'Gesù' e 'Cristo': due attributi divini del Nazireo, figlio di Dio


"Gli rispose la samaritana: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te»" (Gv 4,25-26).
“L’angelo Gabriele fu mandato da Dio a una vergine che si chiamava Maria. Entrato da lei disse: «Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù (Lc 1,26-31).
"Maria partorirà un figlio e tu
(san Giuseppe) lo chiamerai Gesù, poiché Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,21).
 
“Gesù”: tale nome - giunto sino a noi attraverso il latino “Iesus”, traslitterato dal greco Ιησούς “Iesoùs”, a sua volta dall’aramaico Yeshùa (la lingua in uso nel I secolo, l'epoca di Giuseppe Flavio), forma contratta dell’ebraico “Yehoshùa” - è il nome biblico di "Giosuè", l’eroe dell’Antico Testamento e significa 
Colui che salva o Salvatore. "Dio salva" è errato: gli Ebrei non pronunciavano mai "Dio".
“Gesù” e “Giosuè” sono due nomi resi dissimili, volutamente, nelle traduzioni da una lingua all’altra ma, inizialmente, il vocabolo era uguale.
I manoscritti originali in greco di “Antichità Giudaiche” e “La Guerra Giudaica” dello storico ebreo Giuseppe Flavio, ricopiati dagli amanuensi cristiani secoli dopo, chiamano “Gesù” anche il condottiero biblico che conquistò la terra di Canaan. Ciò vuol dire che, in prima stesura, a partire dall’Antico Testamento, in tutte le opere di Giuseppe Flavio era presente un solo identico nome: Giosuè.

“Mosè, ormai vecchio, designò Gesù (Giosué) a succedergli sia nella funzione profetica sia come comandante in capo per qualsiasi occorrenza: e a lui, per ordine di Dio, affidò la direzione di tutti gli affari” (Ant. IV 165).

“Yehoshùa” o “Yeshùa” (contratto), come per noi “Salvatore”, aveva un doppio significato: semplice nome proprio di persona, oppure in qualità di "titolo divino", a seconda dell'argomento contestuale in cui veniva usato.
Il titolo, attribuito dal popolo d'Israele a chi si rese protagonista di gesta “per ordine di Dio”, fu “Colui che salva”, “Yehoshùa”, proprio come avvenne con “Giosuè”. Pertanto le molte persone di nome “Gesù” (Yeshùa), che incontriamo nelle opere dello scrittore ebreo Giuseppe, si riferiscono tutte a “Giosuè”, un appellativo modificato appositamente dagli scribi ecclesiastici per distinguere i due protagonisti appartenenti a mitologie diverse.
Gli Ebrei che adottavano questo nome lo facevano per onorare la memoria del conquistatore della Terra Promessa a loro da Yahweh (Dio) e questo spiega perché ci imbattiamo in tanti “Gesù” nelle opere di Giuseppe Flavio.
I Giudei, quando citavano "Gesù", si riferivano al successore di Mosé, che “salvò” i loro Padri dando ad essi una Patria, non alla nuova divinità Gesù Messia, in greco "Gesù Cristo". Sino a tutto il primo secolo d.C., per la maggioranza degli Ebrei, questi due titoli famosi, "Salvatore" e "Messia", vennero idealizzati in un altro, agognato, personaggio divino che, anch'esso prescelto da Dio, e per Sua volontà, avrebbe rifondato e consegnato al popolo d'Israele il Nuovo Regno dopo aver fatto strage dei "kittim" invasori: un "Dominatore del Mondo".

“Quello che maggiormente li incitò (i Giudei) nella sovversione (contro Roma) fu un’ambigua profezia, ritrovata nelle Sacre Scritture, secondo cui, in quel tempo, uno proveniente dal loro paese sarebbe divenuto il Dominatore del Mondo …”  (Testimonianza di Giuseppe Flavio in "Bellum VI 310-315"). 

Messia Salvatore” “Meshiah Yeshùa” in aramaico, o “Christòs Iesoùs” in greco e “Iesus Christus” in latino, erano titoli divini per i redattori "evangelisti" cristiani, i quali, a loro volta, si celarono dietro pseudonimi. 

La dottrina "salvatrice dell'umanità" non poteva far risultare che il vero nome di "Gesù Cristo" era Giovanni perché i Padri fondatori dell'ultimo cristianesimo gesuita, riformato da quello ebraico, sapevano che si trattava di uno zelota, figlio primogenito del fondatore del Movimento di Liberazione Nazionale: Giuda il galileo.
Suo figlio, Giovanni, a capo degli Zeloti, il 35 d.C. riuscì a prendere il potere in Gerusalemme mentre Roma era impegnata nella guerra contro i Parti e la Giudea afflitta da una gravissima carestia. Come discendente di sangue reale asmoneo venne proclamato "Re dei Giudei" e "Messia, Salvatore della Patria".
N
el 36 d.C., il Luogotenete di Tiberio su tutto l'Oriente in guerra, Lucio Vitellio, dopo aver sconfitto i Parti, risottomise la Città Santa al dominio di Roma e crocifisse il Re illegittimo.
Per gli Ebrei, un Messia sconfitto dai pagani non poteva essere il "prescelto" di Yahweh, pertanto fu disconosciuto e dimenticato. Su quello sfortunato discendente asmoneo - dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio, nel 70 d.C., da parte di Tito, ed il successivo olocausto giudaico perpetrato da Adriano il 135 d.C. - alcuni sacerdoti Esseni d'Egitto iniziarono a concepire una nuova figura di "Salvatore" (Yeshùa) e "Messia" ebraico, ispirandosi all'astratto "Logos" del filosofo ebreo Filone d'Alessandria, morto nel 45 d.C. Un "Messia" divino, non più combattente nazionalista, quindi accettabile dal potere imperiale di Roma e meno pericoloso per la popolazione ebraica della diaspora.
Ma non fu così semplice...

