neanche l'Ebraismo nazionalista, né perseguitò adepti di alcuna Fede in quanto tali. La repressione dei Governatori provinciali romani diveniva spietata soltanto avverso coloro che non intendevano sottomersi al dominio territoriale imperiale ... non contro chi professava dottrine diverse da quella capitolina. Chi afferma il contrario lo dimostri con precise citazioni storiche extracristiane, riferite dai numerosi cronisti di Roma che si sono susseguiti dal I al IV secolo; sebbene, nel merito, è essenziale ricordare la falsificazione della testimonianza di Tacito relativa all'eccidio di Cristiani perpetrato da Nerone nel 64 d.C. (vedi le prove nel XII studio).
Anche l’Editto di Milano (Edictum Mediolani) del 313 d.C. - solitamente considerato come un provvedimento finalizzato a tollerare la religione cristiana mettendo fine ad ogni persecuzione avverso i seguaci di Cristo – risulterà un falso conclamato. Tale ordinanza imperiale fu attribuita in epoca medievale a due personaggi, Cecilio F. Lattanzio e lo storico cristiano Eusebio di Cesarea (unici a citare l'Editto); viceversa, fra poco dimostreremo che il primo non è mai esistito, mentre al secondo sono state adulterate le sue opere dagli amanuensi nel X secolo ... ma contraddicendo le precedenti testimonianze, diverse, trascritte da altri storici cristiani primitivi.


Da quanto fin qui assodato, grazie alla archeologia ed alla storia, si evince che fu proprio la cognizione di un Costantino mai divenuto cristiano ad indurre, in epoca futura, l'alto clero a far sì che risultasse storicamente un seguace di Cristo.
La popolarità conseguita, grazie alle gloriose imprese condotte dal valoroso Imperatore che riunificò l'Impero ormai diviso in Tetrarchie, convinse i potenti ecclesiastici ad inglobarlo nel loro Credo ... ma anche con il malcelato fine di non far risultare la necessità storica che obbligò Costantino a convocare il Concilio di Nicea allo scopo di eliminare le contraddizioni teologiche presenti nella nuova fede, ormai già equiparata alle altre.
Pertanto dedichiamoci alla lettura comparata dell'intera documentazione ecclesiastica, relativa alla biografia di Costantino il Grande, per verificarne le attestazioni difformi sino a dimostrare che Costantino I non fu mai cristiano, convalidando,
di conseguenza, le risultanze archeologiche e numismatiche che rappresentano l'Imperatore di esclusiva fede pagana.

Infatti, la credibilità storica di "Costantino cristiano" viene rappresentata in codici attribuiti da amanuensi medievali ad Eusebio, ma, una volta preso visione dei loro contenuti, essa viene smentita dagli atti certificati nell'opera "De viris illustribus" ("Gli uomini illustri": una disamina delle biografie dei più famosi cristiani, ad iniziare da san Pietro fino a tutto il IV secolo), scritta dallo storico Dottore della Chiesa, san Girolamo Sofronio.
Precisamente, scorrendo i profili dei più celebri personaggi cristiani elencati da Girolamo, risulta che lo storico ecclesiastico non considera tale imperatore degno di essere citato: fatto impossibile qualora l'uomo più "illustre" e potente dell'Impero Romano fosse stato veramente cristiano. Quindi lo storico Girolamo, pur essendo posteriore ad Eusebio di circa mezzo secolo ed aver descritto tale Vescovo fra "Gli uomini illustri" (LXXXI), elogiandone la sua opera "Historia Ecclesiastica", disconosce Costantino come cristiano. Ergo, nella "Historia Ecclesiastica" originale di Eusebio, letta da san Girolamo mezzo secolo dopo essere stata compilata, nei Libri VIII, IX e X non risultava alcuna apologia di "Costantino cristiano".

Addirittura, Girolamo elenca l'insieme dei trattati svolti da Eusebio di Cesarea, ma non gli risulta quello già citato sopra "Vita di Costantino": un testo inventato da scribi cristiani secoli dopo ed accreditato al Vescovo Eusebio morto nel 339 d.C. Eppure quest'ultimo trattato pseudo biografico, concepito nel tardo medioevo, è considerato veritiero da tutti gli studiosi di Storia del Cristianesimo e da ogni mezzo di comunicazione, al fine di indottrinare le masse.
E non solo, Costantino il Grande non è contemplato credente in Cristo neanche da tutti gli amanuensi dei primi manoscritti*,
contenenti il "De viris illustribus" di Girolamo Sofronio, risalenti al IX secolo.

* Le più antiche fonti attendibili del "De viris illustribus", convalidate dagli esperti, sono costituite da 84 mss. suddivisi nei seguenti otto gruppi: A. Parisinus (Corbeiensis o Sangermanensisis 7° sec.); T. Vaticanus Reg. Lat., 7° sec.; Veronensis, 8° sec.; Vercellensis 8° sec.; Monspessalanensis 9° sec.; Monacensis 8° sec.; Vindobonensis 9° sec.; H. Parisinus 9° sec. Cui si aggiungono: un codice del 9° secolo, ora a Vienna, e due mss del 9° secolo: uno conservato a Montpellier "Codex Ms H. 406", mentre il secondo è conservato a Monaco. Un altro manoscritto antico, il "Codex Ms Lat. 2 Q Neoeboracensis", risalente al 9° secolo, conservato al General Theological Seminary in New York. A questi codici iniziali ne seguirono molti altri, redatti nei secoli successivi, grazie alla esigenza in costante aumento dei credenti intesa a conoscere le vicende dei famosi primi cristiani.

Tuttavia è doveroso evidenziare che delle stime paleografiche indicate, riguardanti le datazioni dei manoscritti appena citati, si dimostrano palesemente errate quelle antecedenti al 9° secolo; queste ultime in contrasto alle stime paleografiche dei periti.
Per giungere a questa conclusione ci siamo avvalsi del paragone fra tre antichi manoscritti diversi che ci ha consentito di fissare con precisione storica la datazione dei primi codici trascritti contenenti il "De viris illustribus".
La prova è costituita dal fatto che il primo e più antico manoscritto,
dedicato al famoso Padre apologista Tertulliano, è il "Codex Agobardinus Parisinus Lat. 1622" (prima di questo trattato Tertulliano è ignorato in tutti i codici); sebbene, a questo punto, è necessario ricordare ai lettori che la successiva "tradizione cristiana" considera il Padre "Q. Settimio Fiorente Tertulliano", un importante testimone del Salvatore Universale, collocato fra il II e III secolo ma, in realtà, è sconosciuto da tutti i Padri e Vescovi cristiani, assidui scrittori ecclesiastici, dalla fine del II secolo sino ad Eusebio di Cesarea (IV secolo), il primo a citarlo secondo la "tradizione". Viceversa, smentendo le apparenze, i primi codici che narrano la Historia Ecclesiastica di questo Vescovo risalgono al X/XI secolo, inoltre, sempre secondo la "tradizione", Tertulliano è richiamato anche nel "De viris illustribus" di Girolamo, ma trascritto in codici a partire dalla seconda metà del IX secolo. In sostanza i primi codici riguardanti le opere originali degli storici cristiani, Eusebio e Girolamo, furono trascritti dagli amanuensi dopo il "Codex Agobardinus Parisinus Lat. 1622".

Ciò premesso, contrariamente alle attestazioni della artificiosa "saga fideista cristiana", considerato che il documento iniziale tertullianeo fu stilato in epoca carolingia dall'Arcivescovo Agobardo di Lione, questo particolare ci permette di fissarne la stesura entro l'840 d.C. (anno della morte di Agobardo: IX secolo). Ne consegue che tutti i manoscritti riguardanti le gesta e le opere di Q. S. Fiorente Tertulliano, inevitabilmente, furono redatti dalla seconda metà del 9° secolo in poi, esattamente come avvenuto per i più antichi codici del "De viris illustribus".
Il successivo manoscritto che tratta l'opera più famosa di Tertulliano è il "Codex Latinus Parisinus 1623" contenente "Apologeticum" e risale al X secolo (questo trattato è ignorato nel testo di Agobardo di Lione, non essendo ancora stato inventato dagli scribi di Dio). 

Stesso esito vale anche per la "Historia Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea, il quale cita Tertulliano (ribadiamo che questo Padre è ignorato da tutti i Padri apologisti a lui coevi), ma anche i manoscritti più antichi di quest'opera iniziarono ad essere compilati a partire dal X/XI secolo (dopo la morte di Agobardo di Lione). Pertanto, stabilito che i primi codici, attinenti la "Historia Ecclesiastica" di Eusebio (che riconosce Costantino cristiano), sono successivi di un secolo ai codici del "De viris illustribus" di Girolamo (al quale non risulta Costantino cristiano) ed entrambi susseguenti al "Codex Agobardinus Parisinus Lat. 1622", si dimostra che la leggenda di Costantino il Grande "cristiano" è stata ideata, sette secoli dopo la sua morte, da amanuensi impostori. Mentre, la contemporaneità della redazione dei codici della "Historia Ecclesiastica" di Eusebio, e del codice inerente "Apologeticum" attribuito a Tertulliano, dimostrano un "pio" coordinamento nella loro stesura dettato dalle eminenze grigie dell'alto clero.
Per definire compiutamente questa indagine invitiamo i lettori a leggere la intera documentazione che dimostra l'irrealtà di Tertulliano nel V studio al cap. "Le sviste degli scribi tertullianei". In tale ricerca si analizza il contesto delle deposizioni riguardanti le biografie dei primi Padri apologisti, coevi a Tertulliano, al fine di evidenziarne le rispettive contraddizioni grazie alla comparazione con la storia e la archeologia.

Anche in questo caso abbiamo adottato l'identico metodo di ricerca (appena descritto sopra), utile a dimostrare l'invenzione di san Babila, ottenendo la conferma che lo stesso Eusebio di Cesarea non riferì mai di un Costantino cristiano, sia nella "Historia Ecclesiastica", che nella "Vita di Costantino" ... Contrariamente a quanto viene fatto apparire oggi da studiosi celebrativi, ma superficiali, che sottovalutano le cronologie delle testimonianze manoscritte.
In dettaglio, ripetiamo per coloro che sono condizionati da informazioni ideologicamente errate, tale riscontro lo ricaviamo dalla comparazione delle epoche in cui risultano trascritti i codici più antichi relativi agli storici cristiani del IV secolo: quelli dedicati al "De viris illustribus" di Girolamo, risalgono alla seconda metà del IX secolo, mentre i manoscritti iniziali, contenenti la "Historia Ecclesiastica" di Eusebio, risalgono fra il X e l'XI secolo (per i particolari di questi ultimi codici vedi III studio).
Tali risultanze dimostrano che, per gli scribi del IX secolo, che attestarono le biografie di Girolamo, Costantino non era cristiano, mentre per i posteriori amanuensi di Eusebio, viceversa, era seguace di Cristo. Con ciò si prova che Costantino è stato "cristianizzato" dal X secolo in poi.

E non può essere una fatalità che pure il "Codex Vat. Lat. 1873" (della Biblioteca Apostolica Vaticana) sia stato copiato nello stesso X secolo, quando l'alto clero decise la "canonizzazione" di Costantino il Grande. Questo manoscritto contiene le "Res Gestae", redatte dallo storico più importante del IV secolo, Ammiano Marcellino (Antiochia 330 - Roma 397), il cui lavoro originale era contenuto in trentuno libri, ciononostante gli amanuensi del X secolo ne trascrissero solo gli ultimi diciotto (XIV-XXXI) concernenti il periodo compreso tra gli anni 353 e 378 d.C. Viceversa Ammiano scrisse di aver iniziato l’opera "a principatu Caesaris Nervae" (XXXI 16,9), ossia dal 96 d.C., sotto il principato di Cocceio Nerva, e precisamente dal punto in cui si era interrotta la narrazione di "Historiae" (cfr. Hist. 1,1) dello storiografo latino, Cornelio Tacito.

L'epoca censurata
dai copisti del X secolo, nelle "Res Gestae" di A. Marcellino, conteneva le cronache, riferite nei primi tredici libri, che riguardavano le imprese di tutti gli Imperatori romani a partire da Marco Cocceio Nerva sino ai figli successori di Costantino I.
Vale a dire l'intera epopea delle "grandi persecuzioni cristiane" perpetrate da una sequela di Imperatori ad iniziare da Ulpio Traiano (stando alla pseudo "storiografia ecclesiastica") fino ai figli successori di Costantino I, ma evitando, opportunamente, la biografia del Grande Imperatore. Ovviamente, come dimostrato negli studi precedenti con precise inchieste extracristiane, nessun Imperatore romano ha mai decretato persecuzioni avverso una cristianità inesistente; oltre al primo, anche nei seguenti tre secoli.
Orbene s
e, ammesso che dalla relazione storica di Ammiano Marcellino, riguardante le imprese di Costantino I, tale Imperatore fosse risultato "cristiano", possiamo essere certi che i copisti delle "Res Gestae" dello storico imperiale, nel X secolo non avrebbero escluso il libro che trattava la biografia del grande Cesare. Conseguentemente, la prova decisiva di un Costantino il Grande "seguace di Gesù" sarebbe stata evidenziata subito dagli storici cristiani, quindi oggi nessuno starebbe a discutere su un dato di fatto acquisito storicamente.

Al contrario, nella cronaca di Ammiano Marcellino risultava un Costantino I pagano, esattamente come provato dalla sua numismatica imperiale e relativo Arco di Trionfo, perciò questo fu il movente che impose ai copisti delle "Res Gestae" di eliminare sia la cronaca di Costantino il Grande, sia quelle di tutti gli Imperatori che lo avevano preceduto, e, primo fra questi, Filippo l'Arabo, il quale, come appena indagato sopra, fu spacciato per "cristiano" dal Vescovo Eusebio di Cesarea, quando, in realtà, A. Marcellino sicuramente non lo definì come tale, altrimenti sarebbe stato citato come testimone da tutti gli storici credenti. Invece, alla pari di Costantino I, l'Imperatore Filippo, grazie a storia ed archeologia numismatica oltre che da numerosi Diplomi Militari Romani (prima citati), viene accertato come pagano. Un dato di fatto che si riscontra nel "De viris illustribus" di Girolamo Sofronio al quale non risulta "Filippo l'Arabo" come illustre Imperatore cristiano.
In ultima analisi, poiché le relazioni storiche dei cronisti imperiali del III secolo sconfessavano l'esistenza di martiri cristiani ed i loro capi Vescovi, gli esegeti del clero - anziché conservare almeno una copia dei numerosi codici originali, redatti a Roma da Ammiano Marcellino (il cui lavoro fu destinato alla aristocrazia dell'Urbe e delle Province) - decisero di eliminare i primi tredici libri delle sue "Res Gestae", limitandosi a copiare gli ultimi diciotto, relativi al IV secolo, ma escludendo la cronaca riguardante Costantino il Grande ... decisamente "pagano".  

Dopo questi numerosi riscontri storici ed archeologici, inevitabilmente, decade anche la testimonianza dello scrittore cristiano Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio (n. 250 † dopo il 317), anch'egli chiamato a "deporre" sulla conversione al cristianesimo di Costantino I. Per l'esattezza il nuovo personaggio "Lattanzio" fu inventato ad iniziare da scribi mentitori medievali al fine di convalidare una conversione imperiale facilmente smentibile.
Amanuensi che
commisero la dabbenaggine di fare apparire il cristiano Lattanzio come "precettore di Crispo"*, un figlio di Costantino il Grande destinato a succedergli come Imperatore: una assurdità contraria alla logica perché, in tal caso, il vero testimone, ovviamente, sarebbe stato Eusebio di Cesarea (morto nel 340) che, come cronista imperiale di Costantino I, avrebbe avuto l'obbligo di riferire la rilevante interazione avvenuta fra il famoso "precettore cristiano" Firmiano Lattanzio e Crispo, figlio dell'Imperatore, nella sua "Historia Ecclesiastica": fatto che non risulta.
* Flavio Giulio Crispo, nato il 302, Console nel 318, divenne Imperatore unico nel 324 e regnò sino al 326, anno della sua morte.

Infatti, l'inesistenza di Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio si riscontra proprio da parte di Eusebio di Cesarea, il quale non lo menziona nella sua "Historia Ecclesiastica"; ne consegue che nemmeno gli amanuensi redattori dei manoscritti di questo trattato eusebiano avevano mai sentito parlare di Lattanzio, tanto meno la sua corposa opera apologetica e teologica cristiana inventata molti secoli dopo da scribi falsari; consideriamo che i più tardivi codici eusebiani risalgono al XII secolo (vedi III studio). Viceversa, il personaggio "Firmiano detto Lattanzio" (incompleto nel nome) risulta descritto da Girolamo Sofronio, storico cristiano vissuto circa mezzo secolo dopo Eusebio, la cui "Historia Ecclesiastica" costituì la fonte originale per il "De viris illustribus" geronimiano.

Siamo di fronte ad una apparente contraddizione spiegabile con il fatto che il testo di Girolamo, a noi fatto pervenire intenzionalmente, fu trascritto dagli amanuensi posteriormente al XII secolo (la datazione più tardiva di tutti i codici della "Historia Ecclesiastica" eusebiana che ignoravano Firmiano Lattanzio) ovviamente dopo l'invenzione di questo personaggio: un dato di fatto inconfutabile che esclude la reale presenza di Cecilio Firmiano Lattanzio nel codice originale scritto da Girolamo Sofronio.
Il tentativo di ingannare la Storia - oltre ad aver eliminato, come avvenuto, il codice autentico di Girolamo - sarebbe compiutamente riuscito agli amanuensi di Dio se, al contempo, avessero inserito lo sconosciuto "Lattanzio" e le sue fantasiose opere in tutti i codici della "Historia Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea, soprattutto documentando loperato di precettore cristiano effettuato in favore di Crispo a Treviri (Gallia) nel 317 d.C.
In particolare, da quanto provato avanti, nel manoscritto autografo dello storico Girolamo non potevano essere presenti nemmeno le biografie di Tertulliano e del Vescovo Babila.   

Pur di far risultare cristiano Costantino il Grande, (come sopra già dimostrato dal X secolo in poi) le eminenze grigie dell'alto clero chiamarono in causa addirittura un eccellente storico bizantino pagano, di lingua greca, Zòsimo (gr. Ζώσιμος) vissuto, a cavallo fra il IV e V secolo, per un non meglio defito lasso di tempo a Costantinopolo, autore di "Historia Nova" in sei Libri; opera che venne trascritta nel "Codex Vaticanus Graecus 156", datato fra il X e l'XI secolo, tutt'oggi conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana.
Nel II libro, cap. 29, dell'opera risulta attestato che, dopo aver ordinato l'esecuzione del figlio Crispo e l'uccisione della giovane e bella moglie di Costantino, Fausta, (sospettati di avere una relazione), l'Imperatore Costantino chiese la assoluzione ai sacerdoti pagani "Flamini Maggiori" (Flamines Maiores) che gliela negarono.
Dopo tale rifiuto, si narra che Costantino fu contattato da un potente cristiano, definito in modo generico e non individuabile "Egiziano dell'Iberia" (Spagna), il quale gli avrebbe garantito l'espiazione dei peccati attraverso i riti della sua religione. Tale impegno indusse Costantino ad affiliarsi al cristianesimo ... stando alla conclusione testuale attribuita a Zòsimo dagli scrivani dell'XI secolo.

Il finale "pro cristianizzazione costantiniana", aggiunto ad una cronaca inizialmente vera (uccisione del figlio Crispo e della moglie Fausta, a sua volta matrigna di Crispo) - nell'intenzione degli amanuensi che lo affibbiarono falsamente a Zòsimo - avrebbe allargato il ventaglio dei "testimoni" fino a comprendere, addirittura, anche uno storico pagano, avverso al Cristianesimo ed allo stesso Costantino, allo scopo di rendere più veritiera la conversione del Grande Imperatore. Tuttavia, secondo l'adagio popolare "il diavolo fa le pentole ma non i coperchi", anche in questo caso, come nei molteplici precedenti, la conoscenza e il razionalismo storico finiscono per "scoperchiare" le pie sciocchezze.
Infatti, se la cristianizzazione del Grande Cesare fosse realmente avvenuta grazie all'intervento di un tizio battezzato "Egiziano dell'Iberia", il primo a riferirlo in dettaglio, da testimone oculare diretto e a lui coevo, sarebbe stato il cronista imperiale di Costantino, Eusebio di Cesarea, il quale non ha mai sentito nominare siffatto personaggio (con tutto il rispetto per il prof. Fabrizio Conca, curatore della traduzione di "Storia Nuova" il quale intravede nell "egiziano spagnolo" il Vescovo "Osio di Cordova" ma prendendo una cantonata perché, come appena constatato, il vero testimone a riferirlo sarebbe stato Eusebio, dal momento che "Osio di Cordova", secondo Cathopedia, l'Enciclopedia del Vaticano, risiedeva nella Corte di Costantino assieme a lui).
Tanto è vero che, l'altro esimio storico cristiano, Girolamo Sofronio, come già accertato avanti, mezzo secolo dopo Eusebio, ancora non riconosceva Costantino I come cristiano, come non conosceva (questa è divertente) il Vescovo "Osio di Cordova"
... tanto per smentire la suddetta "Enciclopedia Cattolica Vaticana": ma quante false notizie hanno inventato gli amanuensi quando macchinarono la cosiddetta "tradizione cristiana".
Conclusione: anche gli scrivani di Dio, che copiarono "Historia Nova" di Zòsimo, mentirono impudentemente falsificando il suo resoconto nel II libro cap. 29, di conseguenza, per garantirsi che nessuno lo scoprisse, distrussero tutti i codici originali di Zòsimo, sei secoli dopo la loro redazione da parte dello storico bizantino.  

Prima di chiudere l'indagine finalizzata a comparare le testimonianze, inerenti Costantino il Grande, rilasciate dai clericali nel corso dei secoli ... in merito a san Girolamo Sofronio, risulta che successivi scribi falsari - consapevoli della contraddizione derivata dalla mancata testimonianza dell'insigne Dottore della Chiesa, relativa ad un Costantino cristianizzato - in epoca posteriore alla stesura dei codici del "De viris illustribus" di Girolamo trascrissero, nel tardo Medioevo, il "Chronicon" (una lista dei personaggi più famosi a partire da Abramo), attribuendolo a Girolamo Sofronio. Scopo dei calligrafi fu di far apparire cristiano Costantino I, ma, essendo la originale documentazione di Girolamo più antica del Chronicon, testo in cui emerge una testimonianza opposta alla loro, pure questi ultimi amanuensi hanno sottoscritto un trattato menzognero, facendo apparire Girolamo Sofronio come fosse il suo autore.
Calligrafi che, ingenuamente,  non hanno letto compiutamente i lavori di Girolamo da cui emerge un elemento certo basato sulla sua autobiografia (narrata in De viris illustribus cap. CXXXV) riguardante lelenco dettagliato delle opere scritte dal Dottore della Chiesa fra le quali risulta la sua traduzione in latino del “Chronicon” di Eusebio di Cesarea, completandola anche nel periodo successivo alla morte di Eusebio fino al 378 d.C. Orbene, come abbiamo accertato avanti, a Girolamo non risulta che lImperatore Costantino sia stato cristiano, così come non fu definito tale neanche da Eusebio nel suo autentico “Chronicon”, da lui stilato prima del 340 d.C. (anno della sua morte), altrimenti Girolamo avrebbe incluso nel suo elenco de “Gli uomini illustri” anche Costantino I.