I vangeli primitivi gnostici, concepiti dagli Esseni, una delle quattro correnti religiose giudaiche dell'epoca, non risultavano scritti da "Giovanni”, ma narravano le gesta di "Giovanni”, il primo Demiurgo ebreo: il Messia, Figlio di Dio, Salvatore del Mondo. Non più il Dominatore del Mondo atteso dai Giudei, come riferito dal sacerdote ebreo Giuseppe Flavio, dopo che questi, in qualità di comandante delle armate giudaiche della Galilea, fu sconfitto e imprigionato dal condottiero romano Vespasiano, futuro Imperatore di Roma.
Degli attuali vangeli canonici, due di loro risultano scritti da "Giovanni": il primo da "Giovanni detto anche Marco", e il quarto da "Giovanni". Non ci vuole molto a capire che "detto anche Marco" è stato un ingenuo escamotage adottato, sin dalla redazione iniziale dei vangeli cattolici, per non far apparire due "Giovanni" al contempo "apostoli" ed "evangelisti". La volontà, da parte degli scribi cristiani, di far scomparire "Giovanni", come nome del "Messia", la riscontriamo proprio nel "vangelo di Giovanni" ... al punto che in questa scrittura l'amanuense ha fatto sparire addirittura l'apostolo "Giovanni", il quale, essendo lo stesso evangelista-apostolo, mai nominato nel vangelo, il risultato è che "san Giovanni" non conosce se stesso.


Il titolo divino
di “Salvatore” venne ripreso dagli Esseni e conferito al "Messia Giovanni" perché questa setta aveva già in precedenza profetato l’avvento del "Messia" come il "Figlio di Dio" in soccorso del popolo d'Israele soggiogato dall'Impero Romano, come risulta dai rotoli del Mar Morto:

"Egli sarà chiamato il Figlio di Dio: essi lo chiameranno il Figlio dell'Altissimo. Il Suo regno sarà un dominio eterno ... il popolo di Dio si leverà e fermerà tutti con la spada".

Si tratta della significativa profezia essena, ritrovata all'interno di una grotta e scritta nel "frammento 4Q246", nascosto con gli altri rotoli nelle grotte di Qumran, preso il Mar Morto, appena prima della distruttiva offensiva romana condotta dal generale Vespasiano nel 67 d.C.
Poiché fino a quella data gli Ebrei si limitarono a preannunciare la venuta del Messia "Dominatore del Mondo", una mancata profezia documentata anche dallo storico Giuseppe Flavio, ciò significa che l'Avvento di "Gesù Cristo", in epoca successiva qualificato come "Salvatore Universale", ancora non era stato ideato ... finché i successori dei "Profeti divini" Esseni, finalmente, stabilirono che il "Figlio di Dio" sarebbe stato molto più proficuo farLo discendere in terra alla stregua di un "Salvatore del Mondo", capace di far risorgere i proseliti "eletti". Comunque un "Gesù Messia" ancora totalmente ebreo che iniziò a conseguire un successo popolare anche fra i pagani in conseguenza della crisi militare che investì l'Impero Romano
nel corso del III secolo.

Fu quella l'epoca durante la quale in alcuni strati popolari iniziò a diffondersi la credenza che le divinità capitoline non erano più in grado di proteggere la potenza di Roma col risultato di rivolgersi ad altre divinità, fra le quali prevalse il rito teofagico del Dio Mitra. Per contro, il mito ebraico della salvezza indusse ambiziosi religiosi ad "infiltrarsi" finendo col prevalere rispetto agli originali, quindi conformarono la dottrina primitiva ebraica alla concezione occidentale innestando nel Messia ebraico il rito teofagico pagano della Eucaristia. Fu un successo religioso e, di conseguenza, anche politico. Una volta giunti al potere, i Vescovi, capi della nuova religione riformata, poterono documentare storicamente l'Avvento del "Salvatore" con i dati prelevati nei rotoli del I secolo, custoditi negli archivi imperiali (ad iniziare dalle opere di Giuseppe Flavio), ma, nel tentativo di comprovare la saga di eventi risalenti a tre secoli prima, gli scribi cristiani, ormai subentrati ai primitivi redattori Esseni del II secolo, incapparono in contraddizioni e sviste tali al punto di sbagliare i luoghi e gli usi giudaici, dimostrando anche la scarsa padronanza della lingua semita, pur rifacendosi agli scritti dei rotoli originali esseni.
Dopo aver precisato le esigenze evolutive del Credo iniziale esseno del "Figlio di Dio, Dominatore del Mondo", trasformato nel corso di tre secoli, leggiamo la dottrina cattolica riformata nel IV secolo. Ad esempio Luca:
 
 
"Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di suo padre Davide ... perciò quello che nascerà sarà chiamato santo Figlio di Dio" (Lc 1,32-35). E il candido Matteo fa dire a Gesù: "Non sono venuto a portare pace sulla terra, ma una spada" (Mt 10,34).