Dopo aver esposto numerose prove avverso Costantino il Grande definito "cristiano", registriamo che, ad oggi, per la Chiesa Ortodossa questo imperatore è considerato santo (beatificato), mentre la Chiesa cattolica non lo riconosce come tale.
In merito a simile discrepanza, l'epilogo della nostra indagine chiarisce facilmente questa divergenza teologica dato che tutti i manoscritti inerenti il raggiro della biografia di Costantino I, come dimostrato sopra, furono redatti da scribi cattolici occidentali all'insaputa dei Bizantini ortodossi.
Questi ultimi credenti ortodossi, diversamente dai cattolici, una volta postulato come "cristiano" l'Imperatore Costantino I, "in buona fede" lo hanno beatificato; ma i cattolici, al contrario, essendone stati gli autori, conoscono perfettamente la montatura biografica del Grande Imperatore, perciò non si azzardano a santificarlo, anche in considerazione di future ulteriori scoperte numismatiche ed archeologiche
(oltre l'arco di Costantino) - tipo Diplomi Militari Romani e Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL), come avvenuto con Filippo l'Arabo - valide come ennesima prova contraria ad un "Costantino I cristianizzato".      

In realtà, come già riferito avanti, rimarchiamo ulteriormente che l'Imperatore Costantino il Grande si limitò ad equiparare il Cristianesimo a tutte le altre religioni, in coerenza con la storica prassi imperiale di Roma che non dichiarò mai "fuori legge" i Credi degli altri popoli; come la stessa religione ebraica, malgrado questa Fede si fosse dimostrata la più nazionalista anti romana (causa di cruenti guerre, contro la dominazione pagana) al punto di conseguire la distruzione di Gerusalemme e del Tempio. Ciononostante, anche dopo la definitiva disfatta sciovinista ebraica del 135 d.C., sotto il Cesare "Elio Adriano Augusto", l'Impero Romano concesse agli Ebrei di costruire molte Sinagoghe nelle Province, consentendo loro di professare liberamente la ancestrale confessione ... fino all'avvento dell'Impero Cattolico Romano sancito con "l'Editto di Tessalonica" del 380 d.C.
Quell'antico Proclama - cui seguirono i due Editti del 382, emanati da Teodosio il Grande per abolire i culti pagani - fu solo l'inizio di un processo teologale che, per la prima volta nella storia di Roma, vedrà trionfare la religione unica di Stato: il
Cattolicesimo Universale, ovvero l'illusione della vita eterna


San Biagio, martire artefatto

Essendo ancora in argomento di "sacre" falsificazioni, abbiamo il dovere di evidenziare un altro famoso martire inventato: San Biagio.
Venne descritto dal sacerdote Camillo Tutini (1594-1670) in "Narrazione della vita e miracoli di San Biagio Vescovo e martire", rifacendosi a una tradizione risalente al medico bizantino, Aezio di Amida, vissuto nel VI secolo, che lo cita senza particolari significativi, e ad un "Sinassario Liturgico" armeno dell'XI secolo in cui è descritta la sua vita e il supplizio patito: un'accozzaglia di assurdità che solo una psiche alterata poteva inventarsi, ma normale per la Chiesa che ha eternizzato il Santo sotto tortura nella Cappella Sistina di Michelangelo. Basta cliccare "san Biagio" e leggere cosa salta fuori in Wikipedia.

San Biagio è il martire che batte il record in assoluto delle reliquie del suo corpo, disseminato in ventitré Basiliche, per lo più in Italia, oggetto di culto da parte dei fedeli indottrinati. Dal Sinassario risulta essere stato medico, poi Vescovo di Sebaste, capitale dell'Armenia Minore sotto Costantino il Grande, ma, e qui casca l'asino: san Biagio Vescovo martire è ignorato da Eusebio di Cesarea, il più grande inventore e "collezionista" di màrtiri, vittime dei più raffinati supplizi della cristianità e di "tutti i Capi della Chiesa che mostrarono col proprio sangue l'autenticità della religione che professavano". Ad Eusebio non sarebbe potuto sfuggire, non solo per il "cardatore", lo strumento con cui fu torturato (uno strumento di legno, in cui erano conficcati numerosi chiodi, adatto per sfoltire il vello di ovini e camelidi), ma soprattutto per il fatto che gli ideatori del Sinassario dei Santi commisero il grave errore di collocare san Biagio come Vescovo a Sebaste, nella stessa epoca di Eusebio. Quest'ultimo viveva a Nicomèdia nella reggia di Costantino, quindi vicina da Sebaste, pertanto è impossibile che Eusebio non sapesse dell'inusitato, lungo e doloroso, martirio patito dal suo collega Vescovo di quella città. A riprova della tardiva invenzione ecclesiastica del Vescovo san Biagio concorre la disinformazione su di lui, oltre che Eusebio, anche da parte di san Girolamo il quale non lo menziona in "De viris illustribus". Il fatto che Girolamo, nella sua opera, non conosca il "Beato Vescovo Biagio" significa che non lo conoscevano nemmeno tutti gli amanuensi che trascrissero i codici del "De viris illustribus" risalenti a fine IX secolo. La datazione di questi codici (come appena riferito) dimostra che tutti i documenti, riguardanti la vita di san Biagio (reliquie comprese), sono a lui successivi. Ad iniziare dal su citato "Sinassario Liturgico", redatto in Armenia due secoli dopo, e frutto di estrema fantasia psicopatica: basta leggere il resoconto di san Biagio nel "Sinassario Liturgico" in Wikipedia.



I primordi di una "Tradizione" simulata ...


Se qualcuno pensa che l'eminente Vescovo Eusebio si sia limitato a coinvolgere nella fede in Gesù Cristo due “semplici” imperatori romani, quali Filippo l'Arabo e Costantino il Grande … ebbene si sbaglia di grosso. Un Dio, capace di redimere l'intera umanità grazie alla promessa della vita eterna, doveva essere “Universale” e, come tale, “certificato” da una documentazione internazionale ineccepibile sin dalla Sua venuta. Pertanto l'alto prelato ebbe l'ardire di chiamare a “testimoniare” - Avvento, Miracoli, Resurrezione e Ascensione in cielo, in un sol colpo - il vetusto Re Abgar di Edessa, capitale dell'Osrohene, piccolo ma antico regno della Mesopotamia, oltre il fiume Eufrate, confinante a est con la Parthia e ad ovest con la Siria.
Nella sua “Historia Ecclesiastica” (I 13) il Vescovo cristiano, tre secoli dopo la morte del Redentore dell'umanità, dichiara di possedere la copia della testimonianza scritta proveniente dagli archivi di Edessa consistente nella lettera (è in rete) che Re Abgar scrisse e inviò a Gesù, tramite il corriere Ananìa, pregandolo di recarsi da lui e sanarlo di un male inguaribile:

Abgar, toparca di Edessa, saluta Gesù il buon Salvatore ...”

A questa richiesta Gesù rispose con una lettera, che inviò ad Abgar tramite un corriere, nella quale informava il Re che il Salvatore sarebbe risorto dopo morto:

Tu beato, che hai creduto in me senza avermi visto … Quando sarò stato assunto in cielo, ti invierò uno dei miei discepoli per guarirti della tua sofferenza e dare la vita a te ed ai tuoi
. Poi Eusebio specifica A queste lettere era aggiunto anche questo in lingua siriaca: «Dopo l'ascensione di Gesù, Giuda, detto anche Tomaso, mandò ad Abgar l'Apostolo Thaddaeus»” (HEc. I 13,9/11).

Stiamo seguendo un lungo percorso dedicato a studi critici - funzionali a comprendere l'evoluzione mitologica del Messia giudaico tramite l'ausilio di archeologia storiografia e filologia - ma, a questo punto, imbattersi in simile “testimonianza”, sull'Avvento di “Gesù” e le sue strabilianti gesta, saremmo tentati di ignorarne il contenuto, artificiale e idiota, destinato a indottrinare persone dotate di un quoziente di intelligenza inferiore alla protoscimmia.
Credenti incapaci di capire il vuoto creato nelle testimonianze evangeliche conseguente alla mancata conoscenza del miracolo da parte degli Apostoli - sempre vivi e vegeti quando Re Abgar V (che morì entro il 50 d.C.) venne guarito dalla lebbra assieme ad una moltitudine di cittadini Edesseni ... tre secoli dopo, per opera di Eusebio. Apostoli incredibilmente ignari inAtti degli Apostolidel supermiracolo internazionale compiuto dal Salvatore dell'umanità e ufficializzato con lo scambio delle sacre missive”, poi concretizzato dai rispettivi ambasciatori.
Infatti sant'Agostino di Ippona (354-430) nella sua opera "Contro Fausto Manicheo" nel Libro 28 cap. 4 evidenzia questo particolare fondamentale:

"Se fossero venuti alla luce scritti che si dicesse essere di Cristo stesso e di nessun altro autore, come poteva avvenire che, se erano veramente suoi, non venissero letti, non venissero accettati, non trovassero posto al culmine sommo dell'autorità nella sua Chiesa, che a partire da Lui stesso, attraverso gli apostoli e i vescovi loro successori, si propaga e si dilata fino al tempo presente".
 
 

Queste ovvie considerazioni indussero Papa Gelasio I (400-496) a decretare come "apocrife" le lettere di Abgar e di Gesù "testimoniate" da Eusebio; una realtà che fa decadere, ovviamente, anche la presenza delle missive originali giacenti negli Archivi di Edessa, altrimenti Gelasio non si sarebbe permesso di emettere un decreto in tal senso.

Nostro malgrado, sorprendentemente, ancora oggi, studiosi con tanto di titoli accademici prendono sul serio questo puerile disegno della “Divina Provvidenza”, arricchendolo di ulteriori particolari, definendolo, come Wikipedia, “apocrifo del II secolo” (nascosto), o “leggenda risalente al II secolo”. Fra tanti eruditi - che sgomitano per superare i “concorrenti” e salire sull'ambìto podio al fine di riscuotere la immediata gratifica dell'Alto Clero plaudente … nonché la sua eterna riconoscenza - si distingue il giovane docente di filosofia e teoria del linguaggio, Massimo Leone, specialista in semiotica, dal greco σημεῖον (semeion) che vuol dire “segno”, manco a dirlo … “divino”, come esplicitato nella sua evoluta ricerca scientifica “La sacralità delle parole di Gesù ad Abgar” (basta cliccare, il video è in rete e lo raccomandiamo a chi voglia rafforzare la propria fede nella Gloria del Signore).

Dopo essersi dilungato in un prologo psichedelico-semiotico-poetico, l'aspirante professore, con fare estremamente contrito, ci spiega, non tutta, la serie di testimonianze prodotte nei secoli posteriori ad Eusebio, riguardanti, oltre le divine parole di Gesù, addirittura la Sua “Sacra Immagine”, inviata con lo stesso ambasciatore, sempre da Cristo Salvatore, in quel di Edessa. Il docente, pur di accaparrarsi l'encomio dell'auditorio sognatore spiritualista, è così intento a descrivere i fantaeventi celesti con acrobatiche evoluzioni pindariche di "parole e immagini sante" al punto da non accorgersi che l'aereo sacro si è già schiantato al suolo prima di decollare ... risparmiandoci l'ostentazione della sua capacità di "studiare" i segni divini.

La "Sacra Immagine" o "Sacro Volto" o "Mandylion"* di Cristo, è un particolare decisivo "sfuggito" ad Eusebio (il quale si limitò ad inventare le "Sacre Lettere") ma non ai successivi calligrafi cristiani, quando, secoli dopo di lui, redassero appositi codici con particolari aggiunti allo scopo di "perfezionare" i vangeli perché non descrivevano la figura di Gesù, cogliendo anche l'occasione per arricchire il Suo mito attribuendogli altri supermiracoli post mortem.

* Gli odierni studiosi del "Sacro" derivano questa parola dal greco, dall'aramaico e dall'arabo, per indicare un normale fazzoletto o velo (mai un lenzuolo funebre) che, nel nostro caso, diventa unico perché ha dipinto un Volto "non fatto da mano umana", chiamato dai saccenti "Immagine Acheropita": Il Mandylion.

Questa figura chimerica, che si trasformerà in culto praticato e tutt'oggi "confortato" da giudizi di scienziati spiritualisti, ci obbliga a verificarne la autenticità sin
dall'inizio. Una leggenda gonfiata ma, al contempo, contrastante la cronaca eusebiana la quale riferisce esclusivamente le parole di "Gesù" che informa Abgar dell'invio di un discepolo dopo la Sua morte e resurrezione, senza spedire alcuna "Sacra Immagine".
E sarà appunto l'immancabile, ignoto, amanuense cristiano ad inviare l'Apostolo Thaddaeus (di cui abbiamo dimostrato l'invenzione nel I studio) a Edessa ove guarì Re Abgar, la sua famiglia e tutta la popolazione malata della città. Questa la sintesi del lungo e insensato resoconto eusebiano letto in Historia Ecclesiastica (I 13,1/22) da cui non risulta che Gesù abbia spedito la Sua immagine impressa su un telo. Né si saprà mai che fine fecero le famose copie delle "Sacre Lettere degli Archivi di Edessa" che il Vescovo affermò di possedere, mentre, risulta chiarissimo l'insanabile contrasto fra la "parabola" eusebiana e le Sacre Scritture neotestamentarie alle quali tutti i Padri della Chiesa si attennero nei secoli precedenti.

Constatazioni elementari, ovvie, dalle quali il penitente Leone maximus docente si tiene alla larga. Siamo certi che ritroveremo il precoce insegnante, al culmine della sua carriera, quale novello stilita dall'alto di una colonna a meditare profondamente sulle eccelse vette della divina semiotica: una disciplina che, grazie al rampante fideismo dello studioso, si vedrà costretta a soccombere al più lineare e pragmatico razionalismo storico.

Fra tanti acritici pedissequi - pronti ad assecondare le esigenze clericali sminuendo le “pie” sciocchezze tramite una costante opera di apostolato - spicca la notoria Wikipedia la quale non si accorge che, dopo averli evidenziati come documenti divini ... lettere inesistenti non possono essere datate, così come non può essere predatata al II secolo una “leggenda” spuntata fuori dal nulla e riferita, la prima volta nel IV secolo, dal Vescovo cristiano Eusebio di Cesarea.

In ottemperanza al consolidato "paradigma ecclesiastico" di “certificare” con prove create posteriormente le deposizioni “storiche” sulla puerile favola, queste vengono riprese ed ampliate da cronisti amanti del gusto “che sa di miracoloso”; anche se inattendibili per la più elementare logica, ma finalizzate a confermare la arcaica "Tradizione" cristiana.
Dopo la "trovata" di Eusebio, osserviamo accodarsi al Venerabile Vescovo ormai defunto, una processione di testimoni regolarmente documentati secoli dopo i fatti descritti; fatti che, superfluo a dirsi, sono tutti diversi e in assoluto contrasto fra loro, cioè incompatibili, a conferma della estrema difficoltà degli amanuensi a consultarsi e coordinarsi prima di inventare storie. Come la "Dottrina di Addai", un testo datato paleograficamente al V secolo, ove si "continua" la leggenda inventata da Eusebio arricchendola con l'invenzione del disegno della immagine di Gesù realizzato dal corriere di Abgar che, si dice, era un pittore il quale, ovviamente, portò il ritratto a Edessa e là fu collocato nella reggia del Re. Comunque, sino al quinto secolo, il volto di Cristo era ancora "fatto da mano umana".

Ormai i tempi erano maturi per un ulteriore passo in avanti nella elaborazione della "storia" e nel VI secolo "appare" un'altra leggenda: gli "Atti di Mar Mari". In essi viene "specificato" che il pittore di Abgar "non riusciva a raffigurare Nostro Signore, allora, il Vivificatore del Mondo prese un telo e lo premette sul proprio Volto, così come è".
In tal modo, finalmente, giunse a Edessa il Volto Acheropita: "non fatto da mano umana".
Un secolo dopo verranno scritti gli "Atti di Taddeo", aggiornati e particolareggiati, con una "procedura" leggermente discosta ma, a questo punto, ormai era doveroso che entrassero in azione gli scribi bizantini, oggi citati dagli esegeti clericali come autentici "testimoni dei fatti".
I "cronisti di Dio", consapevoli che la leggenda iniziata da Eusebio di Cesarea era finalmente completa nei minimi particolari, si adoperarono per renderla ancor più veritiera "storicamente" descrivendo i meravigliosi poteri del "Mandylion" di Edessa quando questa città fu attaccata dalle armate del Re sasanide Khusrow I, che invasero la Siria nel 540 d.C.

Gli amanuensi trascrissero ex novo i Codici originali (che vennero eliminati) riguardanti, sia la “Storia delle Guerre” dello storico bizantino Procopio di Cesarea, sia la "Historia Ecclesiastica" dello storico cristiano Evagrio detto "Scolastico" (Evagrius Scholasticus di Epiphania in Celesiria), vissuti entrambi nel VI sec. d.C.
Il manoscritto più antico delle "Guerre" di Procopio lo ritroviamo nel "Codex Athos, Lavra H-73" datato paleograficamente alla fine del XIII secolo; mentre quello più antico riguardante Evagrio è contenuto nel "Codex Laurentianus L XIX 5", datato all'XI secolo.
Ma le due versioni antitetiche, giunte sino a noi, tramite le quali si descrive l'evento miracoloso che indusse i Persiani a togliere l'assedio alla città di Edessa (fatta miracolare da Cristo tre secoli dopo la Sua resurrezione, per volontà di Eusebio), già da sole bastano a sconfessarne la veridicità. Evagrio in particolare, che morirà dopo il 594 d.C., fu preceduto di qualche anno da un'altra "pia" fonte storica: Giovanni Malalas (491-578 d.C.), fanatico cronista cristiano anch'egli del VI secolo e per l'appunto nativo di Antiochia in Siria (la regione invasa dai Persiani), il quale non sa niente dei prodigi fatti dalla Scritta o Immagine Sacra di Gesù.


Nel testo non originale a noi pervenuto, il II Libro di "Storia delle Guerre" di Procopio, si riportano due scarne cronache divine riferite al primo assedio di Edessa quando, nel 540, il Re persiano sasanide Kusrow attaccò la città ma, una volta assediata, "Il Re vide inciso le parole di Gesù ad Abgar sulle porte della città...", quindi bastò la sola visione della Scritta Sacra a indurre Kusrow a ritirare le sue armate e, con estrema ingenuità dovuta ad un "eccesso di fede", i copisti cristiani fecero dire a Procopio "Kusrow perse la rotta e gli venne il mal di testa" ... tutto qui.

Dal canto suo, Evagrio, in "
Historia Ecclesiastica" Libro IV cap. 27, durante la guerra condotta da Re Kusrow I, lo storico cristiano, come autentico "testimone dei fatti" riporta (ma il codice è stato scritto nell'XI secolo) che i Persiani avevano cinto le mura di Edessa con opere di assedio e, richiamandosi all'episodio ora citato da Procopio (codice del XIII secolo), in cui si riferiscono "le parole di Gesù ad Abgar", aggiunge: "Vi dirò io cosa successe" ... ed inizia una nuova "versione dei fatti" in cui si introduce la "discesa in campo", non più del solo "Scritto Sacro" ma addirittura "l'Immagine Sacra" del Cristo e la Sua potenza "irradiata" tramite spruzzi di ... "Acqua Santa Incendiaria".
A tal fine Evagrio accentra l'attenzione su di una imponente torre d'assedio in legno che i Persiani avevano costruito sopra un terrapieno per colpire meglio i difensori. Questi, a loro volta, tentarono di incendiare la grande struttura dopo aver scavato un lungo cunicolo sotterraneo sotto di essa, ma invano:


" ... non c'era verso di appiccare il fuoco alla catasta di legno, preparata appositamente, per mancanza d'aria. In preda alla disperazione gli
Edesseni portarono una immagine non realizzata da mano umana (Acheiropoietos), quella che Cristo, il nostro Dio, inviò ad Abgar quando il Re desiderava vedere Gesù. Nel tunnel bagnarono l'Immagine con acqua e ne spruzzarono alcune gocce sulla pira di legno. Il Potere Divino, sollecitato dalla fede degli Edesseni, compì ciò che fu impossibile a loro: il fuoco divampò ovunque e la legna fu ridotta in cenere più velocemente della parola".

Da notare che il trascrittore dell'opera dello storico Procopio di Cesarea, pur riferendo lo stesso evento, nel II libro di "Storia delle Guerre", attesta una cronaca ignara dell'intervento "pirotecnico" del "Potere Divino" del Sacro Mandylion con l'immagine di Cristo che indusse i Persiani a lasciare Edessa. Infatti Kusrow I, Re sasanide "dall'anima immortale", vincerà la guerra costringendo Giustiniano a pagare pesanti tributi in oro, nonostante la Potenza della "Sacra Immagine".

Evagrio Scolastico fu un Prefetto cristiano bizantino del VI secolo, intimo amico di famosi “Padri” e Anacoreti Stiliti, a loro accomunato da una sublime ispirazione mistica. Col magro intento di celebrare la gloria di un utopico Impero Cristiano Universale voluto da Dio, Evagrio si propose come continuatore storiografico di Eusebio di Cesarea e, in linea con gli stessi princìpi, scrisse anche lui una “
Historia Ecclesiastica” agiografica e malleabile improntata a denigrare eresie e storicizzare miracoli. Gli amanuensi che copiarono il testo originale conoscevano questo "vizietto" dello storico cristiano e, in sua memoria, ne rispettarono la "coerenza", ma ... ignorarono il già citato storico cristiano: Johannes Malalas (491-578 d.C.); il quale, ricordiamo, di poco antecedente a Evagrio, le cui cronache giungono sino al 565 d.C. (anno della morte di Giustiniano) e anch'egli con lo stesso "vizietto".
La "
Chronographia" di Malalas è costituita da un compendio di cronache storiche giunte sino a noi tramite il "Codex Barocciano Greco 182", trascritto nell'XI secolo, e resti del "Codex Criptense Z.α. XXIV" risalente al XII secolo. Malalas di Antiochia, con la Siria sotto attacco dei Persiani, lui presente, non fa alcun accenno all'eclatante episodio della Sacra Immagine di Gesù e del Suo miracolo nella città di Edessa.

Da sottolineare che Malalas era un cristiano iconòfilo esaltato al punto di riportare, come fatto storico realmente accaduto, che l'emorroissa guarita da Gesù (Mc 5,25-34) era una donna molto ricca la quale, con una sorta di voto, fece innalzare una statua d'oro al suo Salvatore. Inoltre, come sopra accertato, inventò uno dei numerosi martiri, secondo la sgangherata "Tradizione" gesuita, cui fu sottoposto il finto san Babila da vari Imperatori romani, che per Malalas fu Numeriano.
Non è credibile che Malalas, indottrinato a tal punto nella fede in Cristo, si sia lasciato sfuggire il miracolo di Edessa (attuato da Gesù dall'Alto dei Cieli tramite la Sua Sacra Immagine) quando lo storico aveva poco più di cinquant'anni, e arricchire, in tal modo, il corpus delle sue "Sante Cronache", degne della migliore "Tradizione" monastica così ricca di insanabili contraddizioni, fatte passare come "Storia" dalle testimonianze ecclesiastiche conferite a posteriori.