Come possiamo constatare, l'anelito giudaico al "regno eterno" del "Dominatore del Mondo" è tutt'oggi presente nei vangeli canonici.
 
Per quanto sopra detto, nei vangeli, l'appellativo "Gesù" è inteso come "Salvatore", quindi non corrispondente ad un semplice nome proprio di persona, e una ulteriore prova consiste nel fatto che, in “Atti degli Apostoli”, i Sadducei e i Farisei del Sinedrio, sempre, lo chiamano costui, mai “Gesù”. Lo scriba di "Atti", con lo pseudonimo "Luca", identificava in "Gesù" un "Salvatore divino" ma era consapevole che gli Ebrei non potevano riconoscerlo come tale poiché essi erano (e sono) in attesa dell'avvento messianico. 

Se “Gesù” fosse stato un semplice nome di persona, e ve n’erano molti fra i Giudei che lo adottavano in memoria del conquistatore della terra di Canaan, nelle riunioni del Sinedrio e all’interno delle Sinagoghe, come riportato in "Atti" e nei Vangeli, i sacerdoti, anziché indicarlo con “costui”, non avrebbero avuto alcun problema a chiamarlo “Gesù”, col patronimico, obbligatorio per gli Ebrei, ma sempre mancante per “Gesù”. Soprattutto, dalla lettura dei vangeli è determinante la constatazione che, come letto nel brano iniziale, sebbene il "Redentore" si sia qualificato "Cristo e Messia", Lui stesso non si è mai chiamato o presentato a terzi col nome proprio di "Gesù" (Yeshùa), limitandosi ad autodefinirsi con un generico quanto insignificante "fig
lio dell'uomo", addirittura offensivo per il comune buon senso di coloro che si aspettavano di sapere autentici dati identificabili di riconoscimento.
A controprova, come già riportato nel III studio, in quell’unico Atto del Sinedrio autentico (tranne per l’aggiunta di “detto Cristo”) riguardante Giacomo, fratello di un tal Gesù (figlio di Damneo), pervenutoci nelle opere di Giuseppe Flavio, i Giudei lo chiamarono per nome: "Gesù". Non lo indicarono con “costui” sconfessando gli "Atti degli Apostoli" e dimostrando, al contempo, di non essere l'ambiguo “Gesù detto Cristo” che la Chiesa ha voluto farci credere a partire dal "Codex Ambrosianus F128" dell'XI secolo.
 
Inoltre, quando idearono la farsa del "processo a Gesù", gli scribi evangelisti hanno fatto molta attenzione onde evitare al Prefetto di Giudea, Ponzio Pilato, il magistrato romano cui spettava decidere la sorte dell'imputato, di chiedergli il nome ed il patronimico: dati anagrafici che, ovviamente, non dovevano essere pronunciati dallo stesso "Salvatore" ebreo.
Un particolare, questo, non sfuggito allo studioso Afanasij Ivanovic Bulgakov, docente di storia delle religioni durante l'epoca zarista, e padre di Michail Bulgakov, l'autore del romanzo "Il Maestro e Margherita" in cui viene riportato il famoso interrogatorio di Pilato a "Gesù", durante il quale il Prefetto chiede subito le generalità, con nome e patronimico, e l'accusato ammette di chiamarsi "Gesù", originario della città di Gàmala e figlio di un "siriano". Gàmala era nell'estremo sud della Siria (quindi suo padre era "Giuda di Gàmala": ovviamente "siriano"). Tuttavia il figlio di Afanasij, Michail Bilgakov, non andò oltre nel riferire l'informazione del padre, ma evitò opportunamente di commentarla, ben sapendo che l'indottrinamento popolare cristiano non permetteva di "assimilare" un simile shock rivoluzionario, tale da ribaltare la comune credenza dell'Agnus Dei.      

In conseguenza alla contrazione subita dal vocabolo ebraico "Yehoshùa" nel corrispondente aramaico "Yeshùa" (riferito al personaggio oggi chiamato "Giosuè"), nome equivalente al famoso "Gesù", coerentemente, fu trascritto inalterato dagli amanuensi il lemma originale in greco “Iesoùs”, così come lo riportò
Giuseppe Flavio, lo storico ebreo di lingua madre aramaica.
Stabilito che “Meshiah Yeshùa” in aramaico, “Christòs Iesous” in greco e “Iesus Christus” in latino, erano entrambi titoli divini e significavano "Messia Salvatore", la dottrina salvatrice dell'umanità non doveva far risultare che il vero nome di "Gesù Cristo" era Giovanni, il capo degli Zeloti, perché i veri Padri fondatori del cristianesimo (messianismo), riformato da quello giudaico, sapevano che si trattava di uno dei figli di Giuda il Galileo. Di conseguenza tutti i nomi degli evangelisti "testimoni oculari dei fatti" non sono reali ma pseudonimi: come già dimostrato nell'VIII studio.
 