In realtà, sino alla fine del IV secolo d.C., i Padri della Chiesa di Roma, in contrasto all'idolatria diffusa nel mondo pagano, non riconoscevano la possibilità di rappresentare la immagine di Cristo e dei Santi, conformemente al dettato dell'apostolo Paolo (II Cor 5,16) "... anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne ora non lo conosciamo più così", e in (Col 1,15) "Egli è immagine di Dio invisibile, generato prima di ogni creatura", anche Matteo (11,27) "Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare". Sulla base di precisi comandamenti biblici, allo scopo di cancellare usanze pagane fra i Cristiani, nel 303 d.C. si tenne in Spagna il "Concilio di Elvira", nel corso del quale venne decretato il Canone 36:

"Decidiamo che non ci debbono essere pitture nelle Chiese, affinché non sia dipinto sulle pareti quel che viene riverito ed adorato"confermato da Eusebio di Cesarea nella sua "Lettera a Costanza", la sorella di Costantino il Grande, alla quale il Vescovo confermava che "... essendo la parte mortale finita con la vita, Gesù Cristo, dopo la sua morte e resurrezione, non era più raffigurabile".

Soltanto dal V secolo iniziarono le pressioni degli iconòfili (favorevoli alle icone), in continuo crescendo, sino ad introdurre nelle Chiese immagini sacre al punto che, alla fine del VII secolo, l'Imperatore Giustiniano II Rinotmeto di Bisanzio, per la prima volta nella storia, fece coniare monete con l'effige di Cristo, sebbene lo stesso Imperatore, per cautelarsi da eventuali opposizioni, nel 692 d.C. convocò a Costantinopoli il Concilio Quinsesto per ratificare la possibilità di rappresentare Gesù in forma umana.

Il concetto teologico che consentiva di riprodurre una divinità con disegni e statue affondava le sue radici nella variegata cultura pagana e questo fatto si scontrava con un tipo di ortodossia, derivata da quella ebraica, poiché nei vangeli non viene mai descritta la figura di Gesù. Altrimenti chi avrebbe impedito agli evangelisti di raccontare dettagli sul fisico e la statura del loro Messia Salvatore. Ortodossia fatta propria dai Padri del cristianesimo ufficializzato sotto Costantino: una dottrina integralista che divenne insofferente all'introduzione di nuove usanze cristiane.
Per contro, l'esigenza di chi voleva rappresentare le sante immagini, necessariamente, doveva essere supportata da un "diritto divino" documentato sia da scritti sacri che da vicende storiche.
Ecco spiegata la "lievitazione" della leggenda inventata da Eusebio - che, dal IV secolo, fece spedire a un ignaro "Re Abgar", morto da 280 anni, una semplice "lettera divina" scritta da Gesù - sino a gonfiarsi in uno "Scrigno" contenente il telo con il "Sacro Volto" impresso per volontà dello stesso Dio, "Vivificatore del Mondo, Nostro Signore Gesù". Inoltre, come abbiamo sopra visto, anche la storiografia doveva "aggiornarsi" per comprovare i poteri divini di immagini e reliquie.

Questo processo teologale si evolse al punto di scatenare, nell'VIII secolo, persecuzioni cruente, appoggiate dai Patriarchi partigiani iconoclasti, da parte dell'Imperatore cristiano "Leone III l'Isaurico", e continuate da suo figlio "Costantino V", chiamato "Copronimo" (nome di sterco) dai nemici correligiosi.
Ne conseguirono lotte feroci e sanguinose fra i cristiani "iconoclasti" (contrari alle immagini) e quelli "iconòduli" (a favore), con anatemi, distruzione delle sante reliquie, rovine di affreschi e icone nelle Chiese, rimozioni di mosaici, mutilazioni di mani agli iconografi (disegnatori), decapitazioni, supplizi e roghi. Quelle gravi persecuzioni, trattandosi di cristiani contro cristiani, gli storici genuflessi odierni, con un eufemismo ipocrita e riduttivo le chiamano "Dispute iconoclaste", come si fosse trattato di animate riunioni di un semplice condominio.

In quell'epoca la tensione teologica coinvolse, da un lato, il papato romano, favorevole alle icone, e dall'altro, il patriarcato ortodosso bizantino, viceversa contrario.
Appena eletto, Papa Gregorio III, nel novembre del 731 d.C., convocò a Roma un Concilio in Vaticano, cui parteciparono 93 Vescovi, e denunciò l'iconoclastia decretando la "scomunica per coloro che negano la possibilità di trarre conforto dalle reliquie e dalle immagini sacre".
Per tutta risposta il primo Concilio "iconoclasta" fu indetto a Hieria, nel 754, presieduto dal Patriarca Teodoro di Efeso, durante il quale, fra l'altro, venne letta la su citata "Lettera a Costanza" di Eusebio di Cesarea, contraria alla raffigurazione di Cristo. Il Concilio decretò chiaramente:

"Sia anatema chi si applica a fissare l'aspetto dei Santi in icone inanimate e mute con colori materiali, perché tali immagini non portano alcun profitto; produrle è un'idea insensata e una trovata diabolica; invece di riprodurre in se stessi come icone viventi le virtù dei Santi, che ci sono state da loro tramandate per iscritto, essendo così spronati a uno zelo uguale al loro".

In opposizione seguì il Concilio Laterano del 769 ovviamente "iconòdulo", poi, nel 787, si tenne il II Concilio di Nicea, questi fu veramente ecumenico, le cui conclusioni, al momento, risultarono favorevoli alle immagini:

"E' stato dimostrato che le immagini dei Santi sono miracolose e operano guarigioni ... Gloria a Te o Dio che operi miracoli per mezzo delle Sacre Immagini ... noi definiamo con ogni accuratezza e diligenza che, a somiglianza della preziosa e vivificante Croce, le venerande e Sante Immagini, sia dipinte che in mosaico o di qualsiasi altra materia adatta, debbono essere esposte nelle Sante Chiese di Dio, nelle sacre suppellettili e nelle vesti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l'Immagine del Signore e Dio Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della Immacolata Signora nostra, la Santa Madre di Dio, degli Angeli degni di onore, di tutti i Santi e Pii uomini".

Si succedettero altri Concili con alterni decreti, appositamente indetti dalle rispettive fazioni ... ma, anziché "conciliare", aggravarono il contenzioso.
I contrasti si protrassero fino all'epoca di Carlo Magno il quale, a seguito del Concilio di Francoforte del 794 d.C., mediò tra le due correnti e consentì le immagini le quali, comunque, non potevano essere oggetto di culto.
Nell'843 d.C., la reggente Imperatrice "Teodora II d'Armenia", vedova dell'Imperatore Teofilo di Bisanzio, dopo aver fatto massacrare migliaia di cristiani Pauliciani, seguaci dell'insegnamento di Paolo di Tarso (quindi contrari alla raffigurazione di Cristo) restaurò il culto delle immagini anche in Oriente, ove, dopo un paio di tentativi iconoclasti, si consolidò definitivamente.


In onore di Julian Chrysostomides del Royal Holloway College

Nel 2000, anno del Grande Giubileo Cattolico, il professore Michael Whitby, docente di Studi Classici e Storia Antica Bizantina, porta a termine l'alto incarico di curare una moderna traduzione in inglese di "Historia Ecclesiastica" (The Ecclesiastical History of Evagrius Scholasticus) di Evagrio Scolastico e, per dovere professionale, studia gli "Atti del II Concilio Ecumenico di Nicea" tenutosi nel 787 d.C., durante i lavori del quale si discusse della iconoclastia. Preso visione di alcune risultanze, dopo oltre milleduecento anni, nella apposita appendice del suo libro Whitby "sente il bisogno" di confutare gli studi della dottoressa Julian Chrysostomides, del "Royal Holloway College" London University, la quale precedentemente aveva criticato, in maniera netta e radicale, l'autenticità del miracolo a Edessa narrato in "Historia Ecclesiastica" di Evagrio Scolastico, avvalendosi di studi sullo stile della scrittura e della lingua.
La docente, nativa di Costantinopoli, aveva alle spalle una lunga carriera accademica come
esperta ricercatrice specializzata in Letteratura Greca Classica e in testi di Storia Bizantina, quindi, avvalendosi di precise analisi, la studiosa ne conseguì che la storia dell'icona era un falso, frutto delle lotte iconoclaste fra cristiani (di cui abbiamo appena riferito) durante le quali si produssero molte contraffazioni in materia religiosa.

A Ms. Chrysostomides va riconosciuto il merito di essere giunta a queste conclusioni molto tempo prima che venissero effettuati quattro esami al radiocarbonio 14, tra il 2004 e il 2007, su due famosi reperti sacri antichi, tutt'ora oggetto di culto, fabbricati tra il VII e il IX secolo, mentre erano in corso le lotte iconoclaste fratricide tra cristiani; reperti dei quali parleremo fra poco specificamente.
Per capire meglio i termini della discussione fra i due ricercatori di storia bizantina, loro stessi evidenziano che, dagli "Atti del Concilio Nicea II" - appositamente richiesto all'Imperatrice Irene d'Oriente da Papa Adriano I per deliberare sul culto delle immagini - risulta che, durante lo svolgimento della quinta sessione, il monaco Stefano presentò un testo di Evagrio privo di qualsiasi allusione all'icona miracolosa; per contro l'Abate Giorgio del Monastero di Hyacintus ("fortunatamente", secondo Whitby) era in possesso di un altro testo in cui risultava il miracolo di Edessa compiuto dal Mandylion del Sacro Volto di Gesù impresso su un telo di lino: quello che abbiamo letto sopra nel brano della torre d'assedio in cui era riportato l'episodio della "Sacra Immagine Incendiaria" di Cristo. Per la dottoressa Julian la presenza di due Codici evagriani diversi diventava una delle basilari prove a dimostrazione che il telo col Volto Sacro di Cristo era solo frutto di una falsa leggenda montata nel corso delle sanguinose contese cristiane pro o contro la iconoclastia.

Whitby si è laureato al "Corpus Christi College" di Oxford e possiamo presumere quale "imprinting" gli abbia impedito di capire le concrete ragioni della Chrysostomides; pertanto si è scomodato in una critica, tanto laboriosa quanto inutile, parziale e deviante, incentrata esclusivamente sulla indigesta (per il Prof.) analisi della studiosa.
Preso visione delle due posizioni antitetiche, anche noi sentiamo il dovere di entrare nel merito avvalendoci di ulteriori constatazioni.

Nella sua "contro analisi" Whitby deprezza acriticamente, con un metodo inaccettabile dalla storiologia, la mancata testimonianza del miracolo di Edessa da parte del cronista cristiano Giovanni Malalas, sulla mezza età quando sarebbe avvenuto il prodigio, ma riferì della guerra del Re persiano Kusrow quando, nel 540 d.C., dalla Mesopotamia dette inizio all'invasione della Siria, sottomettendola dopo aver sconfitto i Bizantini (Malalas morì nel 578 d.C.).
Inoltre, il professore non valuta la datazione dei Codici accettando, con superficialità, come archétipo dell'originale il testo da lui personalmente tradotto, inoltre, pur essendo evidente l'importanza, sminuisce i contrasti nella descrizione dell'evento miracoloso fra la storia di Evagrio e quella di Procopio: contraddizioni che già da sole dimostrano l'invenzione del miracolo.
Whitby, addirittura, evita di trarre le logiche conseguenze derivanti dalla contrapposizione fra due "Historia Ecclesiastica" dello stesso Evagrio Scolastico presenti nel Concilio, a riprova che due testi diversi del medesimo autore, dei quali uno senza miracolo, non possono essere originali ma trascritti posteriormente gli eventi storici narrati a dimostrazione che gli scribi cristiani iconòduli inventavano a piacimento le "manifestazioni divine".
Di conseguenza, per schivare questa ovvia deduzione, afferma impudentemente che il testo di Evagrio senza il miracolo era stato "cancellato" appositamente in quel punto ... ma sa bene che non può dimostrarlo perché quel manoscritto non esiste più, e fra poco vedremo perché.

Infine, Whitby non dà alcun peso alla "Lettera dei Tre Patriarchi", un testo apparentemente scritto da tre Metropoliti delle Chiese orientali dopo un presunto Sinodo tenutosi a Gerusalemme, indirizzato nell'836 d.C. all'Imperatore Teofilo di Bisanzio con lo scopo di convincerlo ad intervenire militarmente per liberare Gerusalemme e i cristiani palestinesi dall'occupazione islamica.
In questo documento, analizzato dalla Chrysostomides, si palesa il favore verso le icone dei Patriarchi fornendo una "testimonianza" totalmente diversa del miracolo del Mandylion durante l'assedio di Edessa, senza che essi sapessero alcunché della narrazione miracolosa trascritta dai copisti di Evagrio Scolastico trattata nel Concilio Nicea II.
La descrizione dell'evento riporta che Re Kusrow ordinò di accatastare legname di olivo tutto intorno le mura di Edessa, legna che fece incendiare per creare una fitta cortina fumogena e soffocare gli abitanti assediati (questa è una "pia" sciocchezza) ma, il venerabile Vescovo Eulalio di Edessa prese la "Sacra Immagine" di Cristo e, ostentandola, "fa il giro dei bastioni, sino a quando si levò una raffica di vento miracolosa che rivolse le fiamme contro i Persiani costringendoli alla fuga".
Poiché la storia documenta l'Imperatore Teofilo di fede iconoclasta convinto e avversario di icone e reliquie, nella realtà nessun Vescovo si sarebbe azzardato a sottoporgli una narrazione così ridicola, pertanto la lettera non può che essere un falso, come l'ignoto "Vescovo Eulalio" di Edessa. Ciò nonostante conserva tutta la sua importanza perché dimostra la produzione di materiale storico fraudolento da parte di scribi iconòduli, scoordinati fra loro nel gonfiare il mito iniziale.

Và sottolineato, inoltre, che furono molti i cronisti cristiani iconòfili nel periodo delle lotte iconoclaste. Essi descrissero la storia allo scopo di magnificare gli eventi miracolosi inerenti la "Tradizione" dei seguaci di Cristo, e fra questi, poiché trattò l'epoca che ci interessa, si deve citare il bizantino Teofane il Confessore (758-818), dotto aristocratico, fattosi monaco per vocazione, il quale scrisse in greco "Cronaca", la storia che va da Diocleziano all'anno 813 d.C. sotto l'Imperatore Leone V di Bisanzio (775-820).
Teofane fu un iconòdulo, convinto sostenitore delle immagini e delle reliquie, per questo venne beatificato dalla Chiesa. La sua "Cronaca" fu tradotta in latino dal monaco Anastasio nel IX secolo ma ... in nessuna delle vicende narrate il Santo ha riportato lo spettacolare miracolo avvenuto nella città di Edessa grazie alla Sacra Immagine di Cristo.

Un altro storico scrittore credente, in quanto presente personalmente all'epoca e nei luoghi interessati dal conflitto iniziatosi nel 540 d.C. tra Persiani e Bizantini, le sue cronache di allora diventano particolarmente preziose per la comparazione delle vicende reali vissute da lui con quelle miracolose descritte secoli dopo dai copisti di Evagrio e Procopio. E' Giovanni da Efeso, Vescovo cattolico e storico bizantino. Nacque il 507 d.C. ad Amida, in Mesopotamia, fu consacrato Diacono nel 529; si recò a Costantinopoli e, nel 542, l'Imperatore Giustiniano gli affidò il comando della feroce spedizione punitiva contro gli Zoroastriani e gli ultimi Pagani. Fece costruire decine di Chiese sulle rovine di altrettanti Templi pagani distrutti, dopodiché attuò una spietata repressione contro i cristiani Montanisti. Nel 558 (come premio) fu ordinato Vescovo di Efeso. Morì dopo il 588, anno che registra gli ultimi eventi narrati nelle sue due opere: "Biografia dei Santi dell'Est" e "Storia della Chiesa".
Il Vescovo Giovanni da Efeso, pur avendo vissuto di persona l'epoca delle guerre persiane contro l'Impero Bizantino condotte da Re Kusrow ... esattamente come lo storico Giovanni Malalas, coevo e presente ai fatti come lui, non riferisce nulla della Sacra Immagine di Cristo che fece fuggire le armate del Re dei Re "dall'anima immortale" nella battaglia contro Edessa "La Città Santa", protetta da Cristo Nostro Signore.
Dopo queste prime corpose puntualizzazioni, indirizzate al prof. Whitby, torniamo ad analizzare i suoi studi.

Egli, soprattutto, non considera che il monaco Stefano e l'abate Giorgio erano entrambi a favore delle icone e, come tutti i presenti a Nicea II anch'essi consenzienti; pertanto, da specialisti in testi cristiani conoscevano alla perfezione gli "Atti degli Apostoli" perciò sapevano che, tranne Giacomo il Maggiore, i continuatori di Gesù nel messaggio evangelico erano tutti vivi quando Abgar morì nel 50 d.C., senza che ad essi risultasse che il Re e la sua famiglia vennero guariti dalla lebbra ... né tramite semplice "lettera", né tramite il "Sacro Volto".
I Padri sinodali erano consapevoli che i successori di Abgar V non si convertirono al cristianesimo, contraddicendo la favola che i loro antenati e tutti gli abitanti malati di Edessa vennero anch'essi sanati dalla potenza divina del Cristo tramite un inesistente san Thaddaeus ... secondo la stramba "Tradizione" cristiana appositamente creata secoli dopo per indottrinare i "beati poveri di spirito" e la pletora di sindonologi ispirati.

Tutti i convenuti al II Concilio di Nicea, un avvenimento che interessava l'intera ecumene cristiana, ne riconoscevano l'importanza e lo presero seriamente nella forma e col metodo da sempre congeniale ai Clerici. Indipendentemente dal grado gerarchico, ogni prelato sapeva che le icone, come le reliquie, aiutavano a propagandare la Fede in Cristo e un decreto in tal senso era necessario affinché venisse riconosciuto e "dimostrato che le Immagini dei Santi e delle reliquie sono miracolose e operano guarigioni": questa fu l'essenza conclusiva del Sinodo.
Nulla di più che una sorta di "comandamento" senza alcuna "dimostrazione" dal momento che i Padri sinodali non fecero alcun riferimento agli "Atti di Taddeo", , tanto meno, sentirono la necessità di recarsi personalmente, o inviare un testimone a Edessa, vicina a Nicea, per constatare la effettiva presenza della Sacra Immagine di Cristo, ben sapendo che non esisteva; così come erano assolutamente certi della falsità degli "Atti di Taddeo". Questo spiega come fu possibile al documentato monaco Stefano esibire nell'asseblea iconòdula, impunemente, il vero testo della "Storia Ecclesiastica" di un Evagrio Scolastico ignaro del miracolo avvenuto a Edessa.

In effetti, come vedremo fra poco, la storia si evolverà, pur se attraverso ulteriori dilanianti contrasti fra cristiani, a favore delle icone e delle reliquie, sino a cadere nel parossismo ... tutt'oggi sotto i nostri occhi e quelli di Whitby.
Come dimostrato nel Concilio Iconòdulo sulle Sacre Impronte, tenutosi a Torino nel 2010 in occasione della Grande Ostensione della Sacra Sindone, durante il quale la dottoressa Ester Brunet si è sentita in dovere di "anatemizzare" pubblicamente le indigeste analisi della ormai defunta Julian Chrysostomides, che cita espressamente, concludendo:
"Si può considerare l’analisi di Whitby l’ennesimo monito contro gli eccessi di una certa critica interpolazionistica".
(
infatti il suo "mònito" ci sta facendo tremare) e per "comprovare" lo studio del prof. aggiunge "secondo la teologia neoplatonica di Giovanni Damasceno è proprio di tutte le icone partecipare in un certo qual modo della dynamis, dell’ ‘energia’ del prototipo; non perché portatrici in sé della divinità (altrimenti venerarle sarebbe idolatria), ma perché transitus a colui che vi è rappresentato". La Brunet tira in ballo Platone, fingendo di ignorare che ingenui popolani, convinti dai preti, sanno che ignoti resti umani appartengono a questo o quel "santo", e, in quanto reliquie dotate di poteri miracolosi, le adorano quotidianamente. Queste sono le argomentazioni "scientifiche" usate dai saccenti iconòduli, ben introdotti negli ambienti clero-intellettuali ... purché non dicano tutto.


I Codici di Evagrio Scolastico e Procopio di Cesarea manomessi dagli amanuensi


Sono quattro i manoscritti a noi pervenuti che riportano la "Storia Ecclesiastica" di Evagrio Scolastico con la "testimonianza" del miracolo di Edessa, il più antico dei quali, come abbiamo visto, è il "Codex Laurentianus LXIX 5", datato paleograficamente all'XI secolo d.C. ma, dell'originale - secondo la Chiesa e i suoi partigiani studiosi - del Codice "miracoloso", che possedeva l'Abate Giorgio a Nicea II, non vi è alcuna traccia. Una mancanza impossibile da giustificare perché quel Concilio fu voluto da Papa Adriano I, il rappresentante più autorevole di tutta la Cristianità e iconòdulo convinto, quindi la documentazione relativa agli Atti del Sinodo era di sua pertinenza e, insieme a questi, avrebbe dovuto portare a Roma in Vaticano anche il prezioso originale Codice del VI secolo scritto da Evagrio, o, quanto meno, una sua copia dell'epoca con la testimonianza storica dello strabiliante miracolo.
Adriano I non sentì il dovere di recarsi personalmente a Edessa, o inviare un testimone in quella città, non molto lontano da Nicea, per accertare la effettiva presenza della Sacra Immagine di Cristo, ben sapendo che non esisteva.

Dopo queste ovvie constatazioni, spacciare oggi il Codice "Laurentianus LXIX 5" come archètipo della "Storia Ecclesiastica" di Evagrio è solo un'opportunista teoria fantareligiosa riflettente la dottrina favorevole alle icone, in auge quando venne redatto il nuovo Codice nell'XI secolo.
Pure il Codice presentato, tre secoli prima del Laurentianus, dal monaco Stefano a Nicea II con il miracolo "cancellato", come vogliono farci credere i genuflessi studiosi, il vero originale: sparito anch'esso. Dati di fatto determinanti che gli esegeti filo clericali evitano accuratamente di segnalare, ma le ragioni, ripetiamo, sono più che evidenti: l'epoca storica dei manoscritti, a noi pervenuti col miracolo, documenta un interesse popolare verso le sacre immagini e reliquie (alimentato da una Chiesa che ha saputo coglierne l'opportunità) di intensità già elevatissima, tale che tutti i Priori delle Abbazie attrezzate con copisterie dovevano considerare e seguitare ad alimentare trascrivendo ex novo i Codici. Stesse motivazioni e stessa sorte per
il "Codex Athos, Lavra H-73", relativo a "Storia delle Guerre" di Procopio di Cesarea, ricopiato dagli amanuensi alla fine del XIII secolo.

Attenendosi ad un tacito accordo di tipo omertoso, nessun prelato o studioso credente (come la erudita Ester Brunet), oggi, ritiene doveroso manifestare apertamente che tutti i presenti al II Concilio di Nicea, favorevoli alle Sacre Immagini, così come tutti i convenuti ai Concili antecedenti e successivi, pro e contro le icone, tenutisi sullo scottante tema, se avessero avuto un minimo appiglio per riconoscere come veritiera e originale la narrazione della Sua Immagine, rilasciata appositamente dallo stesso Gesù ancora vivo ... tutti, senza eccezione alcuna e sin dall'inizio, la avrebbero "adorata", non semplicemente "venerata".
La Chiesa oggi sa perfettamente - come i Suoi colti adepti collocati nelle elevate cattedre della Conoscenza e tutti i Padri conciliari hanno sempre saputo - che gli evangelisti e gli Apostoli avrebbero sùbito scritto nei Vangeli la "parabola della Sacra Immagine"; successivamente, in "Atti degli Apostoli", avrebbero riferito del "Sacro Volto" e del super miracolo internazionale di Gesù, che guarì dalla lebbra Abgar, la sua famiglia e gli abitanti di Edessa; un evento tale, infine, che sarebbe stato magnificato anche nelle rispettive Lettere Apostoliche "spedite" a futura memoria dai "Successori di Cristo", ma a noi pervenute prive della testimonianza di quello che sarebbe stato il più grande miracolo compiuto da Gesù.

Per di più, in base al Sacro Testo, tutti gli esegeti della cristianità odierna sanno, come tutti i Padri sinodali sapevano, che, dopo la morte di Gesù, gli Apostoli si riunirono per quaranta giorni in Gerusalemme assieme a Maria Vergine in attesa dello Spirito Santo, compreso Giuda, incaricato della missione salvifica inventata da Eusebio di Cesarea tre secoli dopo:

"Dopo l'ascensione di Gesù, Giuda, detto anche Tomaso, mandò ad Abgar l'Apostolo Thaddaeus".

Ma, nella narrazione sacra apostolica dei loro "Atti", neanche alla Madre di Cristo, Giuda, rappresentò nel Sacro Concilio questa "volontà" espressa da Suo Figlio quando era in vita.
Tanto più perché l'Apostolo Taddeo era sconosciuto dallo scriba lucano di "Atti", quindi non era presente con gli altri successori di Cristo, riuniti, "assidui e concordi nella preghiera" con Sua Madre.
Ecco perché a Nicea II, tutti i presenti all'assemblea conciliare, indistintamente, sapevano che nessun Apostolo, Padre, Vescovo, Papa o storico cristiano, sino ad Eusebio di Cesarea, aveva mai sentito parlare, non solo di Sacro Volto, ma neanche di semplice "lettera divina" che, nel giro di un paio di secoli dopo il Vescovo, si trasformerà in "Immagine sacra di Gesù".
Anche se, pur di favorire un opportunistico "apostolato" tutto ciò viene furbescamente taciuto, l'intera ecumene degli studiosi cristiani genuflessi ne è consapevole oggi, come tutti i convenuti al II Concilio di Nicea lo sapevano allora ... tranne, 1200 anni dopo, l'ignaro Prof. Michael Whitby, laureato al "Corpus Christi College", che ha sprecato quattro pagine per una comoda "ispirata critica" alla dottoressa Julian Chrysostomides, da offrire in dono "ad hoc" ai credenti "beati poveri di spirito" in occasione delle celebrazioni del "Grande Giubileo Universale, Anno Domini 2000".


Ancora sulla "Tradizione" cristiana


Nello stesso II Concilio di Nicea venne messo agli Atti il Canone 82 del VI Concilio (Concilio Quinsesto del 692 d.C.) convocato a Costantinopoli dall'Imperatore bizantino Giustiniano II Rinotmeto. Il Canone 82 di quel Concilio, letto a Nicea II ad alta voce dal Protopresbitero Elia, decretava la possibilità di rappresentare in forma umana il Cristo:

"Comandiamo che d’ora innanzi, invece dellantico agnello (Agnus Dei), il carattere di colui che toglie i peccati del mondo, cioè di Cristo nostro Dio, sia dipinto e raffigurato sotto forma umana".


Mai, prima e dopo tutti i Concili della Chiesa, non solo quelli iconoclasti o iconòduli, nessun Padre sinodale accennò a simboli quali "pesce" "pane" "vino" "àncora" "fico" "olivo" e quant'altro la fantasia dei saccenti credenti odierni riesce ad inventarsi, scrivendo trattati pseudo scientifici, in materia, allo scopo di creare prove sull'esistenza dei fantomatici cristiani gesuiti nei primi tre secoli.
Oggi le raffigurazioni, rinvenute nelle catacombe pagane di molti alimenti o oggetti, vengono "abbinate" a Gesù dagli studiosi baciapile ... anche a costo di espropriare la fede pietosa che imponeva ai Gentili di "accompagnare" il caro defunto nella discesa agli "Inferi" (il regno dell'Ade) con ordinarie pitture di cibo e oggetti a lui graditi in vita.
La rappresentazione di un semplice banchetto pagano, molto in voga nella opulenta Roma imperiale, viene fatto passare come "l'ultima cena con la celebrazione dell'eucaristia". Una mamma che allatta un neonato diventa "la Madonna" e l'uomo anziano che le ammira il seno è un "Profeta"; uno squalo che azzanna un naufrago diventa "Giona risputato dalla balena"; una vite con l'uva è "la Chiesa di Cristo"; un comune pastore di ovini non può che essere "il Buon Pastore Gesù che dona la Sua vita per le Sue pecore" ... e così via.

I
musei di tutta Europa conservano moltissime epigrafi su lastre tombali di pietra, pitture e graffiti, ove gli antichi Romani trascrivevano vicende di vita quotidiana, anche fuori delle catacombe ... ma nulla risulta attinente al cristianesimo dei primi tre secoli, come abbiamo accertato nel XIX studio sulle catacombe. Ne deduciamo che le migliaia di màrtiri, pronti ad affrontare i più atroci supplizi anziché rinnegare la propria fede (secondo la artefatta "tradizione"), nella realtà ipotetica, pur potendo conservare l'anonimato, avrebbero avuto grossi problemi ad incidere su lastre di marmo i "detti del Signore" (logia), indicando, naturalmente, che l'Autore della dottrina era Cristo.

I Papi Zefirino e Callisto, stando alle affermazioni degli esegeti del Vaticano, erano i "Sovrintendenti le catacombe della Via Appia"
... ma, sempre da quanto accertato nel XIX studio sulle catacombe (vedi i particolari), le vite di questi Santi risultano "certificate" in epoca futura da altri Santi successori e attestate in codici tardo medievali stilati da amanuensi senza sapere che questi "Papi"* erano sconosciuti da Eusebio di Cesarea e da san Girolamo nel IV secolo, ergo: furono inventati molti secoli dopo.
* Sottolineiamo il fatto che nell'elenco iniziale, riguardante "Gli uomini illustri", scritto da Girolamo, non risulta alcun "Papa", a significare che questo appellativo onorifico cattolico fu invento secoli dopo Eusebio e Girolamo. Tuttavia, nel capitolo LXXXI dedicato a Origene leggiamo questo richiamo estemporaneo "sotto il pontificato di Zefirino", una frase isolata, introdotta nel testo, ma in stridente contrasto con la lista relazionata in apertura de "Gli uomini illustri" che indica solo "Vescovi", esattamente come Eusebio di Cesarea. Questo improvviso accenno a "Papa Zefirino", con tale qualifica sconosciuto anche da Eusebio (prima di Girolamo), si dimostra una interploazione spuria praticata da una pia mano a fine IX secolo, vele a dire la datazione più antica in cui furono trascritti il codici del "De viris illustribus", come abbiamo provato sopra nel capitolo dedicato a Costantino il Grande.
 
Diversamente dall'ingente patrimonio di iscrizioni arcaiche raccolte - ad iniziare dalle scritture cuneiformi su tavolette d'argilla dei Sumeri risalenti a 3000 anni avanti Cristo - nei primi tre secoli dell'Impero Romano non esiste alcuna raccolta detta "Corpus Inscriptionum Christianorum" di epigrafi, epitaffi o scritte lapidee antiche a riprova dell'inesistenza di numerose Ecclesiae cristiane amministrate dai "Vescovi assisi sul trono" e sparse in tutto l'Impero ... secondo quanto "postulato" da una Tradizione ecclesiastica creata a posteriori. Un vero e proprio "vuoto archeologico" che
conferma gli studi precedenti tramite i quali abbiamo accertato l'inesistenza degli Apostoli ed i loro successori almeno nei primi tre secoli d.C.


La stessa immagine del "Dio Sole", un mosaico della antica Basilica di San Pietro (sotto l'attuale in Vaticano) - che rappresenta il Sol Invictus Deus Elios mentre si innalza verso lo zènit del cielo sullo splendente cocchio trainato da cavalli rampanti - ai sottomessi credenti viene propinata come "l'Ascensione di Cristo".
Fingendo di ignorare l'evangelico "pio" asinello montato da Gesù, le guide turistiche evitano, molto opportunamente, di spiegare cosa ci faceva sul pavimento della prima Basilica di san Pietro questo mosaico raffigurante una divinità pagana ... ben sapendo che un generico "chiarimento archeologico" suona come una sorta di "esorcismo" contro i cattivi pensieri di quella parte di praticanti odierni che hanno, sia pur vagamente, sentito parlare di un Cristo Salvatore ideologizzato tramite il sincretismo religioso derivato dalla mescolanza di riti e pratiche cultuali con origini diverse.

Gli studiosi ispirati "dribblano" ipocritamente la stessa "Tradizione Ecclesiastica", evitando di documentare ai fedeli credenti che nessuno degli Apostoli, Padri apologisti, Vescovi, Papi, e gli innumeri "cronisti di Cristo", abbia mai riferito di un Gesù rappresentato da un "pesce".
La strombazzata combinazione acronima di "ictus", che in greco vuol dire "pesce", è solo una delle mille bizzarrie fantasiose da "enigmistica tascabile gesuita" ... ciononostante, per i proni indottrinatori che fanno "apostolato" diventa la "chiave criptata" per rintracciare inesistenti seguaci di Gesù nei primi secoli. Quindi, diversamente dai fantomatici paleocristiani gesuiti, solo per i cristiani odierni un pesce disegnato in una catacomba dell'antica Roma significa: "Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore". E il lavaggio del cervello ha prodotto i suoi frutti "esotici", al punto che la filologa cattolica Ilaria Ramelli, supportata dall'altra pseudo storica Marta Sordi, nel suo studio afferma che "è ben noto il valore cristoforo del pesce, in virtù dell'acrostico che risulta dal suo nome greco", e dopo tale divino "acrostico bizzarro", postulato dalla geniale dottoressa, essa è capace di identificare sotto le squame di un enorme pesce rombo nientemeno che ... san Giovanni apostolo (sic! Leggere il V studio sull'apostolo Giovanni per accertarsi).
Basta ricercare nel vocabolo l'opportuno accoppiamento scegliendo iniziali, sillabe o parti del lemma, come nel caso di un ignaro pesce "piscis" dipinto in una antica catacomba romana pagana e, affinché il giochetto funzioni, obbligatoriamente, si deve tradurlo dal latino nel greco ΙΧΘΥΣ (ichthus), da cui i mistici enigmisti ricavano "Iesùs Christos Theou Yios Soter", poi ritradurlo nelle varie lingue madri dei "cristiani gesuiti primitivi" i quali, stando alla "Tradizione", erano Ebrei plebei di parlata aramaica ... tutti frequentatori dei corsi serali delle scuole di formazione multilingue.

Ma c'è ancora dell'altro. Come sopra visto, i Patriarchi cristiani iconoclasti ordinarono anche la distruzione delle "reliquie dei santi", fatto talmente grave da provocare la scomunica da parte di Papa Gregorio III nel 731 d.C. Questo evento comprovava (e ancora dimostra) una realtà molto scomoda allora per Papa Gregorio e inaccettabile, oggi, dalla dottrina della Chiesa Universale: Imperatori, Patriarchi, Vescovi e Presbiteri, tutti cristiani, quando decretarono la fine delle "sante reliquie", lo fecero perché sapevano che erano false ... come il Mandylion. Le Eminenze Grigie della moderna esegesi ecclesiastica controllano attentamente che i verbali dei Concili dell'era iconoclasta non vengano pubblicati in forma ufficiale per intero onde evitare che la "Assoluta Verità della Fede" non venga scalfita dalle umili testimonianze di Clerici in sincera buona fede.

Convinto da un potente "manipolatore teologale", il Mandylion di Cristo fu "documentato" dallo scriba cristiano che copiò il manoscritto originale di Evagrio Scolastico (ovviamente distrutto) durante la cruenta secolare guerra iconoclasta che vide cristiani massacrare altri cristiani.
Il telo Acheiropoietos
"non fatto da mano umana" non è mai stato visto da "alcun occhio umano"; anche le sue future "apparizioni" sono leggendarie, richiamate senza dati storici concreti, e inizieranno quando il Medio Evo volgerà al termine ma, ancora oggi, nessuna Chiesa è in grado di ostentare la "Sacra Immagine Acheiropoietos" rivendicandone l'autenticità.
La diversità dei tre Mandylion esistenti in Italia, ognuno corredato dalla propria leggenda, già da sola dimostra che sono falsi ... ancorché ridicoli: basta guardarli! Sono tutti rinascimentali e "conservati" a Genova nella Chiesa di S. Bartolomeo, a Roma in Vaticano e a Manoppello (vicino a Pescara) "Città del Volto Santo" così si definisce l'attuale Comune propagandandosi attraverso il "Santo richiamo turistico". Infine, il Mandylion del Vaticano è addirittura su tavola ... del resto, per il Dio Gesù non fu certo un problema fissare la Sua immagine sul legno.

Dopo questa ultima sintesi, incentrata e basata sui dati storici essenziali comparati alla documentazione patristica e neotestamentaria al fine di evidenziare la artificiosa montatura della "secolare tradizione cristiana" tramite particolari specifici accertati durante l'excursus dei Concili ufficiali sulle sacre icone, il cui divieto perdurò a fasi alterne sino all'epoca carolingia ... A partire dal tardo Medio Evo la storia dell'arte sacra gesuita registra il crescente sforzo del Clero per colmare il vuoto di immagini delle divinità cristiane ed i loro Santi, beatificati dalla Chiesa con le loro reliquie, sino a culminare, cinque secoli dopo l'incoronazione di Carlo Magno, con la più famosa e controversa immagine del mitologico "Gesù" che la cristianità abbia mai conosciuto ... né mai sentito parlare prima di allora: la Sindone di Torino.



Sacre Sindoni a caterve

Ancora prima dell'epoca carolingia, la volontà popolare, già superstiziosa di sua natura, per di più indottrinata "a puntino" grazie ai pulpiti che promettevano la vita eterna, esigeva la adorazione delle immagini sacre e finì, inevitabilmente, col prevalere. Dopo secoli di lotte intestine fra cristiani, finalmente, sia il papato di Roma che il patriarcato di Bisanzio decisero che "le icone rafforzavano la fede dei credenti" ... con buona pace dello specifico dettato di san Paolo, ma non delle anime dei suoi seguaci Pauliciani, i quali, dopo essere stati massacrati (come testimoniato sopra), furono spediti direttamente ad arrostire nelle fiamme dell'Inferno.
Ciò che interessava al Clero era, innanzitutto, la popolarità: che fu acquisita con una dottrina che seppe veicolare le antiche credenze pagane - ancora presenti nella memoria di un volgo che non intendeva rinunciare alla protezione atavica dei classici "Numi Tutelari" - per trasferirle nei Santi "Patroni", appositamente beatificati a migliaia e "autenticati" dalle rispettive reliquie, il cui commercio proliferò a dismisura per soddisfare l'incessante crescita della domanda.
La richiesta era pressante e la motivazione fin troppo evidente: le popolane masse, ancor prima del conseguimento della paradisiaca immortalità, anche nel quotidiano presente volevano essere "cautelate" da divinità appositamente "specializzate" nella protezione contro le oscure insidie naturali del corpo e della mente ... financo a garanzia dei concreti e "spiccioli" affanni delle corporazioni dei mestieranti.
Il risultato è tutt'oggi sotto i nostri occhi: in confronto all'immortale "Regno Celeste", il più popoloso degli Olimpi è ormai declassato, numericamente, a meno di una capocchia di spillo.

Molto più in basso, nelle terrene Cattedrali del mondo cristiano, al fine di rafforzare la spiritualità dei fedeli riuniti nel "sublime messaggio divino", apparvero miracolosamente, e si conservano tutt'oggi, le spoglie intere dello stesso Apostolo, Santo, Evangelista, Re Mago, Màrtire ecc. Allora, per evitare di esagerare con le eccessive "clonazioni", le Chiese ripiegarono sulle "particole dei Santi", ovvero "pezzi" dello stesso Beato, magari la testa o un femore, ma andavano bene anche semplici frammenti ossei o sangue, che si prestavano ad essere distribuiti più facilmente e capillarmente ... come una dozzina di autentici "Santi Graal": la coppa dell'Ultima Cena contenente il sangue di Cristo.

Il numero dei "Santi Graal" fu superato da quello dei "Santi Prepuzi" di una ventina di "Bambin Gesù" circoncisi, la cui autenticità fu rivendicata da un altrettanto numero di Basiliche, sino al punto che la Chiesa di Roma, consapevole del discredito di cui veniva fatta oggetto, anche pubblicamente, con il Decreto n° 37 del 3 Febbraio 1900, vietò a chiunque di parlare o scrivere del "Santo Prepuzio" pena la scomunica. La legge è stata riconfermata nell'Italia repubblicana il 1954 da Pio XII.
Le "convalide" delle reliquie erano garantite da guarigioni miracolose "certificate" da apposite Congregazioni e regolarmente verbalizzate per essere poi sottoscritte dai Capi Spirituali delle Diocesi di appartenenza dei sanati dai divini prodigi.
Ma anche gli strumenti utilizzati per "la Passione di Cristo" apparvero in numero talmente elevato da inflazionare la "Via Crucis" al punto che non sarebbero bastati cento "Cirenei" per aiutare Gesù a trasportare sino al Gòlgota tutte le croci riassemblate, tanto erano numerosi i pezzi di legno della "Santa Croce" ritrovati. Stessa proliferazione abnorme per chiodi, corone di spine, lance, flagelli, dadi, tuniche, scale, culle, mangiatoie, ecc.

Molto prima dei tre Mandylion rinascimentali sopra descritti, a partire dal X secolo iniziarono i "ritrovamenti tangibili" e la diffusione delle immagini acheropite "non fatte da mano umana", sottinteso: "per opera divina".

Il Volto Santo, durante la Passione, fu asciugato e riprodotto non una, come da vangelo, ma una decina di volte dalla pia donna che in seguito, con uno studiato gioco di parole, verrà furbescamente chiamata "Veronica" (vera icona): gli "originali" dell'Immagine sono conservati in altrettante Basiliche, Cattedrali e Monasteri.

Ma, quello vero, il più importante Mandylion è il "Sagrado Rostro" (Volto Santo) del "Sudario di Oviedo", in Spagna: un comune telo intriso di alcune macchie di sangue che non lascia intravedere alcun lineamento umano. Si tratta del lino (cm 85x53) che, stando al vangelo di Giovanni, fu visto nel Santo Sepolcro da Simone Pietro e il "discepolo prediletto". La particolareggiata "cronistoria" imbastita dal Vescovo Pelagio di Oviedo, in carica dal 1101 al 1130, e arricchita di particolari dagli ispirati "sindonologi" odierni - capaci di ricostruire il bimillenario percorso del telo, custodito da san Pietro in un "Sacro Scrigno" assieme ad altre reliquie - ha reso questi studiosi talmente convinti della sua autenticità che il Centro Español de Sindonología (CES: Centro Spagnolo di Sindonologia), benedetto dalla Santa Sede, ha osato sottoporre il reperto del "Sagrado Rostro" alla verifica del radiocarbonio 14 per accertarne la datazione con il malcelato intento di riaprire il "caso" della Sindone di Torino, già bollata come un falso dai diversi accertamenti eseguiti sempre tramite il C14.

Ma la deludente risposta ha infranto le speranze dei sindonologi mistici: la verifica strumentale fa risalire la reliquia del "Volto Santo" a sette secoli successivi la Passione di Cristo (l'epoca coincide con quella delle lotte iconoclaste tra cristiani). Dopo il test gli scienziati spiritualisti spagnoli del CES si sono "accorti" che "questa datazione potrebbe essere frutto di contaminazione dei funghi". Per contro, l'Istituto Nacional de Toxicologia Ciencias Forense - previo un altro esame al C14 - l'8 Luglio 2007, per voce di Antonio Alonso del "Ministerio de Justicia", comunica: "la unica evidenza scientifica, quella del test al radiocarbonio 14, dice che la reliquia è falsa".


Nonostante la certezza della contraffazione, la "reliquia" continua ed essere ostentata ai fedeli dalle autorità ecclesiastiche come un autentico oggetto di culto insieme al "Sacro Scrigno" che la conteneva. Uno scrigno che, ricordiamo, accoglie e conserva altre reliquie la cui datazione, ormai, è esclusiva pertinenza del "Credo" dal momento che, dopo la "Passione" scientifica subita per colpa del C14, l'Alto Clero non vuol più correre ulteriori rischi sottoponendole all'accertamento dello strumento satanico. Per altro, le Eminenze Grigie della Chiesa sanno benissimo (ma fanno attenzione a non riferirlo, nemmeno ai sottomessi "Sindonologi Mistici") che, stando alla "ricostruzione storica più attendibile" propagandata dagli esegeti spiritualisti, il "Sacro Scrigno", se veramente l'avesse preso san Pietro con il lino del "Sacro Volto", come postulato dagli scienziati spiritualisti, l'apostolo avrebbe dovuto consegnarlo a Maria, quando, nei giorni successivi la morte di Suo Figlio, i dodici apostoli erano tutti assieme alla Madre di Dio. Ma gli "Atti degli Apostoli" li vede riuniti nel Cenacolo assieme a Maria "Assidui e concordi in preghiera per quaranta giorni sino alla Discesa dello Spirito Santo"... senza specificare la presenza delle Divine Reliquie, troppo importanti per essere dimenticate dai successori di Cristo, ad iniziare dal Volto Santo impresso nel telo per Sua volontà ... se fosse vera la Sacra Leggenda, assemblata con testimonianze di "Storia Sacra", tutte contrastanti fra loro.

Seguono il Volto Santo di Lucca e il Volto Santo di Sansepolcro, due crocifissi lignei in Toscana le cui leggende ed i relativi ritrovamenti sono macchinosi e puerili al contempo: la loro "utilità" è legata al mantenimento delle rispettive sagre popolane; oltre che rappresentare una ghiotta occasione per gli scrittori amanti del "mistero divino".
I ritrovamenti delle Sindoni si moltiplicano: la Sindone di Carcassonne in Francia; la Sindone di Cadouin in Francia; la Sindone di Compiègne in Francia; il Sudario di Kornelimunster presso Aachen in Germania; ancora in Francia il Sudario di Cahors, completo della "Sacra Cuffia" per assorbire il "Sacro Sangue" fuoriuscito a causa delle "Sacre Spine" della "Sacra Corona". Appare la Sindone di Aquisgrana; il Sudario di Arles; il Lino di Cristo di Iohanavank in Armenia; il Santo Sudario di Lisbona; il Santo Sudario di Magonza; la Sindone di Parigi; la Sindone Mondissima di Limoges, il Sudario di Akeldamà a Gerusalemme e tante altre ancora ... ma ci siamo stufati di elencarle.


Finalmente (se ne sentiva la mancanza) giunge tutta intera la "Tunica Sacra" di Gesù, ad Argenteuil in Francia.
Fu donata a Carlo Magno dall'Imperatrice Irene di Costantinopoli circa nell'800 d.C. (quella che massacrò i "pauliciani" seguaci di san Paolo), e questi l'affidò alla figlia Teodrada dell'Abbazia di Argenteuil, ivi conservata, con alterne vicende, fino ad oggi. Sulla tunica sono visibili macchie di sangue: una, sulla spalla causata dal peso della Croce trasportata, altre sulla schiena dove fu flagellato Gesù.

Con un trascorso storico simile, e la precisa corrispondenza alla straziante narrazione evangelica, non esisteva credente al mondo che dubitasse della sua autenticità ... sino al punto di sfidare il responso del radiocarbonio 14.


Il 17 maggio del 2004 il "Commissariat a l'Energie Atomique" di Saclay, vicino Parigi, ha sottoposto il Sacro reperto all'accertamento strumentale C14 ricavando la datazione del 650 d.C.: una doccia fredda per i "beati poveri di spirito".
I sindonologi, partigiani della autenticità della "Sacra Tunica di Cristo", non rassegnati, hanno richiesto un altro esame a controprova, grazie anche alla pressione dei credenti. Il test viene ripetuto nel 2005 con l'esito definitivo che fa risalire la "Sacra Tunica di Gesù" al 750 d.C.