Il “Meshiah Yeshùa” Giovanni, per gli Esseni, era un "Salvatore" ancora giudaico, senza "immacolata concezione" e tantomeno sacrificio eucaristico teofagico: dogmi inconcepibili per la Legge degli ancestrali Padri "rivelata" ai Profeti da Yahwhe.

Il Messia "Salvatore del Mondo" venne ideato, la prima volta come "Figlio di Dio", dagli Esseni per riformare il pericoloso "Dominatore del Mondo", carico di odio contro Roma. In epoca successiva la dottrina iniziale essena si evolse ulteriormente con l'innesto del rito eucaristico teofagico dell'Ostia consacrata pagana (lat. Hostia: vittima sacrificata alla divinità) ... ed infine con la "Natività", anch'essa pagana, attraverso la "immacolata concezione" di un "Figlio di Dio" partorito dalla "Madre Vergine" e fatto "della stessa sostanza del Padre dall'inizio dei secoli".
Le testimonianze "storiche" sulla Sua nascita sono talmente contraddittorie da rappresentare solo una delle molteplici prove che evidenziano il percorso di questo mito, arricchito dagli scribi teologi neotestamentari nel corso di tre secoli.

La lettura comparata dei vangeli con la storiografia ci consente di individuare e dimostrare una serie di falsificazioni di eventi, create allo scopo di celare una vicenda reale che vide il Rabbino fariseo, Giovanni, alla testa del Movimento di Liberazione Nazionale degli Zeloti fondato da suo padre. Era uno dei cinque figli di Maria, citati nei vangeli di Marco e Matteo nei quali è chiamato “costui”, mentre i codici dell'apparato critico biblico (indicati nel I° studio), che riportavano anche "Giovanni", sono stati esclusi dal "canone", in epoca successiva, dagli scribi ecclesiastici quando compresero i veri fatti storici. Gli esegeti del Clero sapevano che era il figlio primogenito di Giuda il Galileo e, tramite il nonno Ezechia di Gàmala, discendeva direttamente dagli Asmonei, una stirpe giudaica di sangue reale.
Questa analisi si trova nel VII studio riguardante la città di Gàmala.
Con l'aiuto dei fratelli, anch'essi capi di schiere nazionaliste zelote, cogliendo il momento propizio, mentre Roma era impegnata in una rischiosa guerra contro i Parti di Artabano III, nel 35 d.C. il Rabbino Giovanni, figlio di Giuda, riuscì a conquistare il potere a Gerusalemme facendosi riconoscere come Re dei Giudei.
La risposta dell'Impero non si fece attendere troppo ... e fu inesorabile. L'anno seguente, dopo aver inizialmente sconfitto il "Re dei Re" Artabano III, il Comandante in capo di tutte le operazioni d’Oriente, Lucio Vitellio, Luogotenente di Tiberio, con le sue legioni si recò da Antiochia a Gerusalemme, in quell’occasione afflitta da una gravissima carestia, risottomise la Città Santa al dominio di Roma e fece crocifiggere il monarca abusivo.

Fu l'ebreo Giovanni, martire zelota sacrificato alla causa nazionalista giudaica - in un periodo successivo alla distruzione del Tempio da parte di Tito - ad essere riconosciuto dagli Esseni, una delle quattro correnti religiose ebraiche dell’epoca, come il “Salvatore” Messia prescelto da Dio, da essi profetato nei rotoli di Qumran, con uno dei nomi più popolari fra gli ebrei sino a tutto il I secolo: Yeshùa.
Ma, soprattutto, era il significato del vocabolo, con cui fu chiamato, che interessò i futuri cristiani gesuiti: “Salvatore”; equivalente al “Soter” dei pagani, in particolare il Dio Mitra, il culto del quale ebbe maggior seguito popolare prima del cristianesimo. Quello fu il primo passo di una dottrina che si evolse nel cristianesimo paolino della salvezza dei Gentili.
Ciò avvenne nel tempo ulteriore al terzo grande olocausto romano di Giudei perpetrato da Adriano fra il 132 e il 135 d.C., costato ad essi la perdita di molte centinaia di migliaia di morti (Cassio Dione) che, sommati a quelli causati dall'intervento di Vespasiano e Tito, avvenuto 60 anni prima, e alla feroce repressione antiebraica di Traiano nel 115 d.C., la cifra complessiva ammontò a circa tre milioni di vittime, senza considerare gli schiavi catturati, il cui numero fu talmente elevato da far crollare il mercato.

L'odio di Roma verso questa etnia (e i deceduti), nel lasso di tempo di solo 75 anni, superò ampiamente quello contro i Cartaginesi avvenuto nelle tre guerre puniche durate un secolo e mezzo.
Scrisse Cassio Dione:

"Adriano inviò contro di loro i più valenti comandanti: il primo fra loro era Giulio Severo, che dalla Britannia, di cui era Governatore, fu mandato contro i Giudei ... cinquecentottantamila uomini vennero uccisi nelle scorrerie e nei combattimenti; fu incalcolabile, invece, il numero di coloro che morirono per fame, per malattia e per gli incendi, cosicché quasi tutta la Giudea rimase spopolata" (Storia Romana LXIX 13,1-2).