Come per il
"Sudario del Volto Santo" di Oviedo anche la datazione della "Sacra Tunica" di Argenteuil coincide con le cruente contese iconoclaste che obbligarono Papa Gregorio III ad indire il Concilio del 731 d.C. a Roma, con cui decretò la scomunica per i cristiani contrari alle sacre reliquie e le immagini dei Santi.

Nel rispetto della memoria della dottoressa Julian Chrisostomides, è doveroso ricordare la precisione delle sue analisi a dimostrazione che durante l'epoca delle lotte iconoclaste fra Cristiani vi fu una grande produzione di reliquie, quindi i quattro test al C14 eseguiti nell'ultimo ventennio hanno confermato i risultati dei suoi studi. 
Ormai, sulla "Sacra Tunica" che indossò Cristo sette secoli dopo la Sua "Passione" è calato irrevocabilmente il rassegnato silenzio dei suoi fan.


Ne sono rimasti alcuni pezzi, sparsi qua e là in Basiliche e Cattedrali varie ma, come per il Sacro Sudario di Oviedo, l'Alto Clero ha relegato la propria caparbia convinzione confinandola nel più cristianamente affidabile "Credo" ... limitandosi ad alimentare la Fede dei credenti dolciotti con gli ultimi ritrovati scientifici: i pollini; il sangue del gruppo AB; l'esplosione di luce della resurrezione; il DNA mitocondriale ... tutti "compatibili" con la terra di Cristo ed il Suo sangue, giunto sino a noi per essere "quasi clonato"... stando alle conclusioni dell'iconòdulo showman Roberto Giacobbo, esternate nel ciclo Voyager del 18 marzo 2009 "La verità nascosta del Santo Sudario di Oviedo"; cui seguiranno le considerazioni mistiche del 25 maggio 2010 (anno della Sua ostensione) concernenti "La Sacra Sindone", "un mistero difficile da spiegare": parola di san Giacobbo.


La Sindone di Torino

XIV secolo. L'epopea delle lotte iconoclaste fratricide tra cristiani è ormai dimenticata, le Crociate in Terra Santa sono finite da poco e il monastico Ordine dei Cavalieri Templari, "Compagni d'armi di Cristo", è stato appena soppresso.
Ci troviamo nel pieno dell'era iconòdula paganizzante, quando, all'improvviso, a Lirey in Francia "appare" la prima volta, per volontà di Dio, nell'Anno Domini 1353, un telo - lungo metri 4,40 cm. e largo poco più di uno, del peso di un paio di chili - contenente una immagine frontale e dorsale della "Sacra Impronta" rimasta fissata nel lino in cui fu adagiato Cristo dopo la straziante "Passione" subita 1320 anni prima.

Accantonata la cronistoria delle Auguste Immagini di Cristo, troppo numerose per indagarle tutte, spostiamo la nostra attenzione sulla "Sacra Sindone" conservata nel Duomo di Torino, tenendo ben presente anche gli esiti degli esami radiometrici al C14 con gli accertamenti delle falsità riscontrate nelle Sacre Reliquie che hanno osato sottoporsi ai test fra gli anni 2004 e 2007: la Sacra Tunica di Argenteuil e il Santo Sudario di Oviedo.
L'esito negativo di questi esami ha vanificato il disperato tentativo della Chiesa di dequalificare la sacrilega condanna alla "Damnatio Memoriae" per frode ecclesiastica della Sindone di Torino. La sentenza venne emessa, il 13 ottobre 1988, a seguito di tre verifiche effettuate contemporaneamente nei tre laboratori, diversi e indipendenti fra loro, di Oxford, Tucson e Zurigo, scelti dalle autorità ecclesiastiche della "Accademia Pontificia delle Scienze" assieme al relativo protocollo da seguire: il tutto con la benedizione di Papa Wojtyla ... ma non del C14, la cui risposta univoca dei tre Istituti datava la Sindone fra il 1260 e il 1390. Quindi "centrando" in pieno la prima "apparizione" convalidata da concreti riscontri storiografici.

Le ripercussioni negative sulla credibilità della Chiesa e la Sua dottrina non si sono fatte attendere: la domenica gli Stadi traboccano, mentre, via via che si susseguivano gli esiti del C14, le Chiese andavano sempre più svuotandosi e la religione un argomento ormai indifferente alla massa delle persone.

Una volta messo con le spalle al muro il Clero ha continuato ad ostentare un "millantato credito" grazie ai media, tutti compiacenti, facendo il possibile per affollare Piazza San Pietro con gite organizzate e la onnipresente settimanale "foto-memoria di piazza" trasmessa via TV. Purtuttavia, ben sapendo che questa messa in scena non è in grado di ribaltare i negativi responsi della scienza sulle tre reliquie esaminate, la Chiesa Universale ha indetto una Santa Crociata Mediatica e chiamato a raccolta gli "Scienziati di Cristo", incitandoli ad elaborare teorie scientifiche di "ultima generazione" da esporre nel Concilio Iconòdulo sulle "Sacre Impronte" tenutosi a Torino fra il 18 e il 20 maggio 2010: anno della Grande Ostensione Sindonica.
Intanto, per far cessare le continue defezioni, il Clero studia una tattica di "contenimento" facendo entrare in azione i "Sindonologi Mistici" (SM) folgorati da "Rivelazioni Divine", utili a trattenere quei praticanti meno portati alla critica.


Al contempo, dall'Alto dei Cieli, l'Eterno Creatore rivela agli Eletti Scienziati Illuminati (ESI) che lo Strumento di Satana è riuscito ad ingannarli, sinora, tramite una "circonvenzione di incapaci": azione illecita punita dal Codice Penale, quindi tutti gli esami devono considerarsi "invalidati". Inoltre, stante la grave emergenza di Fede, dopo aver fatto miracolosamente apparire sulla Sindone di Torino la scritta "ENEA", l'Altissimo emette un rigido Protocollo Divino, da osservarsi scrupolosamente, equiparato a "Comandamento": "Tutti i Sindonologi Mistici e gli Eletti Scienziati Illuminati devono astenersi pubblicamente dall'entrare nei particolari neotestamentari, cessare di ricorrere a ulteriori "Rivelazioni Divine" ed evitare, tassativamente, di citare la storia patristica cristiana sino a tutto il IV secolo, nonché qualsiasi Concilio tenutosi sulle "Sacre Impronte" dal VI secolo in poi ... pena le Fiamme dell'Inferno".


E tutti gli Eletti Scienziati Illuminati assieme ai Sindonologi Mistici, in ottemperanza al Nuovo Comandamento, convocano conferenze, seminari, convegni, realizzano documentari televisivi e spiegano che si è trattato di un maligno complotto: l'esame radiometrico del C14 non poteva applicarsi. Punto e basta. Viceversa, spiegano, è più valido il "metodo laser" in grado di dimostrare che la Sindone conserva ancora le tracce dell'Esplosione di Luce al momento della Resurrezione. Anche l'RPD è sacrosanto e affidabile, il Rilevatore Pollini Divini, quelli "compatibili con la Terra di Cristo", in grado di sopravvivere 2000 anni e provare il percorso fatto da Gerusalemme a Lirey in Francia dove "apparve" per volontà di Dio, la prima volta nel 1353, il lenzuolo funebre extra long con la Sacra Immagine di Cristo deposto dalla Santa Croce.

Viene poi introdotta la novità "storica" in assoluto, roba che neanche il Beatificato Karol Wojtyla "il Grande" riuscì a profetare durante il suo longevo papato: la Sindone di Torino e il Mandylion sono la stessa "Sacra Reliquia". Una "contorta indagine" inventata inizialmente dallo scrittore inglese Ian Wilson nel 1978, e come tale considerata dagli esegeti accreditati della Chiesa ... sino ai tempi recenti.
Alla data della sua prima apparizione, essendo un telo ignoto senza alcun richiamo storico, neotestamentario e neanche patristico, per superare il pericoloso "impasse" della assenza di "Tradizione", i Sindonologi Mistici per colmare l'ultra millenario silenzio sindonico riesumano la "Leggenda del Volto Santo" (il mito evolutosi dalla Sacra Lettera di Gesù ad Abgar) quindi ci spiegano che "la Sindone è in realtà il Mandylion di Edessa" il quale, inizialmente, fu opportunamente ripiegato quattro volte in modo da ottenere otto strati sovrapposti per lasciare visibile solo il Sacro Volto. Se qualcuno poi obietta che la Sindone di Torino raffigura un Sacro Cadavere con gli occhi chiusi, mentre il Mandylion ritrae il Cristo vivo e vegeto ad occhi aperti, allora spiegano che basta concentrarsi intensamente e, ecco il miracolo: gli occhi di entrambi si aprono e si chiudono a discrezione poiché il Potere Divino ascolta la Fede del Giusto esaudendo il suo desiderio. Chi non è fra questi non potrà vedere né capire.

Alleluia! Fra questi è il pio Giacobbo. Il 25 maggio 2010, appena cinque giorni dopo il Concilio Iconòdulo di Torino su le "Sacre Impronte", il programma "Voyager" manda in onda sulla TV di Stato Rai 2 "La Sacra Sindone". Una inchiesta ad "Alto Profilo Scientifico" con il palese fine di svelare l'arcano che aleggia sul Sudario che avvolse il Corpo esamine di Cristo: "un mistero difficile da spiegare". Sin dall'inizio lo showman ammaliatore, accompagnato da un coro celestiale come sottofondo sonoro e da una voce narrante fuori campo, chiarisce subito il mistero e spiega che "da secoli, questo Telo Divino, conserva intatto il suo segreto: è la reliquia più importante della cristianità, la raffigurazione quasi tangibile della sofferenza e del Sacrificio di un uomo condannato a torture terribili e ad una morte atroce per crocifissione"... ma, consapevole dell'ultimo Comandamento dettato da Dio, Giacobbo non menziona gli esiti delle datazioni al C14 nonostante abbiano già chiarito definitivamente il "mistero". 


Gli Eletti Scienziati Illuminati e i Sindonologi Mistici, in virtù delle Rivelazioni Divine ricevute, scatenano nella "Crociata Mediatica" bordate fuoco "in Crociato" di Sacre Tesi riportate su innumeri libri, lezioni, verbali, filmati e quant'altro le fantasie mistiche si sforzano di congetturare: da Costantino il Grande, su su nei secoli, fino ai Cavalieri Templari ... giungendo a contraddirsi l'un l'altro. In questo Sacro Bailamme altisonante di teorie strampalate, senza alcuna base storica e scientifica, si distingue una autorevole voce fuori dal coro: Andrea Nicolotti. Chi l'avrebbe mai detto?
L'insigne studioso, da molti anni impegnato a "rammendare" i numerosi "strappi" alla storia contenuti nelle Verità neotestamentarie, intravede nella Crociata Mediatica in atto il concreto rischio di una perdita di credibilità da parte di quel mondo intellettuale e razionale, poco incline a farsi prendere in giro.
Constatato che la schiera dei Sindonologi Mistici vede cresciuti a dismisura e fuori controllo quelli convinti che la Sindone di Torino e il Mandylion di Edessa siano la stessa reliquia, affronta seriamente la questione e nel 2011 pubblica un libro con uno studio approfondito
* presentato al Congresso di Torino, attraverso il quale, avvalendosi di fonti storiche, letterarie e iconografiche, sconfessa la puerile teoria con precisi dati di fatto e, senza remore, ne cita molti, italiani ed esteri, con tanto di nome e cognome.
Il dottor Nicolotti sa, ed ha ragione (questa volta), che a lungo andare le argomentazioni sciocche hanno la peggio finendo col gettare ulteriore discredito sulla già traballante credibilità della Chiesa.

* "Dal Mandilio di Edessa alla Sindone di Torino. Metamorfosi di una leggenda"
Anche in rete pubblica uno studio specifico, consultabile liberamente, "Forme e vicende del Mandilio di Edessa"

La disamina contiene una ricerca iconografica che si allarga alle reliquie documentate sino a ricostruire la storia del famoso reliquiario custodito a Costantinopoli dagli Imperatori bizantini a partire dal 944 d.C.
Nel 1204 la città fu assalita e saccheggiata dai Crociati i quali salvarono il reliquiario divenuto proprietà di Baldovino I, nuovo Imperatore di Costantinopoli nel 1228, fu poi venduto da suo figlio Baldovino II dietro pagamento di una cifra esorbitante a (Ludovico) Luigi IX detto il Santo, Re di Francia dal 1226 fino alla sua morte nel 1270 (poi è' stato fatto veramente Santo). Al termine del particolareggiato excursus storico, Nicolotti conclude:

Siamo in grado di sapere con precisione quali furono le reliquie cedute al sovrano francese perché ci è pervenuto il testo di una dichiarazione, datata giugno 1247, che le elenca una ad una:

"La sacrosanta corona di spine del Signore, e la santa croce; poi del sangue del Signore nostro Gesù Cristo; i panni dell’infanzia del Salvatore, con i quali fu avvolto nella culla; un’altra grande porzione del legno della santa croce; il sangue che, per stupefacente miracolo, stillò da un’immagine del Signore percossa da un infedele; poi la catena, o vincolo di ferro, fatto quasi in forma di anello, con il quale, si ritiene, nostro Signore fu legato; la santa tela inserita in una tavola; gran parte della pietra del sepolcro del Signore nostro Gesù Cristo; del latte della beata vergine Maria; poi il ferro della sacra lancia con il quale il fianco del Signore nostro Gesù Cristo venne trafitto; un’altra piccola croce, che gli antichi chiamavano croce trionfale, perché gli imperatori erano soliti portarla alle guerre per speranza di vittoria; la clamide scarlatta che i soldati misero addosso al Signore nostro Gesù Cristo, a suo scherno; la canna che gli posero in mano al posto dello scettro; la spugna piena d’aceto che gli sporsero quando era assetato sulla croce; parte del sudario con il quale il suo corpo fu avvolto nel sepolcro; poi il lino di cui si cinse quando lavò i piedi dei discepoli, e con il quale asciugò i loro piedi; la verga di Mosè; la parte superiore della testa del beato Giovanni Battista, e le teste dei santi Biagio, Clemente e Simeone"* (Epistula Ludovico IX).

Questo documento storico conferma che sino al 1247 d.C. non esisteva ancora la ben più famosa Sacra Sindone in Francia ove, come sappiamo, farà la sua comparsa a Lirey un secolo dopo, "devotamente" integra. San Luigi, Re di Francia, grazie al potere e ai capitali a sua disposizione avrebbe certamente completata la sua già ricca collezione di reliquie sostituendo il "pezzo di Sindone", ovviamente falso, con la Sindone "autentica".

* San Biagio, ne abbiamo dimostrato l'invenzione all'inizio di questo studio; san Simeone anche lui inventato, vedi studio IV; san Clemente (Alessandrino) idem, vedi studio V.

L'analisi di Nicolotti, negando l'identificazione del Mandylion con la Sindone di Torino, di fatto (solo su questo punto), conferma le conclusioni dei maggiori sindonologi atei italiani, Antonio Lombatti, collaboratore del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) e Luigi Garlaschelli del Dipartimento di Chimica Organica dell'Università di Pavia.
Tutti insieme, pur "militando" in schiere contrapposte, i loro studi evitano, accuratamente ma con ragioni diverse, di entrare nel merito della cruenta storia scritta nei decreti conciliari sulle reliquie e la raffigurazione delle divinità cristiane. Così come, insieme, evitano la lettura comparata dei documenti neotestamentari con quelli afferenti la Tradizione patristica che trattano il momento della morte e risurrezione di "Nostro Signore", e il periodo seguente quando entrano in azione i Suoi successori.
Da quanto risulta, l'Ultimo Protocollo equiparato a Comandamento e rivelato da Dio dall'Alto dei Cieli ai Sindonologi Mistici ed agli Eletti Scienziati Illuminati, viene ottemperato anche dagli scienziati atei (la minuscola è d'obbligo quando non si tratta di Santi) e dallo stesso CICAP. Tanto peggio per loro perché l'apparizione miracolosa voluta dal Creatore, apparsa sulla Sindone in contemporanea con la Grande Ostensione del 2010, la scritta "ENEA", mai vista prima, viene scoperta, manco a dirlo ... dall'ENEA. Sì, avete capito bene, l'Agenzia Nazionale per le Nuove tecnologie Energia e sviluppo sostenibile. E quando la "Scienza" entra in campo contro la "Scienza" ... le cose si complicano per la "Scienza".

La notizia viene ufficializzata dal dottor Paolo di Lazzaro, responsabile del Laboratorio Eccimeri del Centro Ricerche ENEA di Frascati, il quale spiega subito che l'omonimia della scritta è un caso ma, la dichiarazione seguente chiarisce meglio la posizione dello Scienziato e dell'ENEA:


Centro Ricerche ENEA di Frascati
. Ufficio Stampa.


La Sindone è un enigma scientifico a molte facce”. Ci spiega il dott. Paolo Di Lazzaro, responsabile del Laboratorio Eccimeri del Centro Ricerche ENEA di Frascati “La misura di radio datazione effettuata con il carbonio 14, per esempio, ha collocato l’origine del telo in pieno medioevo (1260–1390) ma questa misura sembra aver sofferto sia di errori materiali di calcolo sia di problemi di contaminazione, ed è in contrasto con molti indizi tessili, iconografici, storici che suggeriscono che questo telo sia più antico di quanto dica la radio datazione.

Non ci vuole molto a capire che l'Eletto Scienziato Illuminato ha emesso un Giudizio Divino basato sulla semplice Fede poiché "sembra" e "indizi" non hanno alcuna valenza probatoria scientifica, utili, questo sì, ad eccitare e indottrinare gli sprovveduti, e Di Lazzaro lo sa bene.
Consapevolmente il dottor Paolo alimenta la credulità superstiziosa coinvolgendo la Scienza in quanto suo rappresentante, quindi "testimone" della inaffidabilità della stessa, ottenendo quanto si era prefisso: il Sacro diventa certezza, la Scienza no!

Dottor Di Lazzaro, prima di richiamarsi a "indizi storici", si legga la Storia, e al contempo si legga i Sacri Testi e la documentazione patristica dei "Successori di Cristo", poi, dopo una decina d'anni di studi a tempo pieno, stia certo, non oserà più fare "sparate" in cui miscelare Credo e Scienza al fine di insinuare pesanti dubbi su misurazioni fatte da tre Istituti di rilevanza mondiale che si sono avvalsi di strumenti scientifici ai quali Lei stesso, in ultima analisi, affida i suoi oracoli.

L'Illuminazione che ha folgorato lo Scienziato Eletto si concretizza con la "ricostruzione" del "Bagliore Divino della Risurrezione" che generò Cristo nel lenzuolo funebre entro cui fu avvolto lasciandovi la Sua Impronta nell'attimo in cui "sparì".
"I ricercatori dell'ENEA credono sia stato un potente fascio di raggi ultravioletti a marcare indelebilmente il Sudario di Cristo" dice Giacobbo all'inizio dello show; e aggiunge "una potente luce si generò dal Corpo di Cristo all'interno del Sudario"; poi fa scendere in campo Di Lazzaro, che si presta ben volentieri, e il dottore, con un laser a eccimeri, produce un potente raggio di luce ultravioletta "di energia pari a quella di quel giorno di 2000 anni fa" (sottolinea Giacobbo).
Il laser, indirizzato su un piccolo campione di tessuto "riesce" a bruciacchiarlo facendogli una macchia o ombreggiatura (che i pii chiamano "impronta"). "Cambiando l'onda di emissione abbiamo ottenuto un colore molto più giallo e molto più vicino alla colorazione cromatica della immagine sindonica; l'azione coinvolge le fibre più esterne, quelle che guardano la luce laser" conclude lo Scienziato.

E allora? Cosa c'è di speciale nello strinare con un potentissimo raggio ultravioletto un pezzetto di telo bianco sino a macchiarlo? Lo Scienziato Eletto ci spieghi piuttosto come fa un "laser a eccimeri" a riprodurre la assenza di deformazioni geometriche tipiche di un corpo tridimensionale al quale aderisce un lenzuolo come una maschera al volto di un uomo.
Perché, quando spianiamo la maschera ben stirata come il Lenzuolo di Torino, quella che i Sindonologi Mistici chiamano "Impronta del Volto" finisce col risultare una grottesca faccia slargata a dismisura, e lo stesso vale per il resto del corpo ... ma chi realizzò il falso lo sapeva bene e fece in modo che il "Corpo Sacro" apparisse di proporzioni umane corrette. Già, ma molto più alto della media umana dell'epoca: come si conveniva a un Dio che sovrastava tutta l'umanità.

Roberto Giacobbo, avvalendosi di un intelligente montaggio unito ad una scaltra manipolazione mediatica finalizzata a dimostrare la veridicità della Risurrezione, è riuscito a incantare masse di ascoltatori, convinti di aver assistito a un documentario scientifico ... in quel momento ... poi, appena giunta domenica, gli stadi continuano a riempirsi, ma le Chiese a svuotarsi.

A seguito dei "miracolosi" esperimenti compiuti dal Laboratorio ENEA in diretta TV, contiamo sull'interesse del pio scienziato divulgatore cattolico, il professore Antonino Zichichi, affinché, dopo aver raccolto le preventive necessarie adesioni dei fisici più famosi del mondo, promuova gli atti necessari a candidare il dottor Paolo Di Lazzaro presso il Comitato Norvegese di Oslo per l'assegnazione del Premio Nobel per la fisica "essendo riuscito a riprodurre l'energia che si sprigionò da Cristo al momento della Sua Risurrezione". Rimaniamo in devota attesa della conferma ufficiale del prestigioso riconoscimento, orgoglio dell'ingegno italiano.


Dopo questa fastidiosa sequela di "prove", "teorie", "confutazioni", "fantasie", "credenze", "convinzioni", sciocche e spesso puerili, ma soprattutto superstiziose e caparbie, rimangono semplici e brevi considerazioni dalle quali non si può prescindere. Particolari che qualsiasi prete o semplice studioso di testi sacri e tradizione patristica conosce alla perfezione ... ma che tace volutamente per calcolato opportunismo.

Una volta accettate per vere le narrazioni evangeliche canoniche neotestamentarie, basta leggerle con attenzione critica per ricavare i dati inerenti alle reliquie documentate nei Sacri Testi. Nel caso della Sindone e del velo usato per asciugare il volto di Cristo seguiamo cosa dice il vangelo di Giovanni dopo che Gesù fu deposto nel sepolcro da Giuseppe d'Arimatea seguito da Nicodèmo:

"Vi andò anche Nicodèmo e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libre. Essi presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende insieme con gli oli aromatici" (Gv 19,40. Bibbia CEI 74).
"Allora Simon Pietro, insieme all'altro discepolo (Giovanni) si recarono al sepolcro. Correvano insieme ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi vide per primo le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro ed entrò e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte" (Gv 20,3/7. Bibbia CEI 74).

Questa è tutt'ora la traduzione ufficiale del vangelo di Giovanni da parte della CEI (Conferenza Episcopale Italiana 1974) conforme al "Codex Sinaiticus Graece 01" e il "Codex Vaticanus Graece 1209": quindi una Sacra Scrittura in vigore da oltre 1500 anni, utilizzata per evangelizzare la intera Cristianità.
Scopo dello scriba di questo vangelo fu di rappresentare l'imbalsamazione della salma del Messia da parte dei due autorevoli Giudei, già forniti di trentadue chili (in libbre romane) di miscela balsamica, secondo rituali riservati ai Re e praticati nei paesi orientali, dall'India alla Persia fino all'Egitto. Erano salme sacre e dovevano essere preservate dalla decomposizione garantendo loro una vita eterna nell'Aldilà dopo essere state cosparse di unguenti e avvolte con bende di lino intrise nella stessa sostanza.
La miscela di mirra e aloe aveva questa proprietà ma, come tutti i credenti riconoscono (in ossequio alla fantastica teologia dell'evangelista), il rituale per impedire la putrefazione del Suo cadavere non servì a Gesù: Egli risuscitò da morte entro il terzo giorno, prima di decomporsi.

Il vangelo di Giovanni - il solo degli evangelisti a presenziare e testimoniare direttamente quegli eventi - a differenza dei tre sinottici, non parla di lenzuolo nel quale fu avvolto l'intero corpo di Cristo quando fu deposto dalla croce: l'unico sudario era un telo posto sul suo capo, quindi di misura molto ridotta rispetto a quello utile a contenere l'intero corpo come una sindone di oltre quattro metri. Infatti i vangeli sinottici non riportano la presenza del piccolo sudario, pertanto, mentre la tumulazione della salma è uguale in tutti i vangeli, viceversa, il procedimento rituale per l'imbalsamazione del corpo si realizza solo nel quarto vangelo.
La sepoltura più famosa dell'umanità viene descritta con due rituali funebri, diversi e contratanti fra loro, riguardanti lo stesso defunto, e il fatto non può che discreditare la successiva narrazione della risurrezione del cadavere, un fenomeno che viola le leggi naturali, ragion per cui: impossibile.   


Sin dal 1979, sotto il neo eletto papa Karol Wojtyla, l'Accademia Pontificia delle Scienze manifestò l'intenzione, attraverso un protocollo pubblico, di sottoporre la Sindone di Torino a vari esami tra i quali la datazione al radiocarbonio. Da allora l'attenzione degli esegeti si è focalizzata sulle descrizioni degli evangelisti al momento della deposizione e preparazione per la sepoltura della salma di Cristo, evidenziando la diversità fra i sinottici, in cui si descrive un lenzuolo come sudario, e il vangelo di Giovanni che specifica "avvolsero il corpo in bende", non nella Sindone (lenzuolo).
Le eminenze grigie, giustamente, paventavano che la pubblicità, scaturita da un esame pubblico della reliquia più famosa della cristianità, avrebbe aumentato la curiosità delle masse, cui sarebbe seguita l'inevitabile denuncia della grave contraddizione fra i vangeli, finendo col ridurne la credibilità. Inoltre, a peggiorare il giudizio, molti critici avevano iniziato ad insinuare che il falsario della Sindone fu obbligato ad ignorare il vangelo di Giovanni perché non poteva eseguire l'opera particolareggiata su delle bende. Ma la Chiesa era con le mani legate: se avesse modificato la traduzione del vangelo di Giovanni avrebbe scatenato la reazione dei critici e attirato ancor più l'attenzione sul grave contrasto fra le diverse testimonianze evangeliche della "resurrezione di Cristo". Come nel caso di Luca quando, nel suo vangelo, narra di un Gesù appena risorto che si intrattiene con gli apostoli giusto il tempo di consumare nel "cenacolo" una cenetta a base di pesce e ... "alzate le mani, li benedisse e si staccò da loro e fu portato verso il cielo" nel medesimo giorno (Lc 24,51). Ma lo stesso Luca, in "Atti degli Apostoli", rilascia una versione diversa: "Egli (Gesù) si mostrò ad essi (gli apostoli) vivo dopo la sua passione, con molte prove (sic), apparendo a loro per quaranta giorni ... e fu elevato in alto ai loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo" (At 1,3/9).


Nel 1988, quasi in sordina, un prete laziale, ossessionato dalla dubbia credibilità circa la "Resurrezione di Cristo" a causa le contraddizioni evangeliche, don Antonio Persili, banalizzando apertamente e con superficialità la millenaria versione ufficiale, decide autonomamente di "riparare" il vangelo di Giovanni e pubblica il suo studio in un volumetto che, non potendo fare altro, viene ignorato dalle autorità ecclesiastiche: "Sulle tracce del Cristo risorto. Con Pietro e Giovanni testimoni oculari".
Dovranno passare una dozzina d'anni di dispute interne sulla Sindone prima che qualche esegeta della Chiesa pensasse che era opportuno modificare il vangelo di Giovanni, in quel preciso punto. Al contrario, i veri esegeti ecclesiastici, le sottili Eminenze Grigie, hanno capito che il volenteroso prete era animato da un sincero "eccesso di fede" ed hanno fatto finta di niente, ben sapendo che se avessero iniziato a "correggere" i vangeli ... sarebbero stati costretti a riscriverli tutti dall'inizio, appunto per "l'eccesso di contraddizioni" in essi contenute.

Nel 2000 d.C., anno del Grande Giubileo Cattolico, è iniziata a circolare la versione, tuttora ufficiosa, in grazia della "Rivelazione Divina" ricevuta dall'evangelista don Antonio Persili, incentrata sul brano di Giovanni, corredata di nuove teorie e "dovutamente" caricata di tortuosi grecismi ricercati nel groviglio dei vocabolari disordinatamente sfogliati, ma, non essendo bastante estrapolare qualche parola, per corroborare la sua teoria le cambia con delle nuove.
Ignorando il preciso rituale dell'imbalsamazione e le motivazioni escatologiche rappresentate dallo scriba, il brano appena sopra letto viene modificato nel nuovo vangelo di don Antonio Persili ed entusiasticamente accettato dai saccenti dèditi a fare apostolato, ma frustrati dal vangelo di Giovanni "discepolo prediletto di Gesù", il quale viene fatto passare come "giovane inesperto" ... nonostante, quando scrisse il vangelo, era quasi centenario. Un particolare che l'evangelista Persili e gli avviliti sapienti, con Vittorio Messori "capocordata", si guardano bene dall'evidenziare.
Ecco il nuovo versetto "riparato":

"Giovanni ... chinatosi, scorge le fasce distese, ma non entrò. Giunge intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entra nel sepolcro e contempla le fasce distese e il sudario che era sul capo di lui, non disteso con le fasce, ma al contrario avvolto in una posizione unica".

Le motivazioni di chi ha scritto questo brano, e di chi lo condivide, sono evidenti dal momento che la stessa "necessità" di modificare un vangelo, già da sola, dimostra che l'autore sa che fu scritto da uno scriba senza alcuna "rivelazione" di Dio; quindi il prete si sente in diritto di "correggerlo" per ridurre le contraddizioni con le altre "risurrezioni". Ma consigliamo i lettori di non "infilarsi" nel web in questa "ricerca" per evitare di ritrovarsi nel mezzo di una bolgia mediatica tipo quella relativa il Mandylion-Sindone e, soprattutto, perché ... è inutile.
Più i falsificatori si agitano per "salvarsi" dalle sabbie mobili delle sacre contraddizioni e più finiscono coll'affondarvi.
Non è un caso che Dio abbia dettato il Protocollo Divino equiparato a "Comandamento", in base al quale tutti i Sindonologi Mistici e gli Eletti Scienziati Illuminati devono astenersi dall'entrare nei particolari neotestamentari: «Evitare, tassativamente, ulteriori "Rivelazioni Divine" e smettere di citare la storia patristica cristiana sino a tutto il IV secolo, nonché qualsiasi Concilio tenutosi su le "Sacre Impronte" dal VI secolo in poi, pena le Fiamme dell'Inferno» ...
Sì, il Padreterno aveva delle ottime ragioni per impedire che il castello di sabbia delle menzogne si sciogliesse col sopraggiungere delle onde del razionalismo storico.

Dopo che la Chiesa Universale ha indetto l'ultima Santa Crociata Mediatica e chiamato a raccolta gli "Scienziati di Cristo", incitandoli ad elaborare teorie scientifiche di "ultima generazione" da esporre nel Concilio Iconòdulo sulle "Sacre Impronte" tenutosi a Torino nel 2010, la grancassa ha suonato così forte che, ormai, l'elenco delle "Impronte" rilasciate dalle "Sacre Reliquie" è talmente lungo che la immancabile, pedissequa Wikipedia, "Per Grazia Ricevuta" lo ha sciorinato compiutamente. E sappiamo tutti che qualsiasi informazione "entrata" nel web, lì resta ... anche a voler cancellare "la fonte". 
  
Allora, a partire dai vangeli, limitiamoci a seguire il percorso delle due reliquie in essi citate e decantate a squarciagola dalla cristianità praticante: la Sindone, lungo sudario del Cristo defunto e il piccolo sudario che avvolse il Suo capo.
Gli unici ad entrare nel Sacro Sepolcro furono gli apostoli Giovanni e Simone Pietro, loro videro i due sudari, intanto fuori era già risorto "Rabbunì, il Maestro" e parlava con Maria di Màgdala. Poi, nello stesso giorno, la sceneggiatura si sposta dal sepolcro alla casa dove si erano rifugiati gli apostoli, e lì Gesù si rivela anche a loro già risorto, per otto giorni. Poi si rivela ancora a loro sul mare di Tiberiade, e dal lago ... le rivelazioni proseguono nella Città Santa in "Atti degli Apostoli".

Ove leggiamo che i Successori di Cristo si riuniscono per quaranta giorni: prima nel Cenacolo sul Monte degli Ulivi, poi a Gerusalemme, assieme a Maria Vergine in attesa dello Spirito Santo "assidui e concordi nella preghiera". Fra essi è presente Simone Pietro, già entrato nel Sacro Sepolcro, quindi il solo ad avere il Sacro Dovere di salvaguardare le due reliquie del Figlio per consegnarle alla Madre di Cristo. Ma, lo scriba di "Atti" che si firma Luca, non sa nulla della Sindone riferita dallo scriba del vangelo di san Luca. Pertanto questo amanuense non sente il dovere di far restituire da san Pietro alla Theotòkos "Θεοτόκος", la Madre di Dio, come è chiamata nel vangelo lucano, il lenzuolo funebre di Suo Figlio. Lo stesso vale per il piccolo sudario che avvolse la testa di Cristo.
A questo punto, per gli iconòduli reliquiaristi le cose si complicano davvero. Nella casa, assieme agli altri apostoli, è presente anche Giuda "non il Traditore", il quale, stando alla "tradizione" inventata durante le lotte iconoclaste tra cristiani, già possiede il fazzoletto "mandylion" con l'Immagine di Gesù vivo e, quanto meno, deve sentire il cristiano obbligo di farla vedere a Sua Madre ed agli stessi apostoli, perché essi riferiscano la parabola nei vangeli e nelle loro lettere; informandoli, inoltre, che lui stesso, dopo la discesa dello Spirito Santo, avrebbe ordinato all'apostolo Taddeo (ma, come sappiamo, san Luca non lo conosce, infatti lì non c'è) di recarsi a Edessa per consegnare ad Abgar il Mandylion e miracolare l'intera città affetta dalla lebbra, secondo la testimonianza di Eusebio riferita tre secoli dopo, ripresa ancora due secoli successivi dagli "Atti di Taddeo":

"Dopo l'ascensione di Gesù, Giuda, detto anche Tommaso, mandò ad Abgar l'Apostolo Taddeo".

Ma, nella narrazione sacra apostolica dei loro "Atti", neanche Giuda, lì presente, espresse alla Madre di Cristo questa "volontà" ordinata da Suo Figlio quando era in vita.

Ecco perché a Nicea II, come abbiamo sopra visto, tutti i presenti all'assemblea conciliare, indistintamente, sapevano che nessun Apostolo, Padre, Vescovo, Papa o storico cristiano, sino ad Eusebio di Cesarea, aveva mai sentito parlare, non solo di "Sacro Volto", ma neanche di semplice "lettera divina" che, nel giro di un paio di secoli dopo il menzognero Vescovo, si trasformerà in "Immagine Sacra di Gesù".

Intanto, mentre stiamo scrivendo queste righe, il frastuono della Crociata Mediatica indetta da Santa Madre Chiesa per comprovare l'esistenza delle Sacre Reliquie, non si placa, anzi, continua peggio di prima perché, ormai, i depositari iconòduli delle "Rivelazioni Divine" litigano fra di loro nella corsa serrata a chi le spara più grosse, perciò ... si è verificato quello che Dio aveva temuto e tentato di evitare con l'Ultimo Protocollo ...


Atti degli Apostoli

Da poco si è consumata la Passione di Cristo, ma gli Apostoli sono ancora riuniti con Gesù e cenano insieme un'ultima volta, poi, il Figlio di Dio, troppo impegnato a governare l'Infinito Cosmo con il Padre, li lascia e, dopo aver loro detto che li avrebbe fatti battezzare dalla Divina Potenza dello Spirito Santo "fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo". Dal Cenacolo, sul Monte degli Ulivi, rientrano in Gerusalemme nella Sacra Casa dove abitavano e, in attesa della Solenne Discesa della Fiamma dello Spirito Santo che avrebbe dato loro la Grazia di compiere i miracoli sotto il Portico di Salomone, gli Apostoli ...

"Tutti erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù e i fratelli di lui". E così per diversi giorni, dall'alba a notte inoltrata, con devozione e nel silenzio più assoluto, certi della Divina Provvidenza dello Spirito Santo. Finché una sera, ormai tardi, mentre dall'incensario si diffondeva il celestiale profumo, i Santi, raccolti intorno alla fioca luce di un candido cero, continuano a pregare rapiti nell'estasi mistica. Allorquando, in un angolo buio della grande stanza, recòndito, dietro gli scaffali di legno ove erano sistemate alla meglio tutte le reliquie che continuavano a giungere ed accumularsi, un piccolo bagliore rossastro, sinistro, lampeggia un attimo nell'oscurità più fitta: Belial l'Eterno, il Viscido, depravato tentatore alla verginità di Eva, insinuatosi nascostamente nella Sacra Casa dove si teneva la Sacra Sinassi, con un ghigno pio, introduce furtivamente uno strano oggetto e, lentamente, lo accosta alle Sacre Reliquie; poi, sinuosamente come era entrato, il Maligno si allontana ...

Trascorsa la notte nelle rispettive celle, all'alba del giorno dopo, gli Apostoli sono appena riuniti concordi nella Sacra Assemblea, quando Giuda, non il traditore, rivolgendosi a tutti loro dice: «Questa notte ho sognato il Nostro Maestro e Salvatore che, dopo avermi chiamato Tommaso, mi ha detto di inviare l'apostolo Taddeo a Edessa per guarire Re Abgar dalla lebbra recando la Sua Immagine, dopodiché devo fare la relazione degli Atti di Taddeo». Tutti lo guardano increduli, allora Simone Pietro, capo della neonata Ecclesia, si rivolge a lui severamente: «Giuda! Fra noi non esiste alcun Apostolo di nome Taddeo; Gesù ha detto che i Troni a noi destinati nel Regno dei Cieli sono Dodici, quindi smetti di dire sciocchezze». Poi rivolgendosi a Matteo: «Se Giuda ha fatto questo sogno è colpa tua; continui a chiamarlo Taddeo finendo col confonderlo». Risponde allora Matteo: «Guarda che ti sbagli Pietro, è Giuda che, quando gli chiedono che nome ha, a volte dice di chiamarsi Tommaso, altre Taddeo». A questo punto gli Apostoli si innervosiscono e Tommaso più di tutti, finché Giovanni, il discepolo che Gesù amava, li zittisce con un gesto autorevole e rivolgendosi a Giuda: «Rifletti un attimo Giuda, il tuo è stato solo un assurdo sogno. Nella realtà non potrà mai accadere che tu ordini ad un Apostolo di andare a Edessa, se quell'Apostolo sei tu stesso col nome di Taddeo. Poi, ha ragione Pietro: qui fra noi non esiste alcun Taddeo e finiscila di farti passare per Tommaso, altrimenti lui si arrabbia davvero». Pur non palesandolo, intimamente Giovanni provava malessere per la eccesiva presenza di apostoli perché a lui risultava che il Maestro ne aveva chiamato a sé solo sette, fra i quali Natanaele, ma stranamente assente dalla passione di Cristo in poi.

Pietro, allora, si rivolge a Giuda con fare conciliante: «Guarda, contiamoci, e capirai: Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelòta, infine Giuda di Giacomo. Come vedi siamo undici, ma fuori dell'uscio c'è Mattia, il dodicesimo, pronto a sostituire Giuda il traditore che, sappiamo tutti, si è ucciso squarciandosi il ventre e spargendo fuori tutte le sue viscere». In verità, fra loro non c'era Taddeo ... ma a questo punto, Matteo interrompe Pietro: «Simone, guarda che ti sbagli. Ho visto Giuda impiccarsi con i miei occhi». Con fare collerico risponde Pietro: «Matteo, questo dimostra che sei strabico perché anch'io l'ho visto e sii certo che vedo bene». La questione minaccia di mettersi male e le Pie donne sono in apprensione, perciò Giovanni, il prediletto del Signore, poiché a lui non risultava che Giuda il traditore si fosse ucciso, né impiccandosi né sventrandosi, non dice nulla per evitare la rissa e, saggiamente, cambia argomento. Chiede a Giuda, non il traditore ma sempre mortificato, di riordinare le Sacre Reliquie, tanto per distrarlo. Ben lieto l'Apostolo si mette all'opera e, poco dopo, fra esse rinviene un piccolo strumento a lui sconosciuto che non rientrava fra quelli della Passione di Cristo. Perplesso, lo prende, poi torna nella Sacra Sinassi, mentre tutti sono assorti in preghiera insieme alle Pie donne con Maria la Madre di Gesù, e lo porge a Pietro. Simone, non lo Zelòta, lo guarda attentamente ed esclama: «Ma è un tiralatte!» ... Nella penombra della Ecclesia nessuno rileva il tenue rossore che colora le guance della Madonna.

Era il "Sacro Tiralatte", quello servito alla Vergine Maria quando gli evangelisti Luca e Matteo la obbligarono attraverso le loro "natività" (vedi studio IX) a rimanere dodici anni incinta prima di partorire Nostro Signore, il Vivificatore e Dio Salvatore. Nella lunga, snervante attesa, la Madre di Dio fu costretta ad alleggerire il carico di latte che, via via, andava accumulandosi nel Sacro Seno.
Il Beato San Luigi IX, Re di Francia, avrebbe ceduto il Trono pur di entrare in possesso del "Sacro Tiralatte", ma si è dovuto accontentare del solo "Sacro Latte" ... il che, riflettendoci bene, non è poca cosa ...


IV Secolo dopo Cristo

Eusebio di Cesarea scrive la "Historia Ecclesiastica", il documento che costituisce il fondamento della "Tradizione Cristiana"; e al Libro I 13,11 riferisce:

"Dopo l'ascensione di Gesù, Giuda, detto anche Tommaso, mandò ad Abgar l'apostolo Taddeo".

Questa irresponsabile testimonianza, lo abbiamo studiato, ha dato la stura a ingenue falsificazioni utili a comprovare una sequela di leggende correlate, l'una più idiota dell'altra, sorrette da una posticcia storiografia iconòdula sconosciuta nei primi sei secoli, sino a culminare, 1300 anni dopo Cristo, nella realizzazione della Sacra Sindone di Torino. Ma l'assenza di storia, né leggenda, sulla quale basarsi, ha indotto i sindonologi del Clero a identificare questo finto sudario funebre nel Mandyllion di Edessa commettendo un gravissimo errore irreversibile. La Chiesa di Roma - depositaria della secolare infallibilità dogmatica del Ministero divino, spettante a tutti gli Apostoli ed i loro successori Vescovi - per coerenza non potrà più modificare questa assurdità senza perdere altra credibilità verso i propri fedeli. 
Ogni prete e studioso della Bibbia è consapevole che identificare Giuda con Tommaso, sovrapponendoli, significa cancellare uno dei dodici Apostoli, smentendo, quindi, i vangeli e lo stesso Gesù. Le loro sottili menti, con opportunista calcolo, sanno che, se evidenziassero questa pia sciocchezza, le ripercussioni sulla credibilità della Chiesa e del suo Credo sarebbero talmente gravi da far crollare la già traballante impalcatura delle superstizioni da Essa montata nel corso dei secoli. Perciò gli astuti esegeti devono far sì che il popolo dei praticanti non scopra che l'autenticità della Sindone di Lirey, oggi conservata nella cattedrale di Torino, fu oggetto di una indagine della Chiesa la quale, sin dall'epoca delle sue prime ostensioni, dichiarò falsa la Sindone subito ... col "design" nuovo di fabbrica.


A Papa Clemente VII. Memoriale del Vescovo Pierre d'Arcis del 1389
(trad. G. Ciccone)

"Santo Padre, da poco nella diocesi di Troyes, il decano della chiesa collegiata di Lirey, coscientemente e malvagiamente, mosso dal fuoco dell’avarizia e della cupidigia, non per devozione ma per interesse, si è procurato per la sua chiesa un panno dipinto con un artificio, nel quale in modo ingegnoso era dipinta l’immagine doppia di un uomo, cioè sia dalla parte anteriore sia dalla parte posteriore, asserendo falsamente e facendo finta di credere che quello fosse proprio il sudario nel quale il nostro salvatore Gesù Cristo era stato avvolto nel sepolcro e sul quale era rimasta impressa l’effigie intera del Salvatore, con le ferite che aveva riportato. Questo fatto fu divulgato non solo per il regno di Francia, ma quasi per tutto il mondo, a tal punto che accorrevano lì folle da tutte le parti del mondo. Per imbrogliare le folle ed estorcer loro denaro in modo ingegnoso, facevano finta, mentendo, che lì avvenissero miracoli ad alcuni uomini, che erano stati assoldati a pagamento, i quali fingevano di essere guariti durante l’ostensione del Sudario, che tutti credevano il Sudario del Signore. Informato di ciò, il defunto Enrico di Poitier, di buona memoria, allora vescovo di Troyes, persuaso e spinto da molte persone sagge, si premurò di investigare con sollecitudine sulla verità di questo fatto, come era suo dovere per il potere di vescovo ordinario. Molti teologi e altre sagge persone asserivano che quello, che recava l’immagine del Salvatore, in realtà non poteva essere il Sudario del Signore, dato che di questa immagine impressa il santo vangelo non faceva nessuna menzione, mentre invece, se fosse stato vero, non è verisimile che il fatto sarebbe stato taciuto e omesso dai santi evangelisti e non è verisimile che esso sia stato nascosto e ignorato fino ad oggi. Infine, procedendo con diligenza nel prendere informazioni, finalmente scoprì la frode e in che modo quel panno era stato dipinto tramite un artificio, e fu comprovato, anche per mezzo dell’artigiano che l’aveva dipinto, che era opera di un uomo e non miracolosamente prodotto o pervenuto". 

Il Vescovo Enrico di Poitier, in ottemperanza al suo dovere, emise il verdetto dopo aver visto e toccato con mano un telo dipinto poco tempo prima "tramite un aritificio" per mezzo di un artigiano. Da un punto di vista storico religioso, inerente le testimonianze degli evangelisti e degli apostoli, è ripresa la stessa analisi, che esclude le "sacre impronte", fatta da sant'Agostino che noi abbiamo citato sopra nel presente studio ("Le origini di una tradizione simulata"). E sant'Agostino, che morì nel 430 d.C., si riferì solo alla lettera di Gesù ad Abgar perché non poteva sapere dell'immagine di Cristo, né delle Sue future reliquie ... inventate molto dopo la sua dipartita, dai futuri successori del "Vivificatore e Salvatore dell'umanità".