Oltre ai morti in combattimento, dichiarati dallo storico imperiale, nel 135 d.C. molti civili Giudei morirono per fame, malattie e incendi, altri catturati furono ridotti in schiavitù e inviati a combattere, come vittime predestinate, nelle arene contro gladiatori professionisti, altri a lavorare nelle miniere, altri ancora incatenati ai remi della flotta imperiale: tutti uomini con una restante aspettativa di vita brevissima.
Da notare che Giuseppe Flavio, fra i resoconti dettagliati della prima "Guerra Giudaica" (66/70 d.C.) riferisce che il numero di Giudei, uccisi dai legionari del generale Vespasiano e suo figlio Tito, ammontò ad 1.100.000: tale massacro, dichiarato dallo storico filoromano (quindi interessato a sminuire le malefatte del nemico), fu numericamente inferiore a quello reale, considerato che il Senato concesse a questi Imperatori il "Trionfo" celebrato nel 71; mentre tale onore fu negato ad Adriano nonostante avesse vinto la sanguinosa guerra da lui intrapresa contro gli Israeliti. Oltre a questi morti è doveroso aggiungere anche quelli della seconda guerra giudaica, del 115-117 d.C., avvenuta durante il regno di Traiano, pertanto il numero dei Giudei estinti, causato dalle legioni romane nel corso di solo due generazioni, viene valutato in almeno 3.000.000 fra militari e civili.

Sebbene la religione giudaica non verrà mai dichiarata fuori legge (sino all'Editto di Tessalonicadel 380 d.C., emanato per imporre il monoteismo cattolico), cionostante, nell'Impero dell'epoca di Adriano chiunque veniva additato come ebreo correva il rischio di essere perseguitato: agli Israeliti non rimase che la "diaspora" verso i più remoti confini della terra.
Fu allora che iniziò a diffondersi una nuova dottrina che postulava una diversa figura di "Messia" universale, non più nazionalista zelota ... non un "Dominatore del Mondo" ma un "Salvatore del Mondo".

Successivamente, nel corso del III secolo si manifestò la crisi economica e l’incapacità militare dell'Impero Romano a difendere i propri confini, e questo evento, gravissimo, fu all’origine della perdita di credibilità popolare nei confronti delle Divinità capitoline tutelari di Roma, propiziando la diffusione di molteplici religioni orientali, fra le quali, dopo oltre un secolo, primeggiò il Credo della "salvezza per la vita eterna": il Cristianesimo paolino.

Una volta riunificato l’Impero, Costantino il Grande, pur essendo pagano (vedi capitolo a lui dedicato nel XIV studio), nella veste di Pontefice Massimo, decise di equiparare il Cristianesimo alle più importanti religioni esistenti nelle Province imperiali. Dopo la morte di Costantino, la Chiesa di Roma, sede della nuova religione universale, vincente dopo decenni di lotte intestine fra gli stessi cristiani, alla fine del IV secolo, per distinguerlo dai “Soteres” pagani, fece passare il titolo divino di “Salvatore” come semplice nome proprio di persona: “Gesù”. Ma, il "Gesù nostro Salvatore” dei Cristiani, significa “Salvatore nostro Salvatore” ... rimanendo tutte le fedi cristiane, sempre e comunque, compromesse con una inutile, ripetitiva, qualifica ultraterrena.  
Giovanni, il vero nome del “Messia”, diversamente dai codici scartati (come abbiamo visto nel I studio), non risulta citato in quelli scelti dai curatori del vangelo di Matteo (Mt 13,55) perché i teologi del Cristianesimo sapevano (e sanno) che lui era il soggetto. "Giovanni" è l'autentico protagonista dei vangeli, in cui si equivoca volutamente fra Giovanni Battista e “Gesù”, sovrapponendo le due figure ideologiche, fino al punto che san Luca inizia la sua novella con la “nascita” di:

Giovanni, egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti (Lc 1, 13/15).

Mentre il Vangelo di Giovanni così inizia

“Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovannivenne fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accolto (Gv 1, 6/11).

Questi non può essere Giovanni Battista, lui aveva un solo nemico: Erode Antipa il Tetrarca. Fu questi ad ucciderlo proprio perché, contrariamente al brano appena letto “Venne fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accolto”, la sua gente lo aveva accolto con troppo favore:
 
“Quando la gente si affollava intorno a lui (Giovanni Battista), essendo i suoi sermoni giunti al più alto grado, Erode (Antipa) si allarmò. Una eloquenza che sugli uomini aveva effetti così grandi, poteva portare a forme di sedizione … a motivo dei sospetti di Erode, fu portato in catene nel Macheronte, una fortezza in Perea, e quivi fu messo a morte” (Ant. XVIII 118/9).