Pasqua 2013

In ottemperanza alla volontà, manifestata dal neo eletto Papa Bergoglio Francesco - finalizzata a ridestare laCrociata” sulle “Sacre Improntegià indetta a Torino nel 2010 da Papa Benedetto XVI per convincere il popolo ad adorare la Sacra Sindone - la Rai TV dello Stato italiano ha impiegato tutti i suoi mezzi per condizionare le masse. A partire da RaiUno, durante il periodo pasquale 2013, la televisione italiana di proprietà pubblica ha riempito i “sacri palinsesti” delle emittenti nazionali con numerosi servizi e documentari celebrativi la “passione di Gesù”.
 
Il 29 Marzo, terminata la lunga inchiesta “A sua immagine” iniziata alle ore 14,15 e incentrata su “Luomo della Sindone”, in attesa della successiva diretta TV sulla “Via Crucis”, subentra lo “Speciale Porta a Porta” delle 20,30 ove il famoso showman Bruno Vespa, notoriamente proclive al dettato della Santa Sede (e se ne vanta), esibisce l’ultima straordinaria scoperta scientificadestinata a cancellare definitivamente le tre radiodatazioni eseguite nel 1988 tramite il C14.
La denuncia della falsificazione della reliquia, inevitabilmente mal digerita dai credenti, continua a ricadere sulla Chiesa stessa, pertanto, il pio Vespa sente ilsacro doveredi smentire le sentenze degli spettrometri di massa (strumenti di Satana) e avvia la inchiesta-scoop facendo “scendere in campo” lo “Scienziato Illuminato” prof. Giulio Fanti: la nuova "punta di diamante scientifica" in grado di frantumare le datazioni del C14.
Il luminare, secondo quanto riportato in un suo libro, spiega le
ricerche scientifiche che dimostrano lerrore della datazione medievale della Sindone e la riportano allepoca di Cristoeseguite su … una vecchia campionatura del santo sudario.
Il mercato delle ipotesi divine, non essendo più in grado di offrire niente di meglio sulla reliquia di Gesù, ricorre alla “nuova rivelazione” che consiste ne “le Sacre Fibre Polverose”, pertanto, grazie all’analisi di un vecchio “cascame” sindonico, la trasmissione “Speciale” del pio Bruno Vespa bolla perentoriamente come erronei i tre famosi esami del C14 che hanno fatto risalire il lenzuolo funebre del Cristo al 14° secolo dopo … il Cristo; concludendo, finalmente, che la Sindone di Torino è quella del Salvatore risorto.

A questo punto, con una coincidenza mediatica impressionante, a dimostrazione di una "pia regia", non poteva mancare lo showman “scientifico” per eccellenza di Voyager: Roberto Giacobbo. Puntualmente, il 30 Marzo mattina su RaiDue, rieccotelo con la scontata inchiesta “Speciale Sindone” che si diparte da i soliti “pollini divini bimillenari”, il “sangue compatibile con quello di Gesù” ecc. ecc. “tutti segni che coincidono perfettamente con il resoconto evangelico … ma, proprio oggi, una nuova eccezionale ricerca scientifica, condotta su campioni della Sindone …”. Riallacciandosi allo “scoop” di Bruno Vespa, san Giacobbo tira fuori dal suo cilindro magico lo Scienziato Illuminato prof. Giulio Fanti che riferisce le solite conclusioni matematichecapaci di far risalire la Sindone allanno in cui morì Cristo.

Visto e sentito ciò, cosa possiamo eccepire noi, umili mortali, di fronte a tanta supponenza scientifica, solennemente sbandierata al punto di sconfessare gli "inattendibili spettrometri di massa", ormai spazzatura da smaltire? … Solo alcuni dettagli sfuggiti alla nuova eccezionale ricerca scientifica che i pii showman e i furbi Scienziati Illuminati nascondono volutamente agli ingenui fedeli:
gli assunti evangelici, contrastanti fra loro, sulla “Resurrezione”; le mancate testimonianze in merito alla Sindone da parte degli Apostoli, primi successori di Cristo; la assenza di documentazione specifica sul lenzuolo funebre di Gesù ignorato dai Padri della Chiesa; i verbali dei Concili cristiani iconoclasti e iconòduli che affrontarono la tematica delle reliquie, ignari di "Sindone" e relative "impronte"; la ultramillenaria storia ecclesiastica scritta dai cronisti di Dio che non menziona la sconosciuta Sindone; le quattro datazioni al C14 eseguite nellultimo decennio sulla “Tunica di Argenteuille” presso Parigi e sul Volto Sacro “Sagrado Rostro” di Oviedo, entrambi accertati come falsi reperti; le decine di Sindoni, tutt’oggi esistenti, conclamate come autentiche dal tardo Medioevo in su; centinaia di false reliquie attinenti la “Passione di Cristo”, tutte "documentate" provenienti da Gerusalemme e, dulcis in fundo, il verbale della indagine svolta dalla Chiesa stessa che bolla come falsa la Sindone appena realizzata.
Un insieme di analisi, svolte nel presente studio “Dai falsi miracoli alla Sindone”, tracciate sulla base di codici e documenti ecclesiastici presi come fonte di notizie e dati, scadenzati nel lungo periodo, indispensabili per la ricostruzione storica … ma volutamente celati alle popolane masse dagli esegeti cristiani.

Evidenze nascoste sistematicamente e coperte da un martellamento ideologico dottrinale attuato dai furbi showman i quali, con calcolo opportunista, sanno che se venissero svelate, come dovere deontologico impone, gli ignari telespettatori cambierebbero subito canale … allontanandosi in molti dalla fede.
Un coordinato omertoso silenzio sui molteplici dati riferiti da una millenaria documentazione storica ecclesiastica ufficiale … compresa l’ultima, pubblicata due giorni prima dello “Speciale Porta a Porta” di Bruno Vespa e tre giorni prima dello “Speciale Sindone” di Roberto Giacobbo:

Dichiarazione del Custode Pontificio della Sacra Sindone, Arcivescovo Cesare Nosiglia

“Con riferimento alla notizia della pubblicazione da parte dell’editore Rizzoli del volume “Il mistero della Sindone” di Giulio Fanti e Saverio Gaeta, nel quale verrebbero riportate ricerche effettuate su materiale che si suppone provenire dalla Sindone, il Custode Pontificio della Sacra Sindone conferma quanto contenuto in proposito nelle dichiarazioni ufficiali su “esperimenti e analisi riguardanti la Sacra Sindone” già rilasciate – in occasione di altri analoghi tentativi effettuati in passato su presunti campioni di materiale sindonico – dai suoi predecessori: dal Cardinal Giovanni Saldarini nel settembre 1995 e dal Cardinal Severino Poletto il 4 maggio 2009.
In particolare ribadisce che, non essendoci nessun grado di sicurezza sull’appartenenza dei materiali sui quali sarebbero stati eseguiti detti esperimenti al lenzuolo sindonico, la Proprietà e la Custodia dichiarano di non poter riconoscere alcun serio valore ai risultati di tali pretesi esperimenti.”

Mons. Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino
Custode Pontificio della Sacra Sindone
Torino, 27 Marzo 2013
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La presa di posizione dell’Arcivescovo, esposta con molti condizionali, sembrerebbe un atto dovuto, imposto dalla più elementare logica, avendo già fatto verificare da specialisti di fiducia le teorie, il metodo e le risultanze esposte nel libro “scoop” dello “Scienziato Illuminato” Giulio Fanti. L’alto prelato sa bene che la Chiesa non può riconoscere, fare proprie e propagandare simili analisi perché il mondo scientifico interverrebbe per sconfessarle finendo col gettare altro discredito sulla Sacra Sindone e la credibilità della Chiesa stessa.
Infatti sul sito “Vatican insider”, lo stesso 27 Marzo, interviene nel merito anche il CIS:

«Il Centro Internazionale di Sindonologia di Torino esprime le proprie riserve dinanzi a un approccio al tema che si baserebbe su elementi quali l’analisi di campioni di tessuto la cui appartenenza al telo sindonico risulta perlomeno dubbia e comunque non provabile, in quanto privi di qualsiasi tracciabilità».

Sono trascorsi più di 25 anni dal verdetto negativo sulla autenticità della Sindone di Torino emesso da tre fra i migliori laboratori mondiali e selezionati dagli stessi ecclesiastici tramite un loro protocollo che contemplava le modalità di esecuzione. Un lasso di tempo impiegato dagli Scienziati Illuminati di Cristo per elaborare le teorie più strambe all’unico scopo di invalidare le risposte strumentali che hanno dimostrato la falsificazione, ormai accertata dalla storia, di innumerevoli reliquie attribuite a Gesù. Venticinque anni di polemiche, sterili sotto il profilo scientifico ed ingannevoli nei confronti degli stessi fedeli, i quali, vittime inconsapevoli, vengono raggirati tramite “inchieste” televisive spacciate per “scientifiche” da chi, scaltramente, nasconde il fatto che nessun indizio evangelico e storico-ecclesiastico autorizza a credere sia stato prelevato e conservato il lenzuolo che avvolse il corpo di Gesù dopo la deposizione allinterno del sepolcro. Al contrario, la descrizione del vangelo di Giovanni prosegue e si addentra nel sepolcro dove fu tumulato il Salvatore e lì risulta che la salma fu avvolta esclusivamente con bende impregnate di trenta chili di unguento, utili a imbalsamare il cadavere in conformità ad un preciso e diffuso rituale orientale riservato ai Re o ai Gran Sacerdoti, dall’India, alla Persia, fino all’Egitto.

Oltre ai "misericordiosi showman" (indifferenti alle risultanze scientifiche, evangeliche, ed alle secolari testimonianze della "passione di Cristo" descritte dagli iniziali storici cristiani), al fine di smentire la radiodatazione al C14 e convalidare il metodo di calcolo escogitato dallo "Scienziato Illuninato" Giulio Fanti, si decide a "scendere in campo" addirittura l'Università di Padova. E' una "storia infinita" che intendiamo chiudere con la dovuta pietra tombale, smentendo l'operato del prof. Fanti e del suo Ateneo.

Contro Giulio Fanti, l'Università di Padova e la loro falsa indagine sulla Sindone di Torino

Giulio Fanti è professore associato di “Misure Meccaniche e Termiche” presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova dal 1996. Inoltre è membro di vari gruppi di studio sulla Sindone di Torino e, nel merito, è stato preposto comeCoordinatore” di un Progetto di Ricerca dell’Ateneo.

Premessa

Nel 1988, l'esame del carbonio 14 sulla sindone di Torino, eseguito contemporaneamente e indipendentemente dai laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo, ha datato il reperto entro un lasso di tempo compreso tra il 1260 e il 1390 dopo la ipotetica morte di Cristo, vale a dire il periodo corrispondente al rinvenimento della Sindone, come storicamente documentato.
Da evidenziare che il responso strumentale del C14 è basato su un metodo di datazione validato scientificamente essendo stato riconosciuto preciso e affidabile sin dall’avvio del suo impiego, quindi adottato dagli esperti di tutto il mondo e degno del Premio Nobel assegnato nel 1960 al chimico statunitense Willard Frank Libby. Ciononostante, in questo unico caso, la sua attendibilità è stata rifiutata dai sindonologi credenti con strane ed opinabili teorie antitetiche. Un fatto che ha dato la stura ad accese dispute fra i sostenitori della verifica al C14 e quelli contrari, fino a coinvolgere il mondo accademico osservante, di cui Giulio Fanti ne rappresenta la “punta di diamante”.

Per confutare la radio datazione al C14 gli intenditori animisti hanno elaborato alcune tesi alternative, puntualmente smentite dagli specialisti del gruppo contrapposto, ma l’insieme dei ragionamenti relazionati è divenuto talmente complicato al punto che le masse popolari non sono più in grado di seguirlo, finendo, inevitabilmente, col favorire i credenti.
In effetti, il torto degli “scienziati” di entrambi i partiti consiste nel fatto che le rispettive teorie non approfondiscono le informazioni enunciate direttamente dagli evangelisti: testimonianze talmente significative al punto da rendere inutili anche gli esami effettuati al C14: test, in ogni caso, decisamente esatti.

In verità, la Chiesa si è subito dimostrata contraria al metodo elaborato dal prof. Giulio Fanti, al punto di invalidare le campionature delle fibre da lui prelevate (esibite a fondamento dei suoi calcoli) tramite comunicati ufficiali nettamente critici, datati 27 Marzo 2013 e firmati da Mons. Cesare Nosiglia, il “Custode Pontificio della Sacra Sindone”, cui si aggiunge identica ricusazione espressa anche dal CIS “Centro Internazionale di Sindonologia di Torino”.
Oltre al caso in esame, riguardante direttamente Giulio Fanti e la negata abilità delle sue fibre sindoniche, tale comportamento dell’alto clero dimostra che gli esegeti del Vaticano conoscono perfettamente le narrazioni evangeliche e le contraddizioni espresse daitestimoni oculari diretti” inerenti alla passione di Cristo ed alla sua tumulazione. Cognizioni note anche al prof. Giulio Fanti, come stiamo per assodare.

Giulio Fanti mente consapevolmente, ed i preti lo sanno

Quando ci apprestiamo a leggere i vangeli dobbiamo fare alcune considerazioni preliminari:
1° - ammettiamo in ipotesi che le vicende narrate in tali documenti siano veritiere, salvo vagliare criticamente i fatti (sotto il profilo storiologico, archeologico, toponomastico giudaico) e la discordanza fra le testimonianze dei rispettivi protagonisti;
2° - dei quattro evangelisti, Luca e Marco non sono testimoni oculari;
3° - Luca rilascia due testimonianze divergenti: in Atti degli Apostoli (At 13,28-29) in cui risulta che la tumulazione fu praticata dagli Ebrei, mentre nel suo vangelo (23,50-53) fu eseguita da Giuseppe d'Arimatea;
4° - per quanto concerne la tumulazione di Cristo anche l’evangelista Matteo non ha assistito allevento;
5° - l’unico testimone diretto, che riferisce personalmente la crocifissione, la tumulazione e la deposizione nel sepolcro di Gesù, è Giovanni, il “discepolo prediletto”, presente a tali atti che attesterà poi nel suo vangelo.
Infatti Giovanni è il primo ad entrare nel sepolcro, poi seguito da Simone Pietro, e descrive la scena nei dettagli, fra i quali il più importante è la mancanza della sindone, laddove, invece, risultano soltantole bende per terra e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende ma piegato in un luogo a parte  (Gv 20, 6-7). Precisamente, le bende con cui avvolsero la salma del Cristo i sinedristi, Giuseppe d’Arimatea e Nicodémo “Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende (Gv 19,40);
6° - tutti gli evangelisti indicano “Maria di Màgdala” (detta anche “Maria Maddalena”) come prima testimone oculare della risurrezione di Gesù;
7° - è doveroso informare i lettori che questi ultimi personaggi citati, Giuseppe di Arimatea, Nicodemo e Maria di Màgdala, sono sconosciuti dallo storico Vescovo cristiano, Eusebio di Cesarea (sotto Costantino il Grande), autore della “Historia Ecclesiastica”: l’unica e basilare documentazione contenente l'impianto storiografico a fondamento della “tradizione cristiana”, attinente alle biografie di tutti i santi, ad iniziare dai protagonisti evangelici, Gesù, apostoli e loro successori, dalla “Natività” sino al IV secolo d.C.;
8° - poiché Eusebio di Cesarea morì nel 340 d.C., abbiamo la prova che le vigenti narrazioni evangeliche, inerenti la tumulazione di Cristo, furono ideate (dopo la fine di Eusebio) nel 381 d.C. dal Concilio di Costantinopoli, i cui originali più antichi li ritroviamo nel “Codex Sinaiticus Gr 01” e nel “Codex Vaticanus Gr 1209”. Diversamente,
tutte le edizioni in vetus latina, ove risultano i tre su citati personaggi estranei al Vescovo Eusebio, sono state trascritte in epoca successiva. Con ciò si dimostra che tutta la narrazione del Cristo risorto è un mito utile ad indottrinare il popolino, illudendolo col miraggio della vita eterna.
9° - a conferma di tale risultanza si notifica che, in data 26 Novembre 2003, il Ministero degli Esteri Israeliano (Israeli Foreign Ministry) ha emesso il seguente comunicato relativo al “sito archeologico n° 8” (di cui si riportano i dati essenziali tradotti in italiano) concernente Cafàrnao, la città di Gesù e della Sinagoga dei Giudei: “Le opinioni dei ricercatori differiscono per quanto riguarda la data di costruzione della sinagoga ma tutti concordano sul fatto che non è la CE (AD) sinagoga del 1° secolo dei tempi di Gesù.
E' una informazione basilare, comprovata dalla archeologia e trattata dettagliatamente nel precedente VIII studio, ma tuttora ignorata dai docenti di Storia del Cristianesimo, pur essendo acclarato che Gesù  (Lc 4,31) non avrebbe mai potuto fare alcun esorcismo nella Sinagoga di Cafàrnao, inesistente alla Sua epoca.

Accertati questi fatti, torniamo a Giulio Fanti.
Costui, pur di conseguire la notorietà, ha concepito un metodo strampalato basato su falsi presupposti per definire l’epoca in cui fu realizzata la Sindone di Torino e, con la presunzione di sconfessare le risultanze della radiodatazione al C14, ha adottato un criterio di calcolo con una deriva prefissata pur di giungere alla conclusione volutafino ad avvalersi della menzogna, per non aver letto prima i vangeli. Presentiamo le prove che, in seconda battuta, lo stesso Fanti ha scoperto, obbligandosi a modificare le testimonianze dirette degli evangelisti per non contraddire le sue precedenti analisi artefatte. Seguiamo i suoi atti, per smascherarne il movente.

Il professore Giulio Fanti è stato invitato dai presentatori dei principali canali televisivi italiani e, grazie all'avallo dell'Università di Padova, da loro è stato definito quale grande esperto sindonologo, giornalisti in realtà risoluti a demolire il responso del C14, ovviamente indotti dalla volontà del nuovo Papa Bergolio intesa a risvegliare l'interesse popolare in favore della "sacra reliquia", avvalendosi di programmi spacciati ipocritamente per “scoop scientifici”, come lo “Speciale Porta a Porta” di Bruno Vespa del 29 marzo 2013 e lo “Speciale Sindone” del 30 marzo 2013 su Voyager, di Roberto Giacobbo. Divulgazioni televisive, finalizzate all’indottrinamento religioso delle masse, alle quali l’arrivista Giulio Fanti ha sempre partecipato pur di soddisfare la sua ambizione e con l’intento di rifilare agli sprovveduti il pamphlet “Il mistero della Sindone”: libercolo utile ai credenti delusi dalla datazione al C14, uno strumento “colpevole” di aver sconfessato la adorata “Sacra Sindone” che avvolse il corpo di Gesù.
Giulio Fanti ha presenziato anche alla famosa trasmissione “La strada dei miracoli”, condotta da Safiria Leccese, durante la quale il mistico studioso ha manifestato le solite tesi, pertanto invitiamo i lettori a vedere nel web il filmato della puntata realizzata sulla Sindone di Torino, che ora commentiamo.

In data 21 Aprile 2015, senza informare i telespettatori della ricusazione - ufficializzata dalla Chiesa - del piccolo campione di fibra sindonica da lui esibito, “l’illuminato” Fanti spiega il suo operato destinato ai sempliciotti e dichiara: “con l’ausilio di un computer ho ricostruito il cadavere di Cristo sul quale ho potuto contare più di cinquecento colpi di flagello inferti sullintero corpo in modo da lacerare la pelle.
Come “prove”, Giulio Fanti mostra la riproduzione di un antico flagello romano ed un fantoccio in scala ridotta per non rivelare che l’uomo della sindone misura circa due metri: come i più alti campioni di basket odierni. Quindi il “grande esperto sindonologo”, dopo aver avvolto il manichino in un telo dimensionato, dichiara testualmente: “Appena entrato nel sepolcro, l’evangelista Giovanni vide i lini afflosciati e il sudario messo sul capo, con la sindone che avvolgeva il corpo, mentre su di essa le tracce di sangue non presentano la minima sbavatura e conclude “in base ad una ricerca condotta dal prof. Ianni (?) dell’Università di Parma questi ha dimostrato che i risultati delle analisi al C14 del 1988 non sono scientificamente attendibili.
Verifichiamo ora fin dove arriva l’irrazionalità "scientifica” di Giulio Fanti, al punto che anche un ragazzetto di quinta elementare lo capirebbe. Questi i fatti.

Se fosse vero che le impronte di una precisa immagine furono lasciate dal sangue, copiosamente intriso nel lenzuolo in cui fu avvolto il corpo martoriato di Cristo (appena morto fu deposto dalla croce da Giuseppe di Arimatea che lo trasportò dal Golgota al sepolcro), siffatte tracce sarebbero una assurdità inaccettabile da chiunque abbia un minimo di senno. Infatti, pur ipotizzando un percorso breve, lavviluppamento nel telo di lino e la traslazione avrebbero talmente smosso la salma insanguinata sino ad imbrattare alla rinfusa il tessuto, col risultato di rendere impossibile ottenere limmagine delluomo in esso contenuto.

L’altro particolare, a dimostrazione dell’ipocrisia dello “scienziato contemplativo” Giulio Fanti, è la sua cognizione che lunico testimone diretto - ad aver attestato l’evento della deposizione dalla croce e il trasloco al sepolcro del cadavere di Cristo appena morto - fu l’evangelista Giovanni.
Fanti sa pure che, nel sepolcro, Giovanni non vide alcuna sindone, ma soltanto bende per terra* ed un piccolo sudario di dimensioni ridotte (vedi il Sagrado Rostro di 85 x 53 cm), in precedenza posto sul capo di Gesù.
Tale evidenza obbliga Giulio Fanti a non pronunciare mai il terminebende”, consapevole che in esse, una volta sfasciate, non si sarebbe potuta delineare alcuna forma umana insanguinata, quindi elude la contraddizione riferendo solo lini”, dopodoché l’ipocrita luminare fa rientrare nel sepolcro la sindone, lenzuolo che Giovanni apostolo non ha mai visto. Infatti a Giovanni (Gv 19,40 e 20,6-7) risultano solo le “bende”, anche quando riferisce la risurrezione di Lazzaro (Gv 11,43).
* Nota. Nel 2008 la CEI (Conferenza Episcopale Italiana), sotto il papato di Benedetto XVI, ha modificato la Bibbia ufficiale precedente (CEI 1974) nel versetto del vangelo di Giovanni (Gv 19,40) che recitava così:"Essi (Giuseppe d'Arimatéa e Nicodémo) presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei". Il versetto è stato cambiato così:"Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura"

Prima di avventurarsi in una vanagloriosa ricerca per ingannare gli sprovveduti, Giulio Fanti avrebbe fatto bene a studiare la Storia del Cristianesimo, materia accademica indispensabile per convalidare la “tradizione cristiana” e, segnatamente, i secolari Concili indetti dalla Chiesa durante le lotte iconoclaste, fratricide tra Cristiani contrapposti, nel corso dell’8° e 9° secolo. Sinodi durante i quali nessun relatore, sia pro che contro icone e reliquie (avendo cognizione dei contrasti evangelici) ha mai riferito alcunché riguardo il lenzuolo funebre di Cristo. Soprattutto, la conoscenza storica dei Concili, con i relativi verbali scritti, avrebbe evitato a Fanti di screditare la materia didattica “Misure Meccaniche e Termichee la stessa Università di Padova, le cui autorità, ad iniziare dal Rettore dell'Ateneo, Rosario Rizzuto sono responsabili di aver ammesso acriticamente i suoi calcoli, artatamente applicati alla sindone di Torino con un metodo dimostratosi insensato, al punto di nominarlo “Coordinatore di ricerca” in merito al suo personale e avventato computo: un ingiustificabileconflitto di interessi scientifico”, consumato a scapito di una autentica analisi rigorosamente accertata.


                                       a sinistra immagine frontale

Quanto stiamo per riferire è frutto di studi effettuati dagli specialisti statunitensi, Gregory S. Paul e Joe Nickell; sebbene delle loro indagini riportiamo solo i contenuti più semplici per le grandi masse, quindi comprovabili immediatamente e personalmente.                                 

L'analisi critica è basata su evidenze inconfutabili (vedi immagine frontale della sindone), come la postura delle braccia del presunto cadavere disegnate erroneamente ad angolo per coprire pudicamente il pene ed i testicoli di Cristo con il risultato di creare avambracci estremamente lunghi, impossibili per ogni uomo o donna. Infatti qualsiasi persona adulta provi oggi a stendersi sul pavimento (duro come la pietra del Sepolcro) con le spalle, le braccia e la testa aderenti al pavimento, alla pari di ogni defunto, mantenendo gli arti poggiati a terra fino al gomito (come tutti i morti), provi a piegare gli avambracci verso il corpo, ma, pur forzandosi non riuscurà mai a coprire i genitali, come nella Sindone. Braccia, peraltro dissimili, poichè il sinistro ha la mano poggiata a metà coscia destra col risultato che l'avambraccio sinistro è molto più lungo del destro. Tale conformazione porta a raffigurare un "povero Cristo" esageratamente alto che camminando, quando era vivo, faceva penzolare il braccio sinistro molto al di sotto del rispettivo ginocchio, ed il braccio destro poco oltre il ginocchio destro. Assurdo. In definitiva la sindone di Torino non ha mai contenuto un uomo vero bensì una raffigurazione deforme anche per altre parti del corpo, come stiamo per evidenziare.
L’artigiano ha realizzato il disegno dopo aver creato un calco
di argilla (poi essiccato) in bassorilievo, quindi lo ha avvolto in un telo che ha poi tamponato leggermente con un pigmento per evidenziarne le parti più superficiali, sia sopra che sotto; ma col trascrorrere dei secoli si è volatilizzato lasciando solo un’impronta residua, ovviamente in negativo, come quando la sindone venne fotografata la prima volta. Purtuttavia lesecutore del falso non era esperto di anatomia umana commettendo diversi gravi errori anche in relazione alla eccessiva altezza del falso cadavere; dei quali, ad esempio, la dimensione del cranio, contenuto dalle sopracciglia alla sommità del capo (senza capelli), risulta anormalmente basso e stretto, che può contenere un cervello estremamente piccolo, simile al genere "homo" risalente a circa 2 milioni di anni facon capacità intellettive non superiori ai bambini odierni di sei anni. Pertanto le sbandierate teorie di Giulio Fanti, finalizzate a comprovare l'autenticità della Sindone, si dimostrano solo vaniloqui, errati come i suoi calcoli, immeritevolmente convalidati dalla stessa Università di Padova sulla quale, fatalmente, ricadrà il discredito del mondo scientifico internazionale.

Responsabilità simile investe anche Davide Banzato, il prete che ha presenziato a tutte le puntate di “La strada dei miracoli”, già ordinato sacerdote nel 2006 e laureato in teologia.
Quando Fanti ha riferito la testimonianza dell’apostolo Giovanni affermandonel sepolcro erano presenti i lini e la sindone, pur conoscendo alla perfezione il contenuto originale del vangelo di Giovanni che esclude la sindone, il prete Davide Banzato ha annuito con il capo tacendo la verità, indifferente al fatto che un pinco pallino qualsiasi modifichi a suo tornaconto le narrazioni evangeliche. Pronunciamenti sacri i quali, stando al “Concilio di Trento” del 1545 ed al “Concilio Vaticano II” del 1962, furono “dettati da Dio” ed “ispirati da Dio”. Un prete teologo incurante del peccato mortale avverso l’ottavo comandamento voluto dal Creatore … sino a rendersi complice dell’evidente falsa testimonianza evangelica, resa dallo pseudo scienziato Giulio Fanti, al punto di ingannare i presenti ed i telespettatori credenti, carpendo così la loro buona fede.
Dal modus operandi del teologo Davide Banzato, constatiamo che tutti i preti sono consapevoli delle contraddizioni evangeliche, cioé spropositi impossibili essere stati “dettati da Dio”, dunque inventati da uomini nel lontano passato … pertanto manipolabili da chiunque in base alla convenienza del momento.

Emilio Salsi

Quanto appena evidenziato, riguardo le aberrazioni anatomiche della Sindone, ha scioccato gli amanti dell'aldilà i quali (cosapevoli delle ricadute negative sulla religione cristiana) appena noi abbiamo pubblicato la precisa documentazione, hanno subito tentato di porvi riparo e, dopo tre anni, nel 2022 presentano le loro contro risultanze che sottoponiamo subito ai nostri lettori, ovviamente previa confutazione scientifica.

Programma TV “Focus” serie “Freedom” 7 febbraio 2022 – Conduttore Roberto Giacobbo
Titolo: Vigonovo il corporicavato” ? (l’interrogativo è nostro) dalla Sindone.
Dopo il titolo si chiarisce: “Roberto Giacobbo ci porta alla scoperta (?) della Sindone”. Ma tutti sappiamo che la Sindone non è sta "scoperta" dallo showman.
Ecco il link da copiare:

https://mediasetinfinity.mediaset.it/video/freedomoltreilconfine/vigonovo-il-corpo-ricavato-dalla-sindone_F311032501007C05

Così inizia Giacobbo “Questa avventura la scopriremo insieme con tre anni di lavoro e un pizzico di follia”.
Come premessa, Roberto Giacobbo si sente in obbligo di smontare la datazione al carbonio 14 eseguito nel 1988, 34 anni fa, da tre fra i più importanti laboratori di ricerca mondiali, già prescelti dalla stessa Chiesa Cattolica. Nel merito spiega che la radiodatazione del campione di Sindone prelevato potrebbe essere stata falsata per il calore subito a seguito di un incendio avvento nel passato, come dal contatto delle mani di addetti alla manutenzione del reperto.
Giacobbo è convinto che il mondo sia pieno di sprovveduti ed evita opportunamente di informare che lo stesso esame potrebbe essere ripetuto prelevando un altro piccolo ritaglio nel telo sindonico, lontano dalle bruciature, per verificare la correttezza degli esami effettuati nel 1988, considerato che gli strumenti moderni sono ancora più precisi di quelli risalenti a tanti anni fa.
Ma lo showman, come la stessa Chiesa, sa bene che questa eventualità sarebbe perdente, dal momento che la scelta del campione originale ha già obbligato gli esperti iniziali di prelevare il piccolo ritaglio nel posto più idoneo, quindi così conclama “lasciamo stare il radiocarbonio, la datazione, facciamo come se incominciasse tutto oggi e lo facciamo attraverso un lavoro durato tre anni di un uomo, Sergio Rodella, un uomo esperto nella scultura di corpi. Sapendo che la morfologia del corpo rappresentato dalla Sindone è sbagliato poiché il braccio destro è più lungo, una gamba è più lunga dell’altra, la morfologia del volto ha delle misure non corrette, lo scultore ha rifatto il corpo della Sindone in maniera più precisa nelle proporzioni ...”. In verità gli errori non sono esattamente come quelli descritti da Giacobbo, ma tant'è: riconosce che la sindone è biologicamente scorretta ... quindi decide di "aggiustarla".

In sostanza, lo scultore Sergio Rodella, di provata fede, ma effettivamente un bravo artista, specializzato in arte sacra, fa propria la necessità di correggere le aberrazioni sindoniche e nel proprio laboratorio in Vigonovo (Venezia) realizza la sua opera iniziata tre anni addietro ... guarda caso, dopo che noi, per primi, avevamo appena pubblicato gli svarioni presi dal falsario che realizzò il calco in  bassorilievo di quello che, nel suo intento, avrebbe dovuto essere il corpo di Cristo deposto nel Sepolcro.
Giacobbo a questo punto inizia a parlare di “scientificità”, di TAC, di “sezioni del corpo di Cristo”, “ricerca della profondità e dello spessore”, “stessa tecnica dell’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci”, allo scopo di sbalordire la plebaglia inconsapevole, fino a concludere che per correggere gli errori anatomici della sindone, “Rodella ha fatto una cosa molto semplice: partendo dal fil di ferro”... Sic!
Quindi ricorda i dettagli dello strazio patito dall’uomo della Sindone per cui, dice, risultano sul suo corpo circa
"seicento lacerazioni della pelle causate da un flagello" (strumento di tortura in uso nall’antica Roma - n.d.a.); ma noi sappiamo bene che anche un bimbetto di quinta elementare capirebbe che sarebbe impossibile trasportare sino al sepolcro un uomo torturato e coperto di sangue avviluppato in un lenzuolo senza che la stoffa si imbratti al punto che non potrà più evidenziarsi alcun disegno che mostri le reali fattezze di un corpo umano.

Poi, dopo Giacobbo prende a raccontare direttamente Sergio Rodella chiarendo che lincarico di eseguire la scultura del corpo delluomo sindonico gli è stato conferito dallUniversità di Padova (abbiamo già parlato sopra riguardo l’operato dell’altro grande falsario, Giulio Fanti, appartenente allo stesso Ateneo padovano il cui rettore all'epoca dei fatti era Rosario Rizzuto) ... in sostanza qualcuno doveva farsi carico dell’onere dovuto allartista Sergio Rodella per la sua scultura “epurata degli errori anatomici” quindi provvede a ciò l’istituzione atenea fiscalmente pagata da tutto il popolo italiano per realizzare un falso sindonico.
Sergio Rodella sente il dovere iniziale di riconoscere la realtà riferendo che, dopo averli preventivamente contattati, secondo gli studiosi americani* sarebbe stato impossibile ricavare dalla Sindone i dati per eseguire una scultura corretta di un uomo ... però questa immagine che mi aveva perseguito per mesi mi ha suggerito che qualcosa sarebbe successo, anche perché era una delle cose più importanti della mia vita, un rapporto fra me e il telo, quindi tutto doveva essere giustificato geometricamente, considerato che per me questuomo è Cristo. Bravo Rodella! Hai appena dichiarato pubblicamente il movente ideologico confessionale che ti ha indotto ad eseguire un falso per trasformare il "mostro sindonico" in un uomo credibilmente corretto.  

*
I nominativi dei quali abbiamo citato poco sopra.

Cari lettori, proprio così, una spontanea confessione del movente che ha spinto un artista indottrinato al punto di prestarsi a falsificare la Sindone originale a causa del lavaggio del cervello subito nel corso della sua esistenza: un credente che non accetta di essere smentito dalla realtà ... quindi la realtà è sbagliata e va corretta.

Nel merito Roberto Giacobbo specifica che l’artista ha dovuto addirittura ricostruire tre volte la statua fino a che il corpo rappresentato non coincidesse con una realtà anatomica corretta.
Anche questa dichiarazione, in effetti, si dimostra la confessione di un complice che grazie ai media ha il fine e il potere di condizionare il raziocinio del volgo in favore di una fede basata sulle menzogne ... pur di conseguire il successo personale.
Finalmente lo showman si decide a scoprire la terza statua in gesso eseguita da Sergio Rodella, questa:


 
Come possiamo constatare la statua risulta piegata e ciò viene giustificato da Giacobbo con il
rigor mortis, ma, se l’irrigidimento dei muscoli dopo la morte fosse un fatto naturale scontato (quasi tutte le persone del mondo hanno visto i propri cari morti prima di essere chiusi nelle apposite casse), diversamente da Giacobbo quello che tutti noi abbiamo accertato in quelle tragiche circostanze è il fatto che mai nessuno ha riscontrato un morto piegato nel rigor mortis”  ... ci sono riusciti solo Sergio Rodella con la complicità dei media e della Università di Padova, il tutto pagato con i tributi fiscali versati dal popolo italiano. Ma a quale scopo hanno realizzato una statua piegata?
Il motivo è semplice: con il corpo piegato ognuno di noi può allungare le mani e toccarsi i polpacci delle gambe ... fatto impossibile per luomo morto della vera Sindone, il quale, diversamentte dall'ultima posizione realizzata da Sergio Rodella e complici falsari, secondo l'attuale telo sindonico - adorato dai fedeli dolciotti fino ad oggi - l'uomo della sindone risulta sdraiato e disteso con i gomiti sulla pietra nel Sepolcro, non chinato.

I credenti condizionati nel mito di Cristo non potranno mai accettare questa risultanza sindonica: un Cristo fatto come un uomo (alto quasi 2 metri deposto in un lenzuolo lungo 2,40 m. piegato in due) che, mentre cammina, la sua mano sinistra arriva quasi al polpaccio della gamba sinistra, mentre la mano destra arriva appena al di sotto del ginocchio destro ed una testa talmente piccola da contenere un cervello pari a quello di un ominide di 2 milioni di anni fa con un quoziente di intelligenza simile a quello di un bambino odierno di 6 anni: questo è luomo della Sindone.
Sebbene, in ultima analisi, Sergio Rodella e l'Università di Padova, diretta da Rosario Rizzuto e il loro complice mediatico
Roberto Giacobbo, con il fallito tentativo di correggerla, hanno dimostrato che la Sindone è solo un grossolano falso; una congiura di subdoli personaggi che si erano spinti troppo oltre per far apparire veritiero il disegno sindonico ... finendo col naufragare miseramente.   
Ma la Chiesa, con il suo silenzio dimostra di esserne consapevole e contrariata perché ha capito che Roberto Giacobbo, Giulio Fanti e il Rettore dell'Università di Padova ne hanno fatto una questione personale (giungendo addirittura a falsificare il vangelo di Giovanni apostolo, come su accertato da noi) al punto che Papa Bergoglio, pur avendo rilanciato il mito sindonico appena eletto, successivamente, in sordina, evitando ogni clamore,
ha cessato di fare le ostensioni ufficiali della sindone dal primo periodo pasquale successivo alla nostra iniziale pubblicazione. Ecco spiegato il motivo per cui l’altro famoso showman sgranarosari, Bruno Vespa, in tale ricorrenza ha cessato di farci l'abituale lavaggio del cervello sulla sindone, ovviamente ormai non più "sacra". Non solo, tutti gli "scienziati illuminati" che hanno fatto carte false e sbraitato pur di preservare la credibilità del telo sindonico, si sono azzittiti; ne consegue che Roberto Giacobbo, Sergio Rodella, Giulio Fanti e lo stesso Rettore dell'Università di Padova sono rimasti gli ultimi credenti sindonici, isolati, e nessuno li chiamerà più per sentire la loro "consulenza" intesa a smentire le risultanze del C14 ... non ci sarà più alcuna "Strada dei Miracoli" che li inviterà ad esporre le loro disamine, ormai considerate elucubrazioni senza senno.
Orbene noi, unitamente ai nostri lettori, questo fallimento ci ha veramente divertiti, pertanto ringraziamo Rosario Rizzuto (Rettore dell'Università di Padova), Roberto Giacobbo, loro complice che ha usato la piattaforma web di "Freedom", Gliulio Fanti e Sergio Rodella, per averci allestito la buffa sceneggiata sul "Gesù sindonico", ma facendo ricadere l'onere spettante allo scultore Sergio Rodella il quale è stato incaricato dall'Università di Padova e dalla stessa pagato con i soldi degli italiani ... sebbene, questo specifico aspetto non ci ha affatto rallegrati, al contrario, non possiamo tollerarlo.

Emilio Salsi

Ancora, prima di concludere, da quanto appena analizzato a proposito delle contraddittorie attestazioni evangeliche, è inevitabile rimarcare l’inesistenza dellevangelistaMarco”.
Tale preteso santo, nella canonica I^ lettera di Pietro apostolo”, leggiamo «Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia (Roma pagana); e anche Marco, mio figlio».
Perciò apprendiamo che san Pietro era sposato con tanto di suocera, come affermato dallo stesso Marco evangelista (Mc 1,30), il quale risulta figlio di Pietro apostolo e, in quanto tale, depositario dei suoi insegnamenti riferiti nellapposito vangelo.
Fatto, in realtà, facilmente sconfessabile grazie alle divergenti deposizioni fra il vangelo di Marco e quello di Giovanni. Esattamente, in quest’ultimo si testimonia la presenza di san Pietro nel sepolcro (Gv 20,6) laddove, inevitabilmente, Pietro avrebbe dovuto vedere gli stessi particolari riferiti dal discepolo prediletto di Gesù e, specificamente, soltanto le bende. Una certificazione dellapostolo Giovanni che contraddice quella dellevangelista Marco, da cui risulta che “Giuseppe d’Arimatea, comprato un lenzuolo, calò giù dalla croce Gesù e lo depose in un sepolcro scavato nella roccia” (Mc 15,46).
Vale a dire: a Marco non risultano le bendeviste da Simone Pietro (suo padre) e Giovanni.

Dopo tali gravi discordanze, ben risapute dai teologima celate ai fedeli, come è possibile credere nella “risurrezione” di Cristo? E, se è impossibile che Cristo sia risorto, su quale attendibilità si basa l’illusione della “vita eterna” predicata dai preti? E quale movente, da sempre, li ha indotti a perseverare nel conseguire l’indottrinamento delle masse?
La risposta a questi interrogativi è una sola e categorica: la dottrina monoteista assoluta del “Salvatore Universale” venne creata e diffusa, in un Impero Romano teocratico agonizzante, allo scopo di sostentare in splendida agiatezza i "venerabili ministri di Dio" riuniti nella più colossale consorteria parassitaria mai realizzata dall'uomo. Una "santa" macrostruttura, ordinata gerarchicamente, costituita da preti, frati e suore, ideata da individui calcolatori che non producevano (e non producono) alcun reddito, ma intesa a sfruttare uomini indigenti in cambio della illusoria promessa di farli risorgere nella paradisiaca eternità.


Conclusione 

Abbiamo ormai definitivamente accertato che, ad iniziare dagli Apostoli ed i loro successori, tutta la documentazione dei primi Padri della Chiesa, come quella dei secoli seguenti, non ha mai riferito l’esistenza della reliquia sindonica. Furono indetti e verbalizzati Concili pro e contro le reliquie, convocati in conseguenza delle lotte sanguinose tra opposte fazioni di credenti, senza mai accennare alla esistenza della Sindone extralong. Addirittura, se fosse veramente esistito, tale reperto di Gesù sarebbe stato un “segno” tangibile, talmente carico di significato religioso, al punto di essere adorato da tutti i Cristiani … rendendo inutili i Concili indetti sulle finte reliquie ed evitando di conseguenza i massacri reciproci fra cristiani iconoduli e contrari.
Ad iniziare dall’XI secolo vennero falsificati dagli amanuensi i codici originali delle opere degli storici bizantini Evagrio Scolastico e Procopio di Cesarea, come abbiamo dimostrato sopra nel presente studio, per far apparire documentata storicamente una miracolosa immagine del volto di Cristo rilasciata da Lui stesso quando era vivo. Pertanto, ripetiamo, mai, in nessun Concilio dei numerosi che la Chiesa convocò appositamente sulle reliquie nei primi mille anni, si fa cenno della esistenza del lenzuolo funebre che avvolse il Redentore dell’umanità. Nessun rapporto venne mai ufficializzato e stilato dai numerosissimi cronisti di Dio concernente quella che la Chiesa considerava (sino alla pubblicazione del presente studio) la reliquia più importante di tutta la cristianità.


La prima indagine sulla Sindone, e non poteva essere altrimenti, venne eseguita proprio dalla Chiesa poco dopo la sua prima “apparizione”, quindi appena realizzata, e si concluse col verdetto, stilato dal Vescovo Pierre di Arcis nel 1389 d.C., che si trattava di un “falso dipinto tramite un artificio e comprovato per mezzo dell’artigiano che l’aveva dipinto”. Questa precisa datazione storica, ricavata dal documento che abbiamo pubblicato sopra per intero, conferma la affidabilità della datazione al C14; al contempo aiuta a capire (chi vuole intendere) che “l’artificio”, adottato dall’artigiano che se ne avvalse per dipingere il telo, consisteva in composti organici che, a sua insaputa, col trascorrere dei secoli, mano a mano si sono volatilizzati lasciando, ad oggi, solo una “sacra impronta residua” che impedisce al chimico di individuare la sostanza originale ... senza per questo chiamare in causa alcun “mistero” indispensabile a sbalordire i sempliciotti.
 
Dopo aver esaminato minuziosamente tutte le risultanze testuali utili a questa ricerca - ad iniziare dalla documentazione neotestamentaria e patristica per proseguire analizzando le secolari vicende ecclesiastiche - gli accertamenti fatti impongono al razionalismo scientifico il dovere di riconoscere al metodo di datazione radiometrica (meritevole del premio Nobel), la capacità di fissare cronologicamente la storia grazie ai reperti antichi: servizio che lo strumento ha fatto e sta facendo tutt’oggi.
Lo sanno benissimo anche gli Scienziati Illuminati filoclericali i quali, dopo aver polemizzato con sceneggiate coordinate ad hoc per gettare pesanti ombre e discredito sui metodi e sulle risultanze dei laboratori incaricati dalla Chiesa stessa, si guardano bene dal chiedere di sottoporre nuovamente ad un altro esame al C14 la Sindone di Torino: basterebbe un piccolissimo ritaglio di stoffa di pochi cm quadrati prelevato da un lenzuolo lungo quasi 4 metri e mezzo. Una ripetizione dell’esame proprio come preteso dai fedeli delusi ed eseguito con “la Tunica di Argenteuille” in Parigi e ripetuto anche con il “Sagrado Rostro” di Oviedo ... ma, visto la conferma strumentale di entrambi i reperti, alle sottili menti grigie conveniva continuare a parlare, parlare, parlare per illudere e indottrinare gli ingenui con strambe, “pie scoperte”.
Come avvenuto con il “Sagrado Rostro” la cui datazione al C14, voluta dalla Chiesa, dopo aver sconfessato le testarde convinzioni degli Scienziati Illuminati, li ha indotti ad affermare che "questa datazione potrebbe essere frutto di contaminazione di funghi". Ma questa imponente organizzazione mediatica, dalla Pasqua successiva alla pubblicazione del presente studio ,,, flop! E' saltata: Papa Bergoglio ha cessato di fare l'ostensione della sindone (ormai non più sacra) né la Chiesa eseguirà più tale rituale.

Il potente Clero, con il consenso dei Governi confessionali, non indirà più Congressi e Convegni presso compiacenti Atenei al fine di conservare, alimentare e valorizzare "culturalmente" le peggiori superstizioni sindoniche, appositamente create nell'oscuro Medio Evo. L'antica, "Santa Scaramanzia", rivestita "scientificamente" ad hoc, pronta e confezionata per essere propinata dai media alle ignare devote masse, per la Maggior Gloria di Cristo Dio, Nostro Salvatore nell'Alto dei Cieli e il concreto benessere dei Suoi Ministri in Terra...oggi l'abbiamo definitivamente azzoppata del culto sindonico.

Sacrosanto Giubileo Universale, Anno Domini 3000

Dal "Nuovo Sinassario Liturgico dei Santi".
Martirologio:

"Laudato sii mì Signore per la diuota osservanza alle Ampulle de lo sangue loro che va riconosciuta sempre infinita alli Deuoti Fratris, santi martiri, Roberto Giacobbo, Bruno Vespa et Giulio Fanti iconòduli di gran merito, la cui Santa Causa nelli mala tempora fu arricchita da prorumpente Miraculoso Populare Plauso alli meriti loro, sino allo martyrio, per il commun benefizio di Santa Madre Chiesa".


Emilio Salsi


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