Peraltro è importante evidenziare che Giovanni Battista non era un Nazireo (anche se il vangelo di Luca vorrebbe farlo apparire come tale per depistare il vero Giovanni), altrimenti Giuseppe Flavio sarebbe stato obbligato a riferirlo nel lungo capitolo a lui dedicato (ibid). Nelle sue "Antichità Giudaiche" (Ant. IV 72) lo storico descrive i Nazirei e in "Ant. XIX 294", quindi pochi anni dopo la "resurrezione di Gesù", riferisce che venne loro imposta la rasatura tramite un decreto promulgato, nel 41 d.C., da Re Agrippa I, appena insediato da Claudio. Evidentemente i "Nazirei" erano Ebrei considerati dalle autorità come pericolosi fanatici.  
                                                      
Il vero Giovanni di Gàmala era un Nazireo e, in quanto tale, doveva mantenere intonsi barba e capelli; inoltre non poteva bere vino, ma questo aspetto gravissimo, avverso il Credo paolino della “resurrezione dei corpi incorrotti" (I Cor 15,51), costringerà i Padri creatori della fede cristiana riformata a farlo diventare “Nazareno”. Ecco perché.
 
Lo scopo fondamentale per la "dottrina della salvezza eterna" - che obbligò i teologi cristiani ad inventare una città chiamandola "Nazaret", da cui derivare "Nazareno" - dipese dalla assoluta necessità di sviare la risultanza del vangelo originale esseno che indicava il Salvatore come "Nazireo" (Lat. "Nazireus", Aram. "Nazri", Gr. "Naziraios").
Il mito del Messia "Figlio di Dio", il cui avvento fu profetato dagli Esseni nei Rotoli di Qumran, venne concretitazzato dai seguaci della setta in conseguenza dell'olocausto gudaico perpetrato dai Romani con le guerre contro i Giudei.
Dopo l'evoluzione del credo cristiano iniziale, il voto di nazireato divenne incompatibile con la successiva introduzione del "sacrificio eucaristico teofagico", un rituale che, come risulta dalla "Regola della Comunità" degli Esseni, non era (e non poteva in quanto ebrei) essere osservato da loro quando crearono il Salvatore ebreo "Yeshùa"; ma, al contrario, questo sacrificio costituì il culmine della liturgia cattolica.
Il contrasto scaturiva da due concezioni religiose diverse. La prima, nel rispetto della Legge giudaica, contemplava il vincolo che vietava ad ogni ebreo, consacrato a Dio con il voto di nazireato, di bere vino; mentre la seconda, ripresa dai Culti pagani, imponeva al Sacerdote di immolare la "Hostia" (lat: "vittima sacrificata agli Dei") sull'altare e mangiarla dopo averne bevuto il sangue: una cerimonia cultuale analoga a quella adottata dai successivi riformatori cristiani del primitivo messianismo giudaico esseno.
Per rendere credibile ai Gentili l'illusione della "salvezza eterna", i nuovi teologi li appagarono tramite un sincretismo liturgico voluto da Dio; a tal fine fecero istituire l'eucaristia, il sacrificio teofagico pagano, direttamente da Gesù al momento in cui trasforma il vino del suo calice nel proprio sangue da far bere ai seguaci:

"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo resusciterò" (Gv 6,54). 

La transustanziazione! Questa era la dottrina che faceva presa su masse crescenti di nuovi proseliti! L'innesto del sacrificio eucaristico teofagico del "Σωτήρ" (gr. leggi "Sotér") "Salvatore" pagano nella religione ebraica tramite il Messia dei Giudei.
Ma un vero "Nazireo" e al contempo "Dottore della Legge", come viene connotato "Gesù", non avrebbe mai potuto cenare con un calice colmo di vino, né lo avrebbe mai trasformato in un "Santo Graal" ripieno del suo sangue … pertanto venne modificata la forma originaria ebraica da "Nazireo" in "Nazareno" e questa mutazione fu giustificata nei vangeli con la provenienza di Gesù dalla sua nuova patria, appositamente inventata: la città di "Nazaret", volutamente situata in Galilea per spiegare anche il termine "Galileo" con cui venivano indicati Gesù Cristo e Simone Kefaz.

"Andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perchè si adempisse ciò era stato detto dai Profeti: «Sarà chiamato Nazareno»" (Mt 2,23).

Il vocabolo greco del vangelo è "Ναζωραῖος" (leggi "Nazoraios") che, diversamente dalla fraudolenta trasposizione ecclesiastica, non può essere interpretato come "Nazareno" perché la traduzione corretta è "Nazoreo"; ma questo lemma, così vocalizzato, è del tutto sconosciuto a Giuseppe Flavio. Lo storico, di lingua aramaica, era esperto in greco ed in grado di trascrivere in questa lingua le vocalizzazioni semite rispettandone la fonetica corretta. Nel merito, l'ebreo descrive i "Nazirei" richiesti da Mosè:

"Tutti coloro che consacrano se stessi in adempimento di un voto si chiamano Nazirei. Sono persone che si lasciano crescere i capelli e si astengono dal vino" (Ant. IV 72).
"Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla agli Israeliti dicendo loro: «Quando un uomo o una donna farà un voto speciale, il voto di nazireato, per consacrarsi al Signore, si asterrà dal vino e dalle bevande inebrianti ... Per tutto il tempo del suo voto di nazireato il rasoio non passerà sul suo capo. Finché non siano compiuti i giorni per i quali si è votato al Signore, lascerà crescere liberamente la capigliatura del suo capo. Per tutto il tempo del suo nazireato egli è sacro al Signore" (Numeri 6).

Perciò apprendiamo che la voce "Nazirei" indica un ordine religioso consacrato a Dio, non una qualifica geografica. Infatti, la iconografia cristiana ha sempre raffigurato "Gesù" con capelli e barba lunghi perché i "Venerabilissimi Padri" hanno sempre saputo che Cristo era un "Nazireo", anche quando venne crocefisso.    
Tanto è vero che, smentendo il vangelo di Matteo, l'Antico Testamento non riporta alcun accenno dei Profeti a "Nazareno", viceversa, a comprova di quanto appena accertato, il Profeta "Amos (2,11)", grazie ad una rivelazione, manifestò la benevolenza di Yahweh nei confronti dei Profeti e i Nazirei equiparandone il valore nel patto di alleanza verso di Lui:

"Ho fatto sorgere Profeti tra i vostri figli e Nazirei fra i vostri giovani" (op. cit.).

La traslitterazione, volutamente impropria, da "Nazireo" in "Nazareno", intesa come "abitante di Nazaret", era comunque sbagliata perché Gesù avrebbe dovuto essere indicato come "nazaretano". In ogni modo, ne conseguì che alle molte contraddizioni, raccolte nei manoscritti, si aggiunse anche quella di "una città chiamata Nazaret" la quale era inesistente in Galilea per i primi tre secoli d.C., pertanto sconosciuta da tutti … fino a quando i Cristiani decisero di costruirla appositamente. Malgrado ciò, lo fecero da estranei disinformati della regione, quindi incapaci di capire il valore delle coordinate geografiche, sempre richiamate nei vangeli ed ivi lasciate inalterate, con la conseguenza di leggere nei testi sacri una città di "Nazaret" posizionata esattamente sul monte di Gàmala. Come abbiamo dimostrato nel VII studio, comparando, con la mappa geografica reale, le descrizioni degli itinerari di Cristo, da e verso la sua patria, narrate nei vangeli.

Lo storico cristiano bizantino Iohannes Malalas (491-578), di Antiochia, nel Libro X della sua "Chronographia" riporta:

"All'inizio del regno di Claudio Cesare (41 d.C.), coloro che prima erano chiamati Nazareni e Galilei presero il nome di Cristiani".
 
Malalas riferì questa informazione, che conferma il decreto, emesso nel 41 d.C. da Erode Agrippa I, avverso i Nazirei, senza rendersi conto (non essendo ebreo, diversamente da Re Agrippa) delle implicazioni derivate dalla citazione di due sette prettamente giudaiche. Sappiamo, ormai senza ombra di dubbio, che i "Nazareni" non erano gli abitanti di Nazareth, allora inesistente come provato con lo studio apposito; per giunta, stando ai Vangeli, i "Nazaretani" erano nemici di Gesù, al punto di volerlo gettare nel precipizio.
Ancora prima, san Girolamo (Hieronymus) in “De Viris Illustribus” (III 6-8), affermò che nel 393 d.C. copiò e tradusse in greco il vangelo originale di Matteo ... "scritto in aramaico, riconosciuto e accettato dai Nazarei" (Nazirei, come specifica Giuseppe Flavio)
.
In ultima analisi i "Nazirei" sono gli appellativi degli aderenti ad una setta ebraica fondamentalista, essendo assimilata a "Galilei", un termine quest'ultimo il cui significato andava oltre la semplice regione di provenienza, ma li qualificava alla stregua di integralisti nazionalisti, come abbiamo già spiegato nel I studio.          
 
Dal “Dizionario Biblico” curato dal famoso esegeta cattolico mons. Francesco Spadafora, alla voce “Nazireato” apprendiamo che “Nazareno” deriva dalla radice ebraica “nazar” o meglio senza vocali "n z r", intesa come “votarsi” o “consacrarsi”. Si trattava di un preciso ordinamento, contemplato dalla ancestrale Legge, al quale gli Ebrei potevano aderire obbligandosi verso Dio tramite un voto della durata minima di trenta giorni sino a tutta la vita: il Nazireato.
Si conferma, come appena evidenziato, che "Nazarei", "Nazorei", "Nazirei" o "Nazareni" sono appellativi che comprendono la stessa radice ebraica "nzr" per qualificare i seguaci di una fazione giudaica la quale, come su citato da Malalas, era ideologicamente equiparata ai "Galilei", termine che veniva associato a tutti i ribelli integralisti ebraici.  

Gli adepti Nazirei”, vincolati a questo voto, si astenevano dal bere qualsiasi liquore e tutto ciò che risultava inebriante, mantenevano capelli e barba intonsi ed evitavano di toccare un cadavere. Fu da questo voto che Sansone trasse la forza che gli permise di annientare i pagani Filistei. Come sopra detto, Erode Agrippa il Grande, da esperto ebreo, per evitare problemi con Roma, "disarmò" le teste calde dei Nazirei tosandole come fece Dalila (Giudici 16).


Sin dalla antica tradizione israelita, il voto comportava l’obbligo di conservare le usanze yahwiste e lottare contro il politeismo dei Cananei. I Nazirei si consideravano “uomini di Dio” e assieme ai leviti e i profeti costituirono il fulcro e la coscienza più profonda che animò la lotta ebraica contro l’idolatria per affermare il culto del solo Yahweh. E’ per questo che, oltre al complesso liturgico degli atti esteriori, il nazireato vincolava i suoi adepti ad una morale e un impegno di vita più elevato rispetto gli altri Israeliti.  

La Legge mosaica dettata da Yahweh - con il rilevante retaggio storico tramandato dalla mitologica lotta degli ancestrali Padri per conquistare e difendere la Terra Promessa dagli invasori pagani - era perfettamente coerente con i principi del nazireato. Insegnamenti ripresi, a loro volta, dalla “quarta filosofia” fondata da Giuda il Galileo quando innescò la rivolta contro Cesare Augusto dopo che questi aveva trasformato la Giudea da "Protettorato" in "Provincia imperiale" annessa alla Siria e imposto il versamento dei tributi. I Nazirei, attenendosi ad un regime di vita estremamente puro, costituivano la setta d'élite del radicale movimento degli Zeloti nella "Guerra Santa" contro il dominio di Roma e le sue leggi. 

Tali avvenimenti, per il popolo ebraico, significavano la sottomissione di Israele alle divinità pagane, pertanto, Giuda il Galileo, attingendo dall’insegnamento di matrice biblica dello stesso Profeta Amos - che avversò le caste sacerdotali corrotte e i potenti ebrei, colpevoli di aver ridotto in miseria la popolazione - postulò un capovolgimento della società giudaica mirando alla abolizione della schiavitù e l’eliminazione dei ricchi privilegiati con l’uso della forza.
 
"Voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del Paese ... di spada periranno tutti i peccatori del mio popolo. Rialzerò la capanna di Davide" (op. cit. 8.4; 9,10).

Il 6 d.C. nacque lo zelotismo messianico nazionalista, che tanto seguito ebbe fra i Giudei ad iniziare dai giovani:

"Lo zelo che Giuda (il Galileo) e Saddoc ispirarono nella gioventù fu l'elemento della rovina della nostra causa" (Ant. XVIII 10; cap.1).

Una dottrina estremista che li porterà alla distruzione quasi totale. Roma non accettò mai di perdere la Palestina, una fertile terra affacciata sul Mediterraneo orientale, interposta fra il minaccioso Regno dei Parti, la Siria e il più importante granaio dell’Impero: l’Egitto. Il desiderio dei regnanti partici di penetrare con la forza nel ricco bacino del "mare nostrum", sotto dominio dei romani, sarà sempre frustrato dalla supremazia militare delle legioni imperiali.

 

Se Gesù Cristo fosse risultato appartenente alla setta ebraica dei Nazirei, il Suo voto gli avrebbe impedito di “intavolare” a cena una libagione proibita come il vino, di conseguenza non avrebbe potuto trasformarlo in sangue umano da far bere ad “apostoli” ebrei, innestando così un rituale pagano nella religione giudaica. E’ su tale “sacrificio”, conservato nella “Hostia”, “la vittima sacrificata agli Dei”, che si fonderà la nuova dottrina della salvezza: il cristianesimo gesuita. 

 

Il sacerdote cattolico Alfred Loisy, cui abbiamo accennato all’inizio del primo studio, da profondo studioso qual’era delle lingue semite e dei costumi giudaici, comprese che “nazareno” era una qualifica che non si riferiva ad una città, sconosciuta dalla storia, ma un titolo derivato dalla radice ebraica “nazar” (nzr) all’origine del “nazireato” … e osò dirlo apertamente, ma venne scomunicato:

 

“La tradizione ha fissato il domicilio della famiglia di Gesù a Nazareth allo scopo di spiegare così il soprannome di Nazireo, in origine unito al nome di Gesù. Nazireo è certamente un nome di una setta senza alcun rapporto con la città di Nazareth (« La naissance du Christianisme » Alfred Loisy, 1857–1940).

 

Un Messia consacrato comeNazireonon avrebbe mai potuto dare inizio alla dottrina della salvezza universale cristiana:


"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io loresusciterò nell'ultimo giorno". (Gv 6,54); 

Mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo. Poi prese il calice e, reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti perché questo è il mio sangue, versato per molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che non berrò più di questo frutto della vite sino al giorno che lo berrò nuovamente con voi nel Regno del Padre mio” (Mt  26,26/29).

 

Successivamente, quando la nuova religione riformata dal giudaismo andò al potere, Nazaret iniziò ad essere edificata con le strutture del culto cristiano nel IV secolo, a 5 Km dalla capitale Seffori, la quale - all’epoca del racconto “evangelico” di un finto scriba giudeo, Matteo Pubblicano, ignorante di storia ebraica e della terra patria - fu rasa al suolo dai legionari del Legatus Augusti pro Praetore di Siria, Publio Quintilio Varo, in una Galilea sconvolta da una guerra sanguinosa.

Ma chi scelse il sito commise un errore gravissimo: non tenne conto della discordanza fra la errata posizione della Nazaret costruita appositamente e la sua ubicazione, vera, come viene riportata nei Vangeli. In questo modo fu lasciata e trasmessa ... senza che gli amanuensi si siano accorti che la rappresentazione della città, così come era riferita nei Testi Sacri, corrispondeva a quella di Gàmala, la città di Giuda il Galileo e dei suoi figli: Giovanni (non “costui”), Simone, Giuda, Giacomo e Giuseppe.

 


Emilio Salsi


